The Queen's Gambit

The Queen’s Gambit è la nuova miniserie targata Netflix, incentrata sul mondo degli scacchi e sull’ascesa di una giovane campionessa

Da ormai un po’ di tempo l’offerta televisiva e cinematografica si concentra sulla figura dei campioni. Spesso si realizzano film (Borg McEnroe) o docuserie (The Last Dance) su fuoriclasse realmente esistiti. Tuttavia può accadere che l’anatomia di un fenomeno sia tratteggiata raccontando le gesta di un personaggio di finzione. Quest’ultimo è il caso della miniserie Netflix del momento, “The Queen’s Gambit” (sette episodi che durano dai 47 ai 67 minuti), ispirata all’omonimo romanzo di Walter Tevis del 1983 e tradotta in italiano “La Regina degli Scacchi”; la traduzione del titolo sarebbe “Il Gambetto di Donna”, un tipo di apertura del gioco degli scacchi, sicuramente meno immediato del titolo italiano già scelto ai tempi per il romanzo.

La protagonista di The Queen’s Gambit

Protagonista della storia è l’orfana Elizabeth Harmon (Anya Taylor-Joy), le cui vicende, ambientate principalmente negli Anni Sessanta, vengono raccontate partendo dall’arrivo in orfanotrofio di Beth sino ad arrivare alla sua affermazione nazionale e internazionale come campionessa di scacchi.

Sebbene la protagonista di The Queen’s Gambit sia un personaggio fittizio (anche se si possono riscontrare alcune analogie con Bobby Fisher), il ritratto della sua psiche è estremamente utile e attuale per fare un paragone con quella di grandi campioni di qualunque disciplina. Sin dal momento in cui li ha scoperti grazie al custode del suo orfanotrofio (Mr. Shaibel, interpretato da Bill Camp) Beth è ossessionata dagli scacchi; sono il suo unico pensiero durante il giorno e, soprattutto, durante la notte (a tal proposito, è molto bella la messinscena delle partite giocate mentalmente sul soffitto da Beth).

Ogni volta che può si allena sulla scacchiera (che sia fisica o mentale), rigiocando partite del passato e leggendo libri e riviste sugli scacchi. La dedizione alla causa ricorda molto da vicino quella di tanti campioni sportivi che antepongono gli allenamenti a qualunque altra cosa, forti di una determinazione fuori dal comune. L’interrogativo che serpeggia per tutta la serie è dove finisca la sana passione e dove inizi l’ossessione tossica e se valga la pena focalizzarsi esclusivamente sul proprio obiettivo a scapito di tutto il resto.

Beth e la ricerca di equilibrio

La ricerca di un equilibrio costituisce uno degli elementi centrali della crescita di Beth, fulcro della narrazione di The Queen’s Gambit. Come detto, la storia inizia con la protagonista giovanissima (circa cinque anni), vessata da vicende familiari non proprio favorevoli, e termina con quest’ultima divenuta una giovane donna. Fra questi due momenti c’è una costruzione ed evoluzione eccezionale del personaggio. Gli eventi che ne hanno segnato sin da giovanissima la vita l’hanno inevitabilmente resa una bambina poco serena e con difficoltà a relazionarsi con gran parte delle persone (costituiscono un’eccezione la sua amica Jolene e proprio Mr. Shaibel), ancora più evidente nel momento in cui abbandona l’orfanotrofio.

In questa scarsa serenità si inserisce la dipendenza dai tranquillanti, sviluppata appena arrivata nella struttura di accoglienza e stigmatizzata soprattutto nel finale della serie. Nel corso delle puntate si aggiungono altri vizi e altre perdite, ognuno dei quali costituisce un ostacolo per giungere alla piena maturazione. In questo processo di crescita Anya Taylor-Joy è strepitosa nell’interpretazione di Elizabeth, essendo capace di mantenere il suo personaggio sempre fedele a se stesso (nei modi di fare, di agire, in molte movenze caratterizzanti il personaggio) ma comunque in costante cambiamento.

