Agli US Open Medvedev ha vestito per l’ennesima volta in carriera i panni dell’antagonista per fermare i propositi di gloria di Djokovic
Miami, marzo 2018 (“paura, eh?”). Su uno dei campi secondari si affrontano due giovani tennisti che, sebbene siano entrambi in rampa di lancio, godono di prospettive e simpatie diverse.
Il primo è Stefanos Tsitsipas, greco classe 1998, che sembra avere il pacchetto completo del “Gioco dei Giusti”, vale a dire un bel tocco ed un rovescio ad una mano. Insomma, quel genere di cose che automaticamente ti porta in dote una bella fetta di tifosi di Federer, che si guardano intorno cercando un nuovo Messia per prepararsi meglio al momento in cui quello vecchio appenderà la racchetta al chiodo. Poco importa se il giovane greco gioca ancora molto lontano dalla linea di fondo (ricorda qualche altro giovane monomane italiano?) e il suo rovescio sia macchinoso e strappato (perché non tutti i rovesci ad una mano sono belli, bisognerà sdoganare questa cosa prima o poi), le stimmate ci sono tutte, bisognerà solo lavorare un po’ e fare esperienza.
Dall’altra parte della rete c’è un russo di un paio di anni più grande del suo avversario (classe ’96) e che è una ventina di posti in classifica davanti al suo avversario (n. 50 circa lui, dalle parti del n. 70 Tsitsipas), vale a dire Daniil Medvedev. Il suo gioco è sgraziato, con un rovescio efficace ma colpito sempre in pose non convenzionali ed un dritto orripilante, sempre sporco e poco incisivo. Pochi mesi prima aveva partecipato alle prime Next Generation ATP Finals della storia, ossia il torneo milanese che viene disputato fra i primi sette Under-21 della classifica mondiale e da una wildcard italiana (in quel caso fu Gianluigi Quinzi ad aggiudicarsela in seguito ad un torneo “next-gen” tutto italiano).
Era un po’ un imbucato: era solamente ottavo nella race next-gen e la sua partecipazione fu possibile solamente perché Alexander Zverev, già n. 4 della classifica e con altre prospettive rispetto a qualunque altro Under-21, preferì rinunciare alla competizione milanese. Anche Medvedev, rispetto ai colleghi, sembrava avere prospettive diverse, anche se in senso opposto a quello di Zverev: più anziano dei colleghi e apparentemente molto meno talentuoso, probabilmente agli occhi di tifosi ed addetti ai lavori era un figurante rispetto ad un altro giocatore di classe cristallina come Shapovalov o al vincitore del torneo Chung, che di lì a poco avrebbe demolito Djokovic agli Australian Open, raggiungendo la semifinale e il suo ultimo acuto in una carriera che sembra ormai compromessa dagli infortuni.
Questi sono gli identikit dei due giocatori che si affrontano in quel di Miami nel 2018. La partita non è memorabile (la vince Medvedev 2-6 6-4 6-2), mentre lo è quello che accade subito dopo. Nel corso della partita sono successe diverse cose che hanno surriscaldato gli animi: Medvedev ha chiesto un toilet break dopo il primo set, poi il russo si indispone perché Tsitsipas non chiede scusa dopo aver preso un nastro fortunato e poi beneficia anche lui di un lungo (e premonitore, viste le polemiche recenti) toilet break. Al momento della stretta di mano fra i due scoppia la lite. Dal video che abbiamo di quel memorabile litigio, vediamo e sentiamo soprattutto Medvedev alterarsi e rivolgersi nervosamente all’avversario, accusandolo di non avere il coraggio di guardarlo mentre gli parla e di averlo chiamato “bullshit russian”. Da parte sua, invece, nel video Tsitsipas sembra (sembra, eh) schivare qualunque polemica e se ne va, tenendo un comportamento che sembrerebbe più maturo ed educato rispetto al suo rivale.
La percezione di questa lite probabilmente ha alimentato ulteriormente l’immaginario collettivo per il quale Medvedev è il classico russo sporco e cattivo, come ce ne sono tanti nella filmografia occidentale, perlomeno da Ivan Drago in poi, mentre Tsitsipas sembrava ancor di più l’eroe destinato a salvarci dal male.
