Carnevale di Mamoiada

Un retaggio della Sardegna pagana

A Mamoiada, 2.380 anime nella Barbagia di Ollolai, il 17 gennaio inizia il Carnevale.1 Dimenticatevi i colori, l’allegria e l’irriverenza tipiche di questa festa, e preparatevi ad assistere alla passione e alla morte di un dio – Dioniso Mainoles – inscenate dalle maschere tradizionali.2

Le maschere del Carnevale di Mamoiada

I Mamuthones e gli Issohadores, connubio indissolubile del Carnevale mamoiadino (Carrasecare), vengono impersonati dai membri dell’Associazione turistica Pro Loco e dell’Associazione culturale Atzeni. Per tradizione, solo gli uomini possono vestirne i panni e tramandare l’usanza ai figli;3 c’è chi sostiene si debba scegliere se essere Mamuthone o Issohadore4 e chi, invece, afferma si possa interpretare entrambi nel corso della vita, data l’assenza di regole definite.3

Mamuthones

I Mamuthones, dodici come i mesi dell’anno, indossano pelli ovine nere (sas peddes) sopra un completo di velluto nero o marron (su belludu) con la camicia (sa camisa); ai piedi calzano gli scarponi da pastore (sos cusinzos), sul capo portano il berretto (su bonette) fissato con il fazzoletto dell’abito femminile (su muncadore), mentre il viso è celato da una maschera nera antropomorfa (sa visera).

La maschera conserva lo stesso aspetto dal XIX secolo:3 ha gli zigomi, il naso e la bocca prominenti, l’espressione cupa e tragica. In passato, ciascun Mamuthone la scolpiva da sé adattandola alla propria fisionomia, perciò si diceva che la maschera somigliasse al legittimo proprietario. Per realizzarla si usa il legno di ontano4 o quello di pero selvatico, come vuole la tradizione.1 La scelta del pero è dettata sia dalla praticità, infatti è leggero e s’intaglia facilmente, sia dalla mitologia essendo la pianta consacrata a Persefone, che per gli Orfici era la madre di Dioniso.2

Completano il costume un grappolo di campanelli appeso al collo (sas campaneddas) e un complesso di campanacci di 30 kg sulle spalle (sa carriga). Un tempo non lontano, i pastori prestavano i campanacci in segno di amicizia, recuperando i pezzi vecchi o sfilandoli dal collo degli animali.5 Per via della carriga, che dev’essere ben posizionata per non ostacolare i movimenti e suonare bene, i Mamuthones hanno bisogno di aiuto per vestirsi. La Pro Loco permette di assistere alla vestizione, invece l’Atzeni no.3

Mamuthone del Carnevale di Mamoiada. Ph. Proloco di Mamoiada.
Mamuthone. Ph. Proloco Mamoiada.

Issohadores

Gli Issohadores, otto in tutto, indossano l’abito tradizionale maschile, che si compone della camicia bianca in lino (sa camisa), la giacca in panno rosso (su guritu), i pantaloni bianchi in tela (sos cartzones), le ghette in orbace (sas cartzas) e le scarpe (sos cusinzos).

Portano lo scialle femminile (s’issalletto) legato alla vita e una fascia in cuoio con i sonagli di ottone o bronzo (sos sonajolos) a tracolla. Tra le mani stringono la corda (sa soha) da cui prendono il nome, che in passato era di cuoio, mentre oggi è di giunco;1 quello che apre le file ne ha un’altra incrociata sul petto.6

Completano il costume: il copricapo maschile (sa berritta), fissato con un fazzoletto colorato (su muncadoreddu), e in alcuni casi la maschera bianca antropomorfa (sa visera ‘e santu): i soci della Pro Loco la indossano, quelli dell’Atzeni no. Impossibile stabilire chi abbia ragione, perché la scelta non si basa su fonti scritte – al momento non pervenute – ma sulla tradizione orale, che fornisce versioni contrapposte.

Issohadore del Carnevale di Mamoiada. Ph. Pro Loco Mamoiada.
Issohadore. Ph. Pro Loco Mamoiada.

Le origini e i rituali del Carnevale di Mamoiada

Benché l’inizio del Carnevale mamoiadino coincida con sant’Antoni ‘e su fogu, cioè sant’Antonio abate, le sue origini sono probabilmente precristiane: secondo l’antropologa olienese Dolores Turchi, la festività cattolica ha assorbito i rituali propiziatori in onore di Dioniso (giunti con i popoli provenienti da est intorno al XIII secolo a.C.) per chiedere la protezione dalle entità malevole e l’arrivo delle piogge.

