Amicizie 2.0, ovvero gli amici ai tempi dei social

Io e i social network

In questi mesi di limitazione personale ho ripreso casualmente una vecchia abitudine ormai dimenticata: chattare. Le mie esperienze in merito si fermavano sul limitare degli anni 2000 quando, poco più che ventenne, avevo iniziato a frequentare questi posti magici e pieni di amici che erano le chat.

Chiusa quella parentesi non ho quasi più usato i social: mi sono iscritta a Facebook solo nel 2009 e ho scaricato WhatsApp alcuni anni dopo. Li usavo, ma senza troppa convinzione: di uno mi mancava la comunicazione sincrona, infatti difficilmente trovavo gli amici online quando lo ero io; dell’altro ero ossessionata dalle chat delle mamme (chi ha figli in età scolare sa di cosa parlo).

La svolta è arrivata quest’estate, quando, per lavoro, ho dovuto scaricare Telegram, così ho scoperto che in vent’anni alcune cose erano cambiate, ad esempio le infrastrutture tecniche, ma altre restavano immutate come la voglia di parlare, confrontarsi e conoscere gente nuova.

Come siamo giunti a questo articolo sulle amicizie 2.0?

Inutile dire che oggi l’uso principale che faccio di Telegram non è quello lavorativo. In questi mesi mi sono ritrovata a parlare di tante cose con decine di persone su vari gruppi.

Di molti non ricordo neanche il nome, altri erano e sono rimasti semplici conoscenti, con alcuni abbiamo creato rapporti più stretti sentendoci quasi tutti i giorni, con poco più di un paio posso affermare che è nato un rapporto che continuerà nel tempo, perché l’amicizia e la frequentazione (dove le distanze lo permettono) sono diventate reali.

Essendo una persona curiosa ho cominciato a pormi delle domande: cosa ha spinto me e altre persone a cercare rapporti amicali, a volte piuttosto improbabili, in rete? Cosa spinge le persone a raccontarsi a uno sconosciuto? Cosa si cerca veramente in rete?

La mia indagine sulle amicizie ai tempi dei social

Per togliermi qualche dubbio ho fatto alcune ricerche. Non basta un click per farsi milioni di amici ma c’è bisogno di condivisone, fiducia e affetto, che si ottiene con un tempo minimo di 200 ore di frequentazione. Per l’amicizia occasionale bastano 40-60 ore.

Nelle amicizie da social network manca ciò che c’è alla base delle relazioni umane: il linguaggio del corpo e il linguaggio non verbale che comunicano le sfumature emotive.

Le ricerche sostengono anche che sulle piattaforme sia più semplice mentire e presentarsi agli altri in modo diverso da quello che si è realmente, mentre la maggior parte dei miei interlocutori sostenevano di sentirsi più liberi di esprimersi senza l’idea di essere giudicati a colpo d’occhio.

Così, decisi di sottoporre ai miei contatti un piccolo questionario per capire come la pensassero.

Chiedo preventivamente scusa a chi le ricerche e i sondaggi li fa di mestiere, questa è stata una semplice intervista senza gruppo di controllo e con un numero di partecipanti non alto, ma, considerando che era molto ben distribuito come fasce d’età – si va dai 12 ai 70 anni – e che in ogni caso questo è un blog e non una rivista scientifica, ho deciso che fosse comunque una buona base per alcune riflessioni.

Ecco le domande che ho sottoposto agli intervistati:

Testo del sondaggio

L’importanza di un nome

Nella prima parte del sondaggio ho voluto chiedere gli anni e le indicazioni sull’alias. Così ho notato che i ragazzini di 12-20 anni tendono a modificare molto spesso l’alias, forse in cerca di una propria identità?

Diversamente, nelle fasce d’età successive, l’alias diventa quasi una seconda pelle che viene modificato in alcune occasioni ma la radice, cioè il seme da cui è nato, resta sostanzialmente invariata.

Tu e i social

Nella seconda parte ho voluto indagare com’era il loro rapporto con i social e se la pandemia avesse o meno influito.

