Il lutto in Sardegna tra gli anni '50 e '60

Testimonianze sul lutto nella Sardegna che fu

Non c’erano i soldi per comprare abiti neri per tutta la famiglia, quindi le persone tingevano i propri di nero utilizzando una tinta”. Comincia così, tra la nostalgia e l’attesa di suscitare curiosità, il racconto di Gianni, iglesiente, che descrive come si viveva il lutto in Sardegna tra gli anni ’50 e ’60, quando era bambino.

Le famiglie erano quasi tutte numerose – prosegue – quindi era impensabile, soprattutto quando lavorava solo il padre, e solitamente nel Sulcis faceva il minatore o l’operaio e i figli erano almeno tre, acquistare abiti neri a tutti per il periodo del lutto”.

Un lutto in famiglia: una delle poche cose comuni a tante e tante generazioni, ma che con il passare dei decenni viene considerato e affrontato in modi diversi. Talmente diversi che nel 2023 alcune pratiche del passato sembrano eccessive, tanto da suscitare addirittura qualche sorriso.

1) Le vedove dovevano rispettare il lutto a vita

La morale comune voleva che, per un periodo che durava da due settimane fino a tutta la vita per le vedove, la famiglia del defunto si riconoscesse per la città o il paese indossando abiti neri e tenendo un certo “rigore”, evