In questi giorni si è celebrato il braccio di Roger Federer, ignorando il ruolo che ha avuto la sua straordinaria (e bistrattata) testa
La mia idea per oggi era scrivere un pezzo su uno dei finalisti dello US Open. Non sul vincitore (nonché nuovo numero uno al mondo) Carlos Alcaraz, per il quale sospetto ci saranno altri successi altrettanto prestigiosi per poterne parlare approfonditamente, ma su Casper Ruud. Sarebbe stato un pezzo sulla straordinaria abnegazione del norvegese, affacciatosi al circuito come un “saiyan di infimo livello” (cit.) ma che, grazie alle sua applicazione, sta superando ogni limite tecnico che gli impediva di essere ritenuto degno di palcoscenici che poi ha effettivamente calcato.
Poi giovedì pomeriggio l’annuncio del ritiro di Roger Federer ha cambiato i miei progetti e immagino quelli di chiunque volesse o dovesse scrivere di tennis. Non era un evento inaspettato, per carità. Con la delicatezza che lo contraddistingue, Roger ha diluito il suo ritiro, facendoci abituare gradualmente all’idea che a breve avremmo dovuto fare a meno di vederlo giocare a tennis a livello professionistico. Eppure nessuno è rimasto indifferente all’annuncio.
Il lato nascosto
Fortunatamente, la grandezza di Roger Federer mi permette di mantenere immutato il focus del mio articolo originale. Del traboccante talento e del genio tennistico dello svizzero si è già letto di tutto nelle ultime 48 ore e sicuramente neanche io riuscirò a sottrarmi del tutto a questo tributo, ma credo si sia parlato troppo poco della sua abnegazione, del suo spirito di sacrificio e del suo lato battagliero, così ben camuffati da quei gesti bianchi da essere equivocati.
Senza queste qualità Federer non sarebbe andato così lontano e lo ricorderemmo come un Dimitrov qualunque (per inciso, avercene di Dimitrov!). Non so se è più fastidioso sentire che Federer non sia pugnace o che Nadal abbia poco talento; semplificazioni fatte ad arte per polarizzare gli appassionati e permettere loro di scegliere il proprio campione a seconda delle più elementari preferenze. Come si possa pensare che una persona che ha vinto 20 Slam non abbia dentro di sé un fuoco diverso rimane per me un mistero.
Anacronistico
Per capire quanto sia grande il lavoro dietro ai successi di Federer, bisogna parlare della più grande controindicazione del suo smisurato talento: essere anacronistico. Questa sua caratteristica è sempre stata descritta come un motivo di vanto, ma non si è quasi mai parlato del problema che comporta avere questo tipo di dono. Roger si è affermato nel momento in cui qualunque tipo di variazione e di soluzione più fantasiosa sembrava dovesse soccombere alla forza bruta. Non che Federer non fosse portatore di una violenza tennistica fuori scala. Il suo dritto (soprattutto fra il 2004 e il 2006) è stato un colpo ingiocabile.
Agassi diceva che tirare due volte di fila sul suo dritto equivaleva a perdere il punto ed era esattamente questa la sensazione che dava e, spesso, ciò che effettivamente accadeva. Queste manifestazioni di potenza assoluta erano spesso possibili dopo aver stordito gli avversari con una delle sue soluzioni imprevedibili e anacronistiche. Eppure, con la velocità di palla raggiunta nel nuovo millennio, provare soluzioni di tocco o giocare tutta la partita con i piedi attaccati alla linea di fondocampo è estremamente complicato anche solo da pensare.
In effetti, nei primi anni di carriera, come si fa per tutti i giovani talentuosi, ci si chiedeva perché non mettere da parte un po’ di quella fantasia per guadagnare un po’ di solidità. Veniva il dubbio che quel talento potesse essere poco utile o, comunque, meno funzionale di altre qualità al proprio obiettivo.
Per la propria strada
Eppure Federer, nonostante un inizio di carriera relativamente più lento rispetto a quello di tanti illustrissimi colleghi, non ha smesso di credere nella sua idea di tennis. Molti avrebbero abbandonato la strada vecchia per un’altra meno affascinante ma anche meno scoscesa (Andy Murray, ad esempio, ha represso parte della sua creatività per guadagnare solidità). Altri sarebbero naufragati nel proprio talento, magari accontentandosi di diventare oggetti di culto fra gli appassionati e venendo ricordati meglio di quanto effettivamente non siano mai stati come tennisti.
Roger Federer, invece, è anche mentalmente differente da chiunque altro e ha continuato imperterrito per la sua strada; solo questa sua determinazione gli ha permesso di raggiungere i suoi incredibili traguardi. D’altronde, saper colpire una pallina in controbalzo è talento, saperla colpire in controbalzo cinquanta volte di fila senza sbagliare è più facilmente riconducibile all’allenamento. Mantenere questo precario equilibrio così a lungo è impossibile senza applicazione, anche perché colpire la pallina con il giusto timing richiede una preparazione fisica eccezionale. Sicuramente, come ammesso anche da lui stesso giovedì, è stato fortunato ad avere così tanti doni (fra i quali c’è anche un fisico straordinario per quanto poco appariscente), ma è solamente merito suo averli saputi sfruttare al massimo.
In continua evoluzione
Questo è ancora più eccezionale se si pensa ai cambiamenti tecnico-tattici che lo svizzero ha attraversato nel corso degli anni. Federer si è affacciato al professionismo mentre Sampras ancora dettava legge con il suo gioco potente e verticale, ha vinto il suo primo Wimbledon giocando serve and volley e poi ha dovuto calibrare il suo gioco sulle enormi trasformazioni del tennis, in particolare quelle inerenti a superfici, telai e palline. I coetanei di Roger hanno attraversato questa tempesta affidandosi a stili di gioco tutti molto simili fra loro, mentre Federer, come detto, non si è mai limitato a fare il compitino da fondo e a schiaffeggiare con violenza la pallina.
