Riflessioni a caldo sulla vittoria di Sinner agli Australian Open 2024
Una caratteristica che ho sempre apprezzato di Jannik Sinner è la sua ferrea volontà di avere il destino nelle proprie mani. Sin dagli esordi, quando era un goffo ragazzino con una matassa disordinata di capelli rossi che uscivano disordinati dal berretto, questa cosa era evidente. Nonostante giocasse contro avversari più formati di lui fisicamente, tecnicamente e mentalmente, già da quel magico challenger di Bergamo, in cui si rivelò ai più hipster fra gli appassionati di tennis, era chiaro che Sinner voleva sempre avere in mano lo scambio e prevalere col suo gioco fluido, veloce e pressante. Questa sua mancanza di mezze misure era uno dei limiti che gli venivano imputati più di frequente, oltre a qualche lacuna nelle soluzioni di tocco e una fragilità fisica la cui narrazione era stata accentuata da quella silhouette lunga e buffa che, esagerando, ricordava quella del personaggio Brook di One Piece.
Sono passati degli anni, neanche così pochi, nonostante Sinner sia ancora all’inizio della sua strepitosa carriera. La silhouette è rimasta quella (nonostante con un po’ di attenzione si possa notare un certo irrobustimento), sono cambiati l’allenatore, il ventaglio di soluzioni tecnico-tattiche a disposizioni e la lettura delle partite; la forza mentale, invece, c’è sempre stata. Dal 2023, dopo un anno in cui c’è stato qualche problemino fisico di troppo (anche se nessuno particolarmente allarmante) la crescita di Sinner è ripresa come ci si aspettava e, a partire dall’ultimo trimestre della stagione, è stato – senza esagerazione alcuna – il miglior tennista del mondo. Ha iniziato a vincere con continuità contro avversari di vertici, con cui fino a poco prima non sembrava avere possibilità (Djokovic e Medvedev su tutti). Ha trascinato l’ingrata Italia – quella dei titoloni sul “caso nazionale” – a vincere la Coppa Davis dopo decenni, permettendo ad Adriano Panatta e compagni di risparmiarsi le solite domande sulla vittoria in Cile.
Con queste premesse si giungeva agli Australian Open 2024. Il timore dei più era che i risultati recenti fossero frutto soprattutto della tipologia dei tornei in cui ha prevalso (indoor, in cui ha comunque sempre eccelso) e che non potessero essere trasferiti così facilmente in un torneo Slam, in cui bisogna vincere un set in più per portare a casa la partita. Eppure Sinner è arrivato in semifinale senza perdere un set, dove ha affrontato Djokovic e lo ha battuto in quattro set. Non travolgendolo di vincenti (32 a 31 per Djokovic), ma giocando in maniera estremamente solida, sbagliando poco e proponendogli palle sempre profonde. Quello che ha dato spessore alla sua vittoria, oltre al blasone dell’avversario, è l’aver resistito mentalmente come se nulla fosse al ritorno di Djokovic nel terzo set, dopo aver sprecato un match point. “Sono cose che càpitano nel tennis. Volevo farmi trovare pronto nel set successivo”. Il break che gli ha permesso di vincere l’incontro è arrivato in un game in cui era sotto 40-0, punteggio sul quale ha fatto una corsa dispendiosissima per recuperare una smorzata dell’avversario. Molti neanche sarebbero partiti, ritenendolo uno scatto inutilmente dispendioso in un game compromesso. Sinner ha dimostrato, come illustri suoi predecessori, che nel tennis non esistono rincorse e giochi inutili.
E poi è arrivata la finale di oggi (28 gennaio 2024, ndr). Per la prima volta in un match di questa importanza, Sinner partiva favorito e il timore era che potesse accusare la pressione, cosa che parzialmente è effettivamente accaduta. Per un set e mezzo ha giocato troppo contratto, lui che forse è il giocatore con il movimento dei colpi più fluido del circuito. Dall’altra parte della rete Medvedev ha impostato la partita come nessuno si aspettava. Il giocatore che più di tutti si trova a suo agio lontano dalla linea di fondo ha iniziato la partita giocando con i piedi dentro al campo, colpendo tutto in controbalzo e proiettando la sua azione verso la rete più volte di quanto abbia fatto nel resto del torneo e più di quanto le sue qualità nel gioco di volo lasciassero immaginare.