I riferimenti alla divinità sono presenti in Mamuthone, cioè la corruzione di Mainoles: un epiteto di Dioniso che significa pazzo, furioso. La presenza di numerosi templi a megaron in Sardegna e il ritrovamento di ceramiche nuragiche del XIII secolo a.C. a Creta, da cui ha origine il culto dionisiaco, supporta l’ipotesi degli scambi tra le civiltà protosarde e quelle cretesi-micenee.1-2

A onor del vero anche lo storico ed etnologo nuorese Raffaello Marchi si è interessato allo studio del Carnevale di Mamoiada, ipotizzando che avesse origine dagli scontri tra i Mori (Mamuthones) e i Sardi (Issohadores), con i primi che passarono dallo status di dominatori a quello di dominati.4

La danza dei Mamuthones e Issohadores

Come scritto poc’anzi, la prima uscita delle maschere tradizionali avviene il giorno di sant’Antonio. Gli Issohadores e i Mamuthones compiono tre giri intorno alle pire votive accese in ogni rione e piazza del paese: i primi agili e leggeri, i secondi lenti e pesanti, scuotendo a intervalli regolari sa carriga. Secondo alcuni studiosi, il passo pesante dei Mamuthones invita la terra a risvegliarsi, mentre il suono dei campanacci scaccia gli spiriti maligni.3

Le maschere escono altre due volte, la domenica di Carnevale e il martedì grasso, con le due Associazioni che sfilano l’una nella parte alta, l’altra nella parte bassa del paese, alternandosi ogni anno. Sulla falsariga del mito secondo cui Dioniso, sotto spoglie taurine, viene braccato e dilaniato dai Titani per volere di Era, tradita da Zeus con la madre dello stesso Dioniso, i Mamuthones incedono cupi e sofferenti scortati dagli Issohadores, pronti a prenderli al laccio nel caso tentino di fuggire (in realtà catturano alcuni spettatori, che per liberarsi dovranno offrir loro da bere).2

Juvanne Martis Sero

Il sacrificio di Dioniso Mainoles si concretizza il martedì grasso con lo smembramento di Juvanne Martis Sero, un fantoccio dalla testa di legno e il corpo imbottito di paglia. Il martedì mattina Juvanne viene caricato su un carretto adorno di frasche e portato in giro per il paese, senza seguire un itinerario preciso, accompagnato da una processione di prefiche con il viso annerito dal carbone, che recitano i pianti funebri (attitos):

Juvanne Meu prenu ‘e paza
mesu meaza, meaza ‘e mesa
torrami sa vresa ‘i mi c’as urau
Juvanne istesserau
Oro meu, Juvanne Meu“.7

Ossia:

“Giovanni mio pieno di paglia
mezza misura, misura mezza
restituiscimi il pane che mi hai rubato
Giovanni crepato
Oro mio, Giovanni mio”.

Nel frattempo fanno la questua di casa in casa, chiedendo il vino col quale riempire la testa di Juvanne per prolungargli la vita. Quando la processione arriva in piazza Santa Croce, all’imbrunire, si tenta un intervento d’urgenza per salvare il fantoccio. Dunque si estraggono i visceri (veri, di maiale) dal suo ventre, ma invano.

Con la morte di Juvanne Martis Sero si conclude il Carnevale di Mamoiada, ma in piazza si tira avanti fino a tardi tra buon cibo, vino e balli sardi.

Consigli di lettura

Se il Carnevale sardo vi affascina, leggete anche l’articolo sulla Sartiglia di Oristano.

Riferimenti bibliografici:
  1. I carnevali e le maschere tradizionali della Sardegna, di Dolores Turchi (Newton Compton Editori);
  2. Maschere, miti e feste della Sardegna, di Dolores Turchi (Newton Compton Editori);
  3. Carnevali in Sardegna, di Giovanni Porcu (Isola editrice);
  4. Maschere e Carnevale in Sardegna, Franco Stefano Ruiu (Imago);
  5. Sardegna Cultura;
  6. Pro Loco Mamoiada;
  7. Barbaricina.

Scritto da:

Jessica Zanza

Giornalista pubblicista, ex collaboratrice de L'Unione Sarda.
Sono cofondatrice e caporedattrice di Inchiostro Virtuale.
Per contattarmi, inviate una mail a: j.zanza@inchiostrovirtuale.it