Stefano Napolitano, l'Ultimo Moschettiere.

L’appassionante percorso di Stefano Napolitano può essere pienamente apprezzato solo raccontando i suoi esordi e le sue annate meno felici

Se si volesse semplificare in maniera estrema la parabola di Stefano Napolitano, si potrebbe riassumere in quella di un giocatore che solo a ventinove anni sta trovando il suo miglior tennis e i migliori risultati della sua carriera. Il suo si potrebbe definire quasi un andamento alla Paolo Lorenzi, pur essendo ancora lontano dai fasti del tennista toscano. Il percorso dei due, però, presenta delle differenze sostanziali, che meritano un’analisi per poter comprendere appieno il valore del terzo turno appena raggiunto da Napolitano al Master 1000 di Roma.

Paolo Lorenzi è stato il più fulgido esempio di classe operaia che va in paradiso, di quel giocatore apparentemente senza particolare talento, ma che con una dedizione assoluta e un quantitativo di fosforo sopra la media ha potuto raggiungere traguardi difficili anche solo da ipotizzare. Al contrario, Stefano Napolitano, classe 1995, è un giocatore atteso e poi dimenticato. Bisogna risalire addirittura agli anni della sua carriera giovanile per trovare i primi avvistamenti che avevano attirato l’attenzione del mondo del tennis italiano.

Napolitano, infatti, fa parte di una generazione di tennisti che magari non è stata la primissima ad essere monitorata su Internet già in tenera età, ma probabilmente è stata la prima seguita e commentata passo dopo passo su siti specializzati e forum da uno zoccolo duro di appassionati (non sempre in maniera costruttiva o edificante). Calamita e allo stesso parafulmine di tutto il movimento era Gianluigi Quinzi, su cui si riponevano aspettative enormi già quando era un bambino e che sono definitivamente esplose dopo la vittoria a Wimbledon jr. Per chi non l’ha vissuto è difficile spiegare quanto movimentò, emozionò e poi divise la community di appassionati; i suoi più fedeli tifosi lo chiamavano semplicemente GQ e non lo hanno abbandonato fino al suo ultimo giorno di carriera.

I Quattro Moschettieri

Le spropositate aspettative su Quinzi avevano portato un po’ a strascico delle attenzioni anche nei confronti dei suoi coetanei italiani, permettendo di conoscere meglio anche questi ultimi. La formazione giovanile che di solito si trovava a giocare insieme (o, comunque, quella ritenuta ideale) era composta ovviamente da Gianluigi Quinzi (1996), Filippo Baldi (1996), Matteo Donati (1995) e proprio Stefano Napolitano (1995). Complici le buone basi tecniche e anche alcuni successi ottenuti, capitava di vederli etichettati come “I quattro moschiettieri”, appellativo sicuramente simpatico, ma che nel tennis acquista un peso specifico particolare.

Questo soprannome, infatti, è quello con cui è passato alla storia lo storico gruppo di tennisti francesi che, a cavallo fra gli Anni Venti e gli Anni Trenta, fu capace di aggiudicarsi cumulativamente diciannove Slam e ben sei vittorie consecutive in quella che poi sarebbe diventata la Coppa Davis (all’epoca nota come International Lawn Tennis Challenge). La formazione era composta da Jean Borotra, Jacques Brugnon, Henri Cochet e il più noto – ma non per meriti strettamente tennistici – René Lacoste. Quasi un secolo dopo in Francia stanno ancora aspettando di rivedere campioni di quel calibro, nonostante la scuola tennistica francese sia stata generosa quanto a giocatori di personalità e di valore.

In ogni caso, tornando ai nostri ragazzi, nel meno impegnativo dei riferimenti, con il termine Moschettieri si poteva alludere alla squadra italiana che nel 1976 vinse la Coppa Davis (Panatta, Barazzutti, Zugarelli e Bertolucci), che molti hanno imparato a conoscere attraverso il recente documentario “Una squadra” e che solo pochi mesi fa ha trovato i suoi eredi. Un altro termine di paragone non propriamente poco impegnativo. Non che fosse richiesto a tutti questi giovanotti di vincere Slam o titoli ATP di particolare prestigio, ma in maniera affrettata si pensava che l’Italia avesse fra le mani un blocco di giocatori che avrebbe garantito risultati e stabilità che al tennis italiano mancavano da decenni.

Insieme a Quinzi, Napolitano è stato forse il primo ad affacciarsi al circuito Challenger con risultati incoraggianti; forse per qualche tempo sembrava essere addirittura più pronto al salto di categoria. Allo stesso modo, però, Napolitano è stato il primo di cui ci si è dimenticati. Mentre lui scivolava via dalla mente degli appassionati, in momenti diversi Donati, Quinzi e Baldi sembrarono avere la possibilità di affacciarsi sul circuito maggiore.