Qualche anno dopo…
Sono passati tre anni e mezzo da quell’episodio e sono cambiate tante cose. Ad oggi Tsitsipas sembra trovarsi a proprio agio principalmente sulla terra battuta, nonostante la sua vittoria più prestigiosa (le ATP Finals) sia arrivata sul cemento indoor e si sia affermato inizialmente sul cemento. Probabilmente il mattone rosso dà a Tsitsipas il tempo di preparare il rovescio (che è migliorato ma rimane un colpo strappato e macchinoso), cosa che il cemento e l’erba non fanno.
Al contrario, Medvedev è un perfetto giocatore da cemento, mentre è ancora carente su terra ed erba. Col rovescio bimane è in grado di fare qualunque cosa, da qualunque posizione del campo e a prescindere dal fatto che sia in equilibrio o meno. Il dritto, invece, è un colpo ancora brutto e scomposto, colpito portando il busto indietro, il gomito in avanti e spesso con la palla troppo vicina al corpo, ma è diventato decisamente più affidabile ed incisivo (con cui riesce a fare cose incredibili tipo questa). Un giocatore così sgraziato a questi livelli genera anche una certa empatia col giocatore amatoriale da circolo che magari si rivede in qualche colpo eseguito fuori equilibrio o con una tecnica poco ortodossa*.
Andando oltre il lato tecnico, però, c’è stato un ribaltamento quasi totale dei ruoli di eroe ed antagonista. Tsitsipas non ha fatto molto per guadagnarsi le simpatie dei colleghi e, in parte, del pubblico. Sempre dubbioso sulle chiamate di arbitri e colleghi (cosa che una volta infastidì persino Nadal), con una famiglia poco simpatica da gestire (anche per lui), da ultimo fruitore estremo di toilet break a fini non necessariamente fisiologici e, soprattutto, convinto no-vax. Pochi villain nella cinematografia moderna sono scritti così bene.
Dall’altra parte, Medvedev si è dimostrato un ragazzo sveglio ed intelligente, che rilascia dichiarazioni spesso interessanti e scomode. Non potrà mai essere un eroe dal viso pulito, perché quando c’è da fare polemica o da sporcarsi le mani in una zuffa in campo è sempre pronto; semmai sarà un antieroe come quelli che vanno di moda oggi. C’è solo un posto al mondo dove sembra ancora prevalere la percezione stereotipo di russo brutto e cattivo senza possibilità di redenzione: gli Stati Uniti, ovviamente, la nazione che tanto ha promosso questo tipo di stereotipo nei decenni. Più che gli Stati Uniti, in realtà, bisognerebbe parlare di una città: New York, che non ha mai perdonato a Medvedev il suo peccato capitale, vale a dire l’edizione 2019 del torneo, quando il pubblico e il russo non fecero altro che punzecchiarsi (per usare un eufemismo), con Medvedev che né le mandava a dire né smetteva di provocare i newyorkesi, che ringraziava e senza i quali – a suo dire – non sarebbe arrivato fino alla finale.
Gli US Open 2021, Medvedev affronta Djokovic
Quest’anno a New York non aspettavano di certo l’ostile russo, quanto piuttosto l’inarrestabile Djokovic. È vero che il numero uno del mondo non ha mai goduto del supporto incondizionato riservato a Federer e Nadal (cosa che ha sempre sofferto), ma a questo giro la prospettiva di poter assistere al Grande Slam (cioè la vittoria dei quattro tornei dello Slam nello stesso anno) era un incentivo enorme per supportarlo. Più di un americano ha probabilmente desiderato che gli Stati Uniti fossero il teatro di un’altra mirabolante impresa con sullo sfondo la bandiera a stelle e strisce.