Poi, prima ancora che questa generazione di giocatori risultasse vecchia, venne superata da quella successiva, guidata da Nadal, Djokovic e Murray. Questi giocatori hanno spinto ulteriormente il gioco in una dimensione che avrebbe dovuto soffocare del tutto il talento antico di Roger Federer. Invece neanche giocatori più freschi fisicamente, forti di una solidità da fondocampo sconosciuta fino a quel momento, sono riusciti a far cambiare il piano di gioco dello svizzero. Anzi, Federer è stato costretto ad esasperare il suo stile per contrastare i nuovi signori del circuito. Nei “10s” ha iniziato a giocare sempre più vicino alla riga di fondocampo, cercando soluzioni ancora più offensive e spregiudicate.
Federer al Roland Garros 2011
Nel 2011, prima della semifinale del Roland Garros fra Federer e Djokovic, ricordo nitidamente Wilander dire che era curioso di capire come Federer pensava di giocare tutta la partita attaccato alla linea di fondo su terra battuta contro un avversario ancora imbattuto in stagione. Il risultato fu forse la più grande vittoria di Federer sul rosso, grazie ad uno dei giochi su terra più spettacolari che si siano mai visti. Nel più iconico scambio della finale dell’Australian Open 2017, Federer non indietreggia mai, nonostante la pallina rimbalzi più volte nei pressi della riga di fondo. Prima di quella partita, disse: “Farò di tutto e di più. Voglio andare oltre e lasciare tutto qui in Australia. Se poi non dovessi camminare per 5 mesi andrebbe bene lo stesso”. Una sintesi perfetta delle varie anime dello svizzero.
Scambio che se mi compare dieci volte in bacheca lo riguardo quindici volte.
Umano tra i divini
A rendere più affascinante il personaggio, rimane una sua certa fragilità interiore, la cui esistenza non fa venir meno niente di quanto scritto. Il più divino dei campioni è anche il più umano, lo abbiamo visto spesso. Eppure è riuscito a combattere e vincere questa fragilità molte più volte di quante questa non l’abbia sopraffatto, mostrando una forza mentale straordinaria.
Giovedì Ljubicic, l’allenatore che ha accompagnato Federer in questi ultimi anni, ha detto di ricordare con estremo piacere la semifinale di Wimbledon 2019 vinta contro Nadal perché, prima della partita, Roger era molto preoccupato e si sentiva inferiore all’avversario. Dopo aver visto quella semifinale e il modo in cui è stata giocata, qualcuno avrebbe mai pensato che lo svizzero fosse così afflitto da questi timori prima di scendere in campo? Federer è riuscito a domare non solo i suoi avversari, non solo i cambiamenti del gioco, ma anche e soprattutto la sua indole. Nessuno sceglie la natura, le inclinazioni e i connotati con cui nasce, solo in pochi possono superarli.
L’eredità di Federer
Arrivati a questo punto, la grande domanda è come e quanto abbia inciso sull’evoluzione del tennis Federer, interrogativo la cui risposta è forse imponderabile ma che è interessante provare a dare. Per anni ho pensato che Roger avesse semplicemente costretto gli avversari ad alzare il proprio livello di gioco e non avesse inciso sull’evoluzione tecnico-tattico del tennis come altri campioni (in primis Borg, Lendl ed Agassi); pensavo si fosse limitato ad essere la massima espressione possibile del suo sport, non replicabile in alcun modo.
Poi, però, negli ultimi anni, mentre ci raccontavano che il tennis era destinato a diventare uno sport monotono praticato da automi tutti uguali e privi della benché minima inventiva, hanno iniziato ad affacciarsi al professionismo tutti quei ragazzi che sono cresciuti nel mito di Federer. E fra tanti che sembravano confermare i timori esposti, iniziavano a venir fuori tanti giocatori che provavano giocate che potevano aver visto fare solamente da una persona. Kyrgios, Tsitsipas, Berrettini, Hurkacz, Shapovalov, Tsitsipas, Musetti e Rune sono tutti giocatori che hanno ammesso di essere cresciuti nel mito di Federer (per non parlare di Alcaraz, che ha detto che il suo gioco è simile a quello di Federer).
Fonte d’ispirazione per le nuove generazioni
Sono convinto che da solo Federer abbia spinto moltissimi a provare a giocare come lui, avendo dimostrato che un altro tennis è possibile. Perciò, se oggi vediamo palle corte di dritto fintate che diventano chop profondi e taglienti, se vediamo passanti di rovescio a una mano di solo polso, se vediamo qualche tweener in più, se il tennis promette di essere molto più vario che in passato, sappiamo chi ringraziare.
È la stessa persona che ci ha insegnato che con il duro lavoro anche a fine carriera si possono superare i propri limiti per battere la propria nemesi proprio sul colpo che per anni ci ha provocato le maggiori sofferenze. Prima ancora che per tutte le emozioni provate per le sue partite, non smetterò mai di ringraziarlo per tutti questi insegnamenti, che magari non riuscirò a far fruttare al meglio su un campo da tennis ma che sicuramente nella vita mi saranno utili.
Consigli di lettura
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Avvocato e pubblicista, non giudicatemi male. Per deformazione professionale seguo qualunque fatto d’attualità. Non sono malato di sport, mi limito a scandire i periodi dell’anno in base agli eventi sportivi. Ogni tanto provo a fare il nerd, con risultati alterni.
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