L’Ultimo Moschettiere

Fine 2022. La classe ’95-’96 ha effettivamente portato enormi soddisfazioni al tennis italiano. Artefici di questi successi, però, sono stati Lorenzo Sonego (1995) e, soprattutto, Matteo Berrettini (1996), due che, quando si parlava dei promettenti ragazzi italiani della loro generazione, non erano affatto sicuri che il tennis sarebbe stato il loro lavoro e il loro futuro. I più quotati coetanei, purtroppo per loro, si sono ritrovati a fare la fine non tanto dei Moschettieri, quanto piuttosto dei Templari, falcidiati non dal Re di Francia Filippo il Bello, ma da una serie di infortuni che ha chiuso anzitempo le rispettive carriere; tutte, tranne quella di Napolitano.

Beninteso, anche quest’ultimo ha sofferto una serie di infortuni che l’hanno messa in serio pericolo; come ha detto qualche tempo fa in un’intervista suo padre Cosimo Napolitano, personalità di un certo peso nel tennis italiano soprattutto nel mondo Challenger, “avrebbe avuto la possibilità di ritirarsi almeno 20 volte e non l’ha fatto”. Eppure Stefano è rimasto convinto dei propri mezzi. Magari ha pensato che anni prima qualcuno ci aveva visto lungo su di lui. Così per l’ennesima volta, quando nessuno avrebbe scommesso su di lui e forse si era dimenticato che fosse ancora un giocatore in attività, ha deciso di riprovarci.

La risalita non è stata facile, non solo tennisticamente. In sottofondo c’è stato anche un ronzio di accuse più o meno esplicite di godere di un trattamento di favore proprio per il ruolo del padre. Nella già menzionata intervista, Cosimo Napolitano ha affrontato il tema con estrema sincerità: “Mi è successo qualche volta di organizzare Challenger e io gli ho sempre dato fiducia e sono stato criticato: ma era un semplice atto d’amore verso un figlio che poi, quando ha giocato, lo ha fatto sempre egregiamente”. Una fiducia nel giocatore condizionata dall’amore per il figlio; volendo, anche un piccolo risarcimento per chi si è visto sottratto così tanto dal proprio corpo nel corso degli anni.

Il riscatto di Stefano Napolitano

Se, però, un paio di wild card possono essere “regalate”, lo stesso non può accadere con i punti ATP. Su questo non c’è critica che tenga e, vittoria dopo vittoria, Napolitano ha costruito una classifica che non ha mai avuto prima, vincendo tornei Challenger e avvicinandosi come mai prima d’ora ai primi cento giocatori del mondo. È così che è arrivato all’edizione 2024 del torneo di Roma, in cui ha ben figurato anche contro avversari di caratura superiore e ha dato ulteriore slancio a questa sua fase della carriera. Viene da pensare che effettivamente Cosimo Napolitano avesse visto sul campo qualcosa che noi che siamo dietro a uno schermo non potevamo vedere.

La cosa più intrigante di questo percorso è che Napolitano stesso non pensa che sia giunto a destinazione; al contrario, sente di avere ancora un margine di miglioramento importante e di poter progredire ulteriormente. In effetti, un giocatore della sua stazza (1,96m) potrebbe riuscire a cavare qualche vincente in più dal suo gioco, in particolare dal servizio; lui che contro Jarry (finalista del torneo, ancora non finito mentre questo articolo viene scritto, ndr), ha trovato il primo vincente della sua partita (persa due set a uno) addirittura dopo un’ora e ventotto minuti di gioco. In una partita comunque ben giocata, a fronte di tale statistica sarebbe sintomo di scarsa considerazione di sé pensare di aver raggiunto il proprio limite.

Stefano Napolitano, l'Ultimo Moschettiere del tennis italiano ai 2024 ATP Rome.
Stefano Napolitano, 2024 ATP Rome. Ph. ANSA.

In quest’ottica, le vittorie accumulate in questi mesi e in particolare quelle di questa settimana romana gli garantiranno le entrate necessarie per potersi permettere un allenatore. C’è un altro elemento che conferisce ulteriore dignità alla traversata di Stefano Napolitano: come ha spiegato lui stesso, il suo budget era stato impiegato principalmente per recuperare dai suoi infortuni e non poteva permettersi un coach. In maniera molto lucida ha spiegato che sì, l’esperienza accumulata negli anni lo ha aiutato, ma per migliorare tecnicamente e tatticamente serve necessariamente l’occhio esterno di qualcuno che sappia consigliarlo e indirizzarlo. Anche sotto questo aspetto non sembra che Napolitano abbia ricevuto grandi regali.

La sua carriera potrebbe finire domani e ciò non toglierebbe alcun valore alla sua parabola, espressione di molte delle cose belle che caratterizzano il tennis. Un po’ tutti speriamo in un lieto fine, qualsiasi cosa significhi per ognuno di noi, ma non abbiamo certezza che arriverà. Non sappiamo neanche se Napolitano sia un Moschettiere o un Templare, ma la storia ci ha insegnato che entrambi erano duri a morire, proprio come lui. Questa sua tenacia è l’unica certezza che abbiamo e tanto basta.

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Scritto da:

Lorenzo Picardi

Avvocato e pubblicista, non giudicatemi male. Per deformazione professionale seguo qualunque fatto d'attualità. Non sono malato di sport, mi limito a scandire i periodi dell'anno in base agli eventi sportivi. Ogni tanto provo a fare il nerd, con risultati alterni.
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