Emergere in un contesto dominato da uomini

Dato il contesto storico e la protagonista, The Queen’s Gambit non può che contenere anche un messaggio sulla possibilità delle donne di emergere in un contesto dominato dagli uomini. La tematica è affrontata con intelligenza: inizialmente molti dei comprimari fanno notare a Beth la difficoltà di affermarsi, ma questa non teme minimamente la cosa e non lo reputa un problema. Puntata dopo puntata la protagonista dimostra di avere ragione e così la presenza di una donna in un contesto prettamente maschile non viene più percepito come qualcosa di eccezionale ma come una cosa assolutamente normale; dopo pochi episodi nessuno fa più notare quella “stranezza”, quella “anomalia”, non si sottolinea più la straordinarietà di quella giocatrice in quanto donna, ma solamente in quanto fenomeno sulla scacchiera. Un approccio alla tematica molto efficace e convincente, lontano da qualunque tipo di retorica.

The queen's gambit

Altrettanto riuscita è la gestione delle relazioni interpersonali di Beth: che si parli di amicizie, rivalità, figure paterne/materne e interessi amorosi, la loro gestione risulta raramente banale; soprattutto le relazioni sentimentali escono abbastanza dai soliti cliché, sviluppandosi in maniera meno scontata di quanto ci si possa aspettare.

Per quanto riguarda quelli che forse sono i veri protagonisti di The Queen’s Gambit, vale a dire gli scacchi, le regole del gioco, le aperture, le strategie e i vari cenni storici lasceranno soddisfatti gli appassionati. Lo possiamo affermare soprattutto alla luce dei pareri di chi ha un’alta conoscenza degli scacchi piuttosto che per particolari conoscenze di chi scrive.

I comprimari

Passando ai comprimari, lo “zoccolo duro” è molto ben caratterizzato: Mr. Shaibel (Bill Camp) e Alma (Marielle Heller) sono rispettivamente la figura paterna e materna che non sembravano potessero esserci nella vita di Beth e con i quali si instaurano legami più profondi di quanto non fosse prevedibile. Harry Beltik (Harry Melling) e Benny Watts (Thomas Brodie-Sangster) oscillano fra i ruoli di rivali, mentori ed interessi amorosi senza che il passaggio all’uno o all’altro appaia forzato o innaturale.

Un po’ meno riusciti sono il personaggio di Townes (Jacob Fortune-Lloyd), l’uomo che veramente interessa a Beth, ben gestito ma non altrettanto ben scritto, e quello di Borgov (Marcin Dorocinski), il principale rivale scacchistico della serie che, pur essendo ben interpretato e offrendo alcuni spunti interessanti, rientra nel cliché del russo glaciale più vicino a una macchina che a un essere umano; una sorta di Ivan Drago degli scacchi che però non è stronzo come Ivan Drago. Le prove attoriali sono tutte di un certo spessore, con Harry Melling che forse merita una menzione speciale rispetto agli altri comprimari (e che magari fra qualche anno non verrà ricordato solamente per aver interpretato Dudley Dursley nella saga di Harry Potter).

Da ultimo, un elogio va alla colonna sonora, ben riuscita ed estremamente calzante con l’atmosfera della serie, con un riferimento particolare al “main theme” che ci accompagna nei momenti cruciali della storia.

Riflessioni finali

The Queen’s Gambit è un prodotto dalle molte sfaccettature: è una storia di formazione personale, di emancipazione femminile, di ascesa sportiva, di psicologia degli scacchi e degli scacchisti. Aspetti che sono in perfetto equilibrio fra loro, in cui raramente uno prevarica sull’altro e che godono di una messa in scena di qualità. La visione è caldamente consigliata a un pubblico piuttosto trasversale.

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Scritto da:

Lorenzo Picardi

Avvocato e pubblicista, non giudicatemi male. Per deformazione professionale seguo qualunque fatto d'attualità. Non sono malato di sport, mi limito a scandire i periodi dell'anno in base agli eventi sportivi. Ogni tanto provo a fare il nerd, con risultati alterni.
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