Maschere del Carnevale sardo: Boes di ottana. Ph. Alessandro Vargiu

Un viaggio alla (ri)scoperta di antiche tradizioni

Che il Carnevale sardo non sia come gli altri lo si capisce già dal nome: Carrasecare, contrazione di carre de secare, cioè carne da fare a brani; non la carne macellata (quella si dice “petza”), bensì una vittima ancora viva, pulsante, da dilaniare come i Titani fecero con Dioniso su ordine di Era, in cerca di vendetta dopo che Zeus l’aveva tradita con la madre del malcapitato.

I seguaci di Dioniso, dio dell’estasi e della vegetazione che i protosardi chiamavano “Mainoles”, ossia il pazzo, il furioso, sbranavano vitelli o torelli vivi per ottenere protezione e abbondanti piogge; la scelta di questi animali non era casuale, infatti il dio si era tramutato in toro nel tentativo di sfuggire ai suoi carnefici. Ebbene, secondo l’antropologa Dolores Turchi, il Carnevale sardo avrebbe origine proprio da tali riti propiziatori.1

Sangue in cambio di pioggia

I riti in onore di Maimone, Mamuthone o Mamutzone (corruzioni di Mainoles), rappresentavano la passione e la morte del dio, che poi sarebbe rinato in primavera come le piante dopo la stasi invernale. Col passare del tempo si mise da parte la realtà in favore della finzione: non si sacrificavano più vittime umane e la tortura veniva simulata pungendo una sacca piena di sangue sotto ai vestiti; tuttavia, a Orgosolo, la convinzione che la terra avesse bisogno di sangue per produrre, era talmente radicata che fino agli anni ’30 i figuranti venivano feriti col pungolo dei buoi o uno spillone.2

La vittima sacrificale si reclutava tra i poveri, che accettavano il supplizio in cambio di soldi, o tra i malati mentali, incapaci di difendersi. Quando non c’erano volontari tra gli autoctoni, si rapiva un forestiero di passaggio: ubriaco fradicio, con le mani e i piedi legati, le corna sul capo e la faccia dipinta di rosso e nero, il poveretto veniva portato in giro per il paese su un carretto trainato dagli asini.

Nel Campidano le influenze esterne hanno mitigato il lato oscuro del Carnevale, ben conservato in Barbagia, ma non gli hanno fatto perdere la natura propiziatoria: ad esempio, nella Sartiglia di Oristano, la bontà dell’annata dipendeva dalle stelle centrate durante la corsa equestre.

Le maschere del Carnevale sardo

Il compito di rappresentare il mistero di Mainoles, o Maimone che dir si voglia, spetta alle maschere tradizionali. Di loro parlava già Bonaventura Licheri, un gesuita che partecipò all’evangelizzazione della Sardegna nel ‘700; in una poesia del 1769 intitolata a sant’Antoni ‘e su fogu, che in molti paesi segnava (e segna tuttora) l’inizio del Carrasecare, scriveva:

“(…) Pustis totu in cumbata
per i sos fogulones,
brincant sos Maimones
che un’inimigu.
Cun caratzas de ortigu,
matzocas e furcones,
che diaulos ladrones
insangrestados
De ossos garrigados
ligados in s’ischina,
a pedd’e istentina,
unu delitu.
Totu custu conflitu
fatu in numen santu,
est che paganu ispantu,
iscomunigados (…)”.3

Ossia:

“(…) Poi, tutti in combattimento
attorno ai falò,
saltano i Maimones
come nemici.
Hanno maschere di sughero,
clave e forconi,
alla maniera di demoni ladroni,
annientati.
Carichi d’ossa
legati alla schiena,
tenuti da intestini,
un delitto.
Tutta quella battaglia,
fatta in nome santo,
è come pagana meraviglia
voluta da quegli scomunicati“.

Le maschere dell’epoca erano in sughero, leggero e facile da intagliare, e venivano bruciate alla fine del rito (secondo la Turchi, questo è il motivo per il quale non ci sono pervenute maschere molto antiche); inoltre portavano carichi di ossa sulle spalle, il cui suono scacciava gli spiriti maligni e attirava la pioggia. Successivamente il legno ha preso il posto del sughero e i campanacci hanno sostituito le ossa, salvo in pochi casi.

Ma ora, con l’aiuto di Giovanni Porcu4 e Franco Stefano Ruiu,5 vediamo le maschere sarde più affascinanti.

1) Mamuthones e Issohadores di Mamoiada

I Mamuthones e gli Issohadores rappresentano le vittime scortate dai loro guardiani verso il sacrificio. Gli elementi che caratterizzano il costume del Mamuthone sono le pelli ovine rigorosamente nere (sas peddes), un complesso di campanacci del peso di 30 kg sistemato sulla schiena (sa carriga) e la maschera nera dall’espressione cupa, a volte sofferente, altre indecifrabile, con gli zigomi, il naso e la bocca prominenti (sa visera).