Sotto 3-6 1-5 la partita era in mano a Medvedev. Con mio enorme stupore, Sinner stava smentendo la premessa di questo articolo: il suo destino non era nelle sue mani. Ancora una volta, però, ci ha ricordato che non esistono punti e game inutili e recupera un break in una situazione in cui molti penserebbero già al parziale successivo; non è stato abbastanza per raddrizzare il secondo set, ma è stato decisivo per guadagnare campo e ritrovare sensazioni positive. Nessuno aveva il coraggio di dirlo ad alta voce, ma la partita era cambiata. Personalmente, una considerazione tecnica lasciava accese le mie speranze: il tipo di gioco proposto da Medvedev a inizio partita richiede lucidità e freschezza fisica per essere messo in campo. Se il match si fosse allungato, non avrebbe potuto portare avanti quel piano tattico e si sarebbe rifugiato in una posizione di campo più vicina ai raccattapalle (non si può più parlare dei giudici di linea, prossimi all’estinzione a causa dell’evoluzione tecnologica). Sembra un paradosso, ma nel momento in cui sarebbero venute meno un po’ di forze, verosimilmente avrebbe iniziato a usare una tattica fisicamente più dispendiosa ma per lui più sicura, nonostante l’eccezionale rendimento fino a quel punto della partita.
Ora possiamo togliere il condizionale da queste frasi e dire che ciò è effettivamente accaduto, ma non solo perché Medvedev ha iniziato ad accusare le precedenti 20 ore e rotte di torneo già giocate (ben sei in più del suo avversario), ma soprattutto perché Sinner ha ripreso in mano l’inerzia degli scambi e il proprio destino. Quei tre game di reazione in un set già compromesso sono stati un segnale all’avversario senza più molte forze e senza bandiera accanto al nome. I colpi sono tornati fluidi, pesanti e incisivi come negli ultimi mesi precedenti. Senza un punto di rottura evidente, ma con un logoramento graduale, la finale è girata dalla parte di Sinner. Dopo il terzo set solamente la più coriacea delle scaramanzie poteva impedire di vedere che solo pochi e sciagurati eventi potessero portare a un esito diverso dalla vittoria di Jannik, per molti italiano solo da quando il campo ne ha rivelato la natura vincente.
L’ultimo punto della partita è una staffilata di dritto come piace a lui, dopo aver giocato uno scambio solido come ha imparato a fare nell’ultimo anno. Un manifesto del percorso e dell’essenza di Sinner. I dati e il peso storico di questa vittoria li avrete letti un po’ ovunque, ben prima che questa finale si materializzasse, perché sapevamo sarebbe arrivato e ci stavamo preparando a questo momento. Non per questo è stato meno bello ed emozionante, soprattutto per chi seguiva quel buffo ragazzino ginger da qualche anno o per chi non sperava più di vedere in vita sua un italiano vincere uno Slam.
Oggi è festa, ma le critiche torneranno, sia che continui a vincere che non lo faccia più. Per qualcuno sarà forte ma non abbastanza per parlare di un campionissimo, per altri sarà stato fortunato o al più un fuoco di paglia. Noi, che siamo stati testimoni di questo momento storico, saremo qui a ricordare cosa è successo e in che modo è arrivata questa vittoria. Nessuno potrà togliere il valore e la gioia che questa vittoria ha portato a Sinner e ai suoi tifosi. Personalmente, nonostante il trasporto che provo durante le sue partite e la costanza con cui lo seguo, faccio fatica a definirmi un tifoso verace di Sinner. Cerco di reprimere il tifo irrazionale, l’unico che reputo autentico, lo stesso che ho esercitato con Federer, quello che ti fa stare per settimane su una nuvola dopo una vittoria o avvilito per molto di più dopo una finale persa. Ho vissuto troppo male la carriera di uno che ha vinto venti Slam per pensare di darmi con lo stesso trasporto ad altri che probabilmente vinceranno meno senza conseguenze sulla mia salute. E poi, parafrasando un celebre film, non ho mai più avuto idoli sportivi come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, chi li ha? Oggi pomeriggio, però, mentre scendevo di casa, sentivo una strana sensazione sotto i miei piedi. Mi sembrava di stare su una nuvoletta e il merito era di Jannik Sinner.
Consigli di lettura
Se l’articolo vi è piaciuto, leggete anche Bend it like Sinner, la promessa del tennis italiano.
Avvocato e pubblicista, non giudicatemi male. Per deformazione professionale seguo qualunque fatto d’attualità. Non sono malato di sport, mi limito a scandire i periodi dell’anno in base agli eventi sportivi. Ogni tanto provo a fare il nerd, con risultati alterni.
Potete contattarmi scrivendo una mail: l.picardi@inchiostrovirtuale.it