Il cammino del serbo aveva fondamentalmente due ostacoli sulla strada per il Grande Slam: Alexander Zverev, altro personaggio non particolarmente amato dal pubblico, che lo aveva appena battuto alle Olimpiadi, impedendogli di proseguire il suo cammino per quell’oro olimpico tanto bramato, e proprio Medvedev, numero due del mondo e ormai con lo status di giocatore da battere (dopo Djokovic) sul cemento. La pericolosità del russo, tuttavia, era stata fortemente ridimensionata dalla finale che a inizio anno c’era stata agli Australian Open fra Medvedev e Djokovic. In quella circostanza diversi addetti ai lavori avevano ritenuto il russo addirittura favorito. Risultato: tre set a zero netto per il numero al mondo e fragoroso ridimensionamento dell’avversario.
Lo US Open 2021 non ha riservato sorprese: in semifinale Djokovic si è ritrovato a battagliare contro Zverev, spuntandola al quinto set dopo una battaglia molto intensa, mentre ad attenderlo in fila c’è stato proprio Medvedev. Se da casa molti speravano che il russo potesse impedire a Djokovic di fare poker e di mettere la freccia nella conta di titoli Slam (al momento Nole è fermo a 20 come Federer e Nadal) e probabilmente anche nel dibattito sul giocatore più grande di tutti i tempi, il pubblico newyorkese non poteva che supportare Djokovic. Lo ha fatto nell’unico modo che conosce, ossia tenendo un comportamento indecente, con urla e fischi finalizzati a distrarre e deconcentrare il nemico russo. A Medvedev però i panni dell’antagonista piacciono parecchio, non è in perenne ricerca del consenso dei tifosi come spesso sembra Djokovic. Come detto, è sempre pronto a sporcarsi le mani e sguazza in queste situazioni torbide. Con un’alienazione dal contesto intorno a lui quasi mistica, Medvedev ha totalmente ignorato il pubblico newyorkese, che cercava di disturbarlo in tutti i modi (in particolare mentre serviva). Probabilmente l’indifferenza del russo ha indisposto ancora di più l’amabile consesso di primati che sbraitava sugli spalti.
Mentre Medvedev vinceva 6-0 6-0 6-0 la sua sfida con il pubblico, il campo è stato un giudice quasi altrettanto severo. Il russo ha dominato sulla diagonale sinistra contro il miglior rovescio del mondo, ha spinto col dritto e con un’incredibile serie di servizi ha messo in crisi la miglior risposta di tutti i tempi come forse mai si era visto negli Slam a questi livelli. Djokovic non ha offerto la sua miglior versione di sé, probabilmente un po’ fiaccato dalla semifinale e dalla lunga stagione, oltre che dall’enorme pressione per il conseguimento di un risultato enorme come il Grande Slam, ma il livello del russo è stato altissimo.
Se prima di New York il tennis presentava un gruppetto abbastanza eterogeno di “anti-Fab Four”, di tennisti vicini ad offrire il tanto agognato cambio generazionale al vertice (ossia Medvedev, Zverev, Tsitsipas e Berrettini), dopo New York Medvedev va collocato su un gradino più alto della scala, lanciato verso Djokovic. Se il serbo sarà comunque l’uomo da battere nei prossimi Slam, non si può ignorare che Medvedev ormai sia il suo valido antagonista e non semplicemente il primo dei secondi (anche perché, con il sistema di punti non congelati per il Covid-19, Medvedev sarebbe già il n. 1 del mondo). D’altronde lo abbiamo già detto: a Medvedev i panni dell’antagonista non dispiacciono affatto.
Note all’articolo
*A tal proposito mi piace riprendere una considerazione fatta su Berrettini (e poi estesa a Musetti) da Volandri, che ha sottolineato come il servizio e il dritto del romano siano assolutamente sbagliati come impugnatura (“la racchetta la tiene come una padella”) ma, vista l’efficacia dei colpi, si è deciso a ragione di non intaccare l’equilibrio dei suoi colpi migliori a scapito dell’ortodossia tecnica. Le stesse considerazioni si stanno facendo sul dritto di Musetti, anche questo colpo con un’impugnatura molto personale. La tecnica di base va sempre considerata, ma ci deve essere sempre un margine di personalizzazione del colpo per assecondare l’indole e le caratteristiche del giocatore, ed è per questo che non si vede mai un giocatore colpire in maniera identica ad un altro. È una delle tantissime cose che rende bellissimo il tennis.
Consigli di lettura
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