L’Issohadore, in abito maschile tradizionale, porta una cinta a tracolla con sonagli di ottone o bronzo (sos sonajolos) e tra le mani stringe la corda (sa soha) con la quale prende al laccio la vittima che tenti la fuga (a onor del vero cattura scherzosamente qualcuno tra il pubblico, che dovrà offrire da bere per essere liberato); talvolta indossa una maschera bianca, antropomorfa e inespressiva (sa visera ‘e santu).

Solo gli uomini possono mascherarsi, sebbene i costumi contengano elementi dell’abito femminile: il fazzoletto scuro nel Mamuthone (su muncadore) e lo scialle nell’Issohadore (s’issalletto).

Mamuthones e Issohadores: le maschere del Carnevale di Mamoiada.
Mamuthones (sulla destra) e Issohadores di Mamoiada.

2) Boes e Merdules di Ottana

Nel Carnevale di Ottana, il culto di Dioniso Mainoles s’intreccia col cosiddetto “culto del bove”, praticato fin dal Neolitico essendo il bue simbolo di forza, vitalità e fertilità. Gli elementi caratterizzanti del Boe sono le pelli ovine bianche (sas peddes), una cinta di cuoio con i campanacci appesi in semicerchio (su ‘erru) e una maschera bovina intarsiata (sa carazza ‘e boe).

Il Merdule tiene in una mano il bastone (su mazzoccu) e nell’altra la fune di cuoio (sa soca), che lo identificano come mere de ule (padrone del bue); il costume comprende anche le pelli ovine bianche (sas peddes) e una maschera nera antropomorfa, che può avere il sorriso deforme, i denti sporgenti o il naso adunco (sa carazza).

Anche in questo caso si possono mascherare solo gli uomini, pur indossando un elemento dell’abito femminile: il fazzoletto scuro (su muncadore) in entrambi i casi.

Il Carnevale sardo e le sue maschere: in foto Boes e Merdules.
Boe (in primo piano) e Merdule di Ottana.

3) Sa Filonzana di Ottana

A Ottana si può vedere un’altra figura sfilare per le vie del paese, vicino a Boes e Merdules: sa Filonzana, ossia la filatrice. Questa maschera s’ispira alle Parche greche, che hanno in mano il destino degli uomini. La impersona un uomo, il quale porta l’abito delle anziane sarde, una maschera nera antropomorfa e ovviamente il fuso, la conocchia e le forbici. Si avvicina agli astanti curva e zoppicante, minacciando di recidere il filo qualora non le offrano da bere (invero non lo fa, perché sarebbe di cattivo auspicio). Un personaggio simile c’è anche a Samugheo: sa Filadora.

Ottana: sa Filonzanza. Ph. Matteo Carta.
Carnevale sardo: sa Filonzanza. Ph. Matteo Carta.

4) Su Bundu di Orani

Su Bundu è una maschera di cui si erano perse le tracce fino agli anni ’50, quando iniziarono le ricerche dello storico nuorese Raffaello Marchi portate avanti negli anni ’80 dalla Pro Loco. Non è chiaro se rappresenti un essere in cui convivono la natura umana e quella bovina o se si tratti di un demone (secondo la Turchi, il nome risale alla dominazione spagnola e significa “spirito maligno”).

L’elemento caratterizzante è la maschera in sughero, unica tra quelle sarde, che presenta corna, naso adunco, pizzo e baffi posticci; il colore può essere naturale o rosso, ma in quest’ultimo caso le corna, i baffi e il pizzo devono essere rigorosamente bianchi. Completano il costume un soprabito nero, lungo e pesante, e un forcone di legno d’olivastro (su trivutzu).

Su bundu di Orani
Su bundu di Orani.

5) Su Battileddu di Lula

A Lula si rappresenta il sacrificio della vittima in modo cruento. Il protagonista è Battileddu, impersonato da un uomo che veste pelli ovine nere, sotto alle quali cela una parte di stomaco ovino pieno di sangue (su chentu ‘e puzzone); sul capo indossa le corna caprine, tra le quali è infilzata l’altra parte dello stomaco ovino (sa entre ortata); il viso è nero di fuliggine, la bocca sanguinante.

Questa maschera, riscoperta nei primi anni 2000 grazie alle ricerche sul campo della Turchi, è affiancata dai Battileddos issocatores, guardiani crudeli che gli pugnalano l’addome, e le Gattias, ossia le vedove, che piangono la vittima morente.

Carnevale di Lula: Battileddu. Ph. Giosa.
Su Battileddu di Lula. Ph. Giosa.

6) Thurpos di Orotelli

La maschera dei Thurpos, ossia i ciechi di Orotelli, è stata riscoperta negli anni ’70 grazie alle ricerche di Raffaello Marchi e di un’associazione intitolata a Salvatore Cambosu. Non è chiaro il significato della pantomima, ma alcuni la interpretano come la lotta contro i proprietari terrieri attraverso il capovolgimento dei ruoli (contadino e bue).