Ne è emerso che, nonostante il formale divieto, spesso si accede ai social prima dei 14 anni. Quelli più gettonati restano sempre WhatsApp e Facebook, a cui si sono aggiunti Telegram e Instagram. I più giovani utilizzano social musicali come Tik tok, mentre nella fascia degli anta va molto Pinterest.

Mentre i più giovani dichiarano apertamente che utilizzano i social per non annoiarsi o conoscere nuovi amici, dai 25 anni in su i social vengono usati principalmente (stando alle dichiarazioni) per mantenere il contatto con gli amici reali e seguire le proprie passioni. Buona parte del campione ha risposto che usa i social come mezzo d’informazione e dalla fascia 30/50 dichiarano di usare molto i social per lavoro. Residuale la parte che li usa per il game online.

In quasi tutti i casi, il lockdown ha influito sul periodo di fruizione, aumentando il tempo ad essi dedicato anche del 100%!

Amici 2.0 - Gli amici ai tempi dei social
Amicizie ai tempi dei social network: facebook, twitter, pinterest, snapchat, instagram.

Le amicizie ai tempi dei social

La terza sezione riguardava gli amici, che poi era l’oggetto principe della nostra ricerca.

La totalità degli intervistati ha dichiarato di avere amicizie miste, quindi sia dal vivo sia online, che vengono ritenute sostanzialmente uguali. Solo per un 20% (peraltro ben distribuito in tutte le fasce d’età) l’amicizia virtuale non può essere paragonata a quella reale.
Quasi tutti dichiarano perché – nelle giuste condizioni – le amicizie virtuali possono facilmente diventare vere amicizie che durano nel tempo.

Più controversa e meno netta la domanda “Hai mai confidato in rete cose che non diresti ad un amico/parente/fratello/genitore?”.
Il No è la risposta preferita ma esiste pure un 30% di campione che ha risposto Sì e che quindi preferisce parlare di sé a uno sconosciuto piuttosto che confidarsi con una persona conosciuta. Credo che la spiegazione vada trovata in Freud, il quale sosteneva che:

“L’analista deve essere opaco agli occhi del suo paziente, deve essere come uno specchio e non mostrargli altro che quello che il paziente mostra a lui”.

E cosa c’è di più opaco dello schermo di un pc?

Amicizie 2.0
Amicizie 2.0: gli amici ai tempi dei social.

L’amore dove meno te lo aspetti

L’ultima delle domande del mio test, peraltro facoltativa, riguardava l’amore in rete.

Al di là dei siti e delle app creati con il fine specifico di cercare l’amore o perlomeno una compagnia più o meno duratura, spesso l’amore spunta dove meno te lo aspetti: in un gruppo di cucina vegana, in una pagina dedicata alle piscine fuori terra o anche in una chat dedicata a qualche serie di anime dove sei entrato quasi per sbaglio.

Questo, oltre a quanto detto finora, rende la questione spinosa perché – data la natura stessa dei social, che di fatto mettono un filtro tra te e il mondo – ci si potrebbe innamorare di chiunque senza avere la minima garanzia che l’altro sia esattamente quello che dice di essere.

Catfish: false identità

Negli Stati Initi ha avuto un buon successo per circa 10 anni il docureality Catfish: The TV Show, trasmesso da MTV, dove venivano raccontate e spesso svelate le bugie delle relazioni online.

Il termine “catfish” indica una persona che, creando un profilo inventato (dal nome alle foto), instaura relazioni su basi fraudolente. L’idea della serie venne a uno dei conduttori, Nev Schulman, quando scoprì che la donna con cui aveva una relazione online non era quella che diceva di essere. Così nel programma, usando tecniche investigative, Nev e Max Joseph aiutano le persone a scoprire se il/la loro amato/a è veramente chi dice di essere.

Credo che in Italia la questione sia diversa per ragioni sia culturali sia geografiche. L’alfabetizzazione informatica è più arretrata, si è avuta una spinta ora con la pandemia perché si è stati costretti a ricorrere alla famigerata DAD (didattica a distanza) ma molti non erano e non sono ancora pronti perché non hanno pc o tablet e spesso neanche una connessione di rete fissa adatta. Insomma, restare connessi non era una priorità!