I Thurpos indossano un lungo soprabito in orbace nero (su gabbanu) provvisto di cappuccio, che rimane calato sul volto, i gambali di cuoio (cambales) e gli scarponi; portano a tracolla una cinta di cuoio con i campanelli e il viso nero di fuliggine.

Thurpos di Orotelli.
Thurpos di Orotelli.

7) Sa Cara ‘e monza di Aidomaggiore

A Aidomaggiore le donne impersonano sa Cara ‘e monza (la faccia della suora), che rappresenta la donna in lutto senza farne una parodia: infatti ha un portamento austero e abiti neri confezionati con tessuti pregiati (lana e cotone); porta un grembiule di pizzo nero o di un altro colore scuro e una maschera di cartapesta, bianca e nera, inespressiva come quella del Componidori di Oristano.

Sa cara 'e monza di Aidomaggiore.
Carnevale sardo: sa Cara ‘e monza di Aidomaggiore.

8) Su Componidori di Oristano

Su Componidori è il protagonista della Sartiglia di Oristano: il sacerdote della fertilità che benedice gli astanti con lo scettro floreale (sa pippia ‘e maiu) e tenta di centrare quante più stelle possibili con la spada e lo stocco, in groppa al suo cavallo, per un’annata fortunata.

Ne esistono due versioni: quella della domenica, che indossa l’abito del contadino, e quella del martedì grasso, che veste l’abito del falegname. La maschera androgina (ocra o crema), il lungo velo bianco, il cilindro nero e la camelia sul petto (rossa o rosa) sono gli elementi che caratterizzano il costume, che può essere portato anche dalle donne.

Componidoris de sa sartiglia, a sinistra della domenica, a destra del martedì
Componidoris della domenica (a sinistra) e del martedì (a destra).

9) Menzoni d’onore

Le maschere sarde sono numerose e descriverle tutte nello stesso articolo sarebbe dispendioso, ma alcune meritano almeno una citazione. Riguardo al binomio vittima-guardiano, oltre che a Mamoiada, Ottana e Lula, lo troviamo a:

  • Austis (Urtzus e Colonganus);
  • Samugheo (Urtzus e Mamutzones);
  • Fonni (Urthos e Buttudos);
  • Ulà Tirso (Urtzus e Bardianos).

Infine ricordiamo i Maimones, che secondo la Turchi rappresentano i seguaci di Dioniso Mainoles, bramosi di essere posseduti dal dio, e gli allegri Tumbarinos, i suonatori di tamburi di Gavoi.

La morte del dio-fantoccio e la fine del Carnevale sardo

Al momento di rappresentare la morte del dio, le maschere lasciano il posto ai fantocci, chiamati differentemente a seconda della zona. Il più comune è Zorgi (dal greco gheorgheo, ossia il fecondatore1) con le sue varianti:

  • Zorzi a Bolotana;
  • Zolzi a Aidomaggiore;
  • Giolzi a Bosa;
  • Giogli a Sassari;
  • Giolgi a Tempio Pausania.

Mentre a Cagliari c’è Cancioffali, a Iglesias Norfieddu, a Ovodda Don Conte, a Gavoi Zizzarrone, a Fonni Ceomo (da Ecce homo1), a Lodine Ziomo e a Mamoiada Juvanne Martis Sero.

A Bolotana – l’unico paese ad aver mantenuto l’annuncio della resurrezione caratterizzante i misteri dionisiaci – le prefiche che accompagnano Zorgi al sacrificio recitano:

Zorzi, lassa su piantu
ca non ses in pena ‘e morte,
si tikk’andas martis notte
za torras sappadu santu”.2

Ossia:

Zorgi, lascia il pianto
perché la tua morte non è duratura,
se te ne vai martedì notte
già torni sabato santo”.

All’imbrunire il fantoccio viene dato alle fiamme, a simboleggiare la morte del dio e la fine del Carnevale sardo.

 Consigli di lettura

Se l’articolo sul Carnevale sardo vi è piaciuto, leggete l’approfondimento sul Carnevale di Mamoiada: le maschere, le origini e i rituali.

Riferimenti bibliografici:
  1. Maschere, miti e feste della Sardegna, di Dolores Turchi (Newton Compton Editori);
  2. I carnevali e le maschere tradizionali della Sardegna, di Dolores Turchi (Newton Compton Editori);
  3. Poesie di Bonaventura Licheri (pdf);
  4. Carnevali in Sardegna, di Giovanni Porcu (Isola editrice);
  5. Maschere e Carnevale in Sardegna, Franco Stefano Ruiu (Imago);
  6. Alessandro Vargiu per la foto di apertura.

Scritto da:

Jessica Zanza

Blogger e giornalista, ho collaborato con L'Unione Sarda.
Sono cofondatrice e curatrice editoriale di Inchiostro Virtuale.
Per contattarmi, inviate una mail a: j.zanza@inchiostrovirtuale.it