In secondo luogo non siamo negli Stati Uniti. Se chatti in Italia può capitare di conoscere una persona che poi si scopre essere il compagno di classe di tua cugina in Puglia o che la ragazza con cui parli tutti i giorni di fumetti in realtà abita a 3 km da casa tua e potete andare a prendere un caffè.

Posso però garantire che tutte le coppie che conosco si sono create in rete.

Amicizia 2.0 - Gli amici ai tempi dei social - Conduttori di Catfish
Conduttori di Catfish.

Amicizie 2.0: la parola agli esperti

Non volendomi basare esclusivamente sui testi e sulla mia (seppur divertente ma limitata) ricerca, ho deciso di coinvolgere una professionista, la Dott.ssa Giulia CM Clonfero, psichiatra e amica cui ho rivolto alcune domande sulle questioni che mi stavano più a cuore.

Dottoressa Giulia CM Clonfero
Dottoressa Giulia CM Clonfero, psichiatra.
Per prima cosa perché tante persone, non solo i giovani, oggi si rivolgono alla rete per trovare le amicizie?

“La rete consente di incontrare persone che condividono i propri interessi, persino quelli più di nicchia. In rete poi si incontrano, per definizione, persone che condividono l’obiettivo di socializzare, quindi si annulla la barriera che nella vita reale si frappone fra gli individui: “Sarà, l’altro, interessato al dialogo?”.

Il dialogo è importante ma, come abbiamo visto nel sondaggio, è emerso anche che la maggior parte degli utenti giovani (sotto i 25 anni) ha dichiarato di aver confessato ad amici virtuali cose che non direbbe mai a un adulto o a un genitore. Come si spiega?

“La rete offre una sorta di anonimato, anche se illusorio. Le persone si sentono protette dalla distanza fisica, che riduce il senso di allerta e di pericolo che un contatto potrebbe provocare, sconsigliando una maggiore intimità. La facilità con cui si incontrano persone che hanno vissuto esperienze analoghe alle proprie rende attraente la confidenza, molto rapidamente diventa prioritaria la relazione online rispetto a quella reale”.

Questa prospettiva, però, sembra non considerare i molti pericoli presenti in rete, è un fatto ormai assodato che in rete non tutto è come sembra. Perché ci si sente più liberi a parlare a degli sconosciuti?

“La valutazione del pericolo è legata biologicamente al senso di paura di una aggressione fisica. La mancanza del coinvolgimento del corpo nelle fasi iniziali della relazione rende il contatto più rassicurante. Ovviamente il senso del pericolo si riattiva in quelle situazioni in cui l’interlocutore in rete diventa aggressivo, anche solo verbalmente, spesso usando le confidenze ricevute, violando la privacy e condividendo le informazioni “segrete” che avrebbe dovuto, nella fantasia dell’interlocutore, custodire con cura”.

Dott.ssa Clonfero, molti hanno dichiarato che l’amicizia virtuale non è poi così diversa da quella reale; che opinione ha in merito?

“Indubbiamente l’amicizia virtuale è un’opportunità, anche se distinguerei le amicizie nate in rete da quelle coltivate in rete; soprattutto in questo periodo di distanziamento sociale, è davvero frequente che anche i compagni di scuola comunichino solo attraverso chat. Se da un lato questo salva le relazioni che altrimenti sarebbero del tutto annullate, dall’altro le impoverisce”.

E nel caso dell’amore?

“L’intensità emotiva, il coinvolgimento provato in una relazione online è assolutamente identico a quello che si sperimenta ogni giorno: dal punto di vista neurocognitivo le aree cerebrali che si attivano in un innamoramento virtuale non si distinguono da quelle che si attivano all’inizio del l’innamoramento reale.
A maggior ragione l’amicizia può essere autentica.
Purtroppo le persone in rete non sono migliori che altrove, perciò altrettanto facilmente si riveleranno deludenti. In generale si tende a frequentare persone con lo stesso tipo di assetto mentale che si è già sperimentato in relazioni precedenti. Anche in rete si selezionano inconsapevolmente persone con le quali si ripeteranno le stesse dinamiche interpersonali”.

Dott.ssa Clonfero, da cosa ci si può accorgere che la vita online sta surclassando quella reale? Quali sono i rischi e come se ne esce?

“Il tempo è il primo parametro. E qui la pandemia e il lockdown non aiutano: come si fa a dire che “è troppo” quando non esiste alcuna alternativa? Nei periodi normali, invece, una persona dovrebbe essere capace di attendere alle proprie faccende senza distrarsi continuamente. Ogni volta che riceviamo una notifica da un programma di messaggistica la nostra attenzione è distolta dal compito che stavamo svolgendo e non basta riprenderlo, la concentrazione necessità di circa 20 secondi per tornare al livello precedente. È chiaro che se le notifiche diventano incessanti l’attenzione rimane incostante e la concentrazione superficiale”.

Possiamo quindi parlare in qualche modo di dipendenza?

“Il fatto è che l’interazione sociale genera un output dopaminergico, esattamente come l’uso della slot machine o ingoiare un biscotto al cioccolato o fare sesso e tutta una serie di attività che attivano il circuito della ricompensa. Questo circuito è coinvolto nel meccanismo della dipendenza. Tanto maggiore è il piacere provato nel ricevere un contatto, tanto maggiore è il rischio della dipendenza. Il famigerato fenomeno degli hikikomori (giovani che non escono dalla propria stanza e generalmente vivono solo attraverso la rete) in alcuni casi è una estremizzazione patologica di questo fenomeno, in cui l’unico piacere interpersonale possibile sembra essere quello del personaggio che viene interpretato nei giochi online.

Il fenomeno della Internet addiction è studiato da più di 20 anni, ormai è chiaro che si tratta di una dipendenza tanto quando il tabagismo. Già nel 1995, Goldberg aveva stilato un questionario per valutare la dipendenza da Internet.

L’opinione diffusa fra gli esperti è che, a differenza della dipendenza da cocaina, non sia necessario eliminare del tutto l’uso della rete, con l’aiuto di uno psicoterapeuta la dipendenza può essere contenuta.

Chiaramente persone che soffrono di disturbi psicologici sono più vulnerabili e possono essere vittime di una dipendenza più difficile da controllare, in alcuni casi è utile rivolgersi a uno specialista delle dipendenze, un medico del SerD che può suppprtare anche farmacologicamente il percorso di cura”.

Quando tutto questo sarà finito riusciremo a tornare a una socializzazione offline oppure si è avviato qualcosa che porteremo avanti nel futuro?

“Quando non ci sarà più la paura del contagio si tornerà progressivamente alle relazioni consuete, sia reali che virtuali, i due tipi di vita si accompagneranno. Ma il tempo trascorso avrà senza dubbio creato delle abitudini che non saranno annullate, persisteranno”.

Ringraziamenti

Mai come per questo articolo mi sento in dovere di ringraziare. Oltre a Giulia, che si è resa disponibile a rispondere alle mie molte domande in tempi oserei dire improponibili, vorrei ringraziare Filippo, Elisa, Edoardo, Alessio, Ilaria, Andrea, Pasquale, Jessica, indistintamente a tutti i membri della Famiglia di S.A.O. e a quanti si sono carinamente prestati a rispondere alla mie domande sugli amici ai tempi dei social.
Grazie a tutti!

Consigli di lettura

Se l’articolo vi è piaciuto, leggete anche quello dedicato alla dipendenza da social network: sintomi, cause e rimedi.

Scritto da:

Cristina Stecchini

Mi chiamo Cristina, sono nata di giovedì e sono un sagittario!
Mi piace chiacchierare, conoscere persone e sono a mio agio anche a una festa in cui non conosco nessuno. Cerco sempre il lato positivo delle cose e il mio motto è "c'è sempre una soluzione"!
Maniaca della programmazione, non posso vivere senza la mia agenda.
Ho studiato linguaggi dei media e da quasi 20 anni mi occupo di comunicazione per una grande azienda di telefonia.
Nel tempo libero mi piaceva leggere, viaggiare, guardare i film, andare a teatro. Ora invece ho due gemelle di 7 anni che, se da una parte assorbono quasi tutte le mie energie, dall'altra mi hanno donato un nuovo e divertente punto di vista.
Per tutti questi motivi vi parlerò di storie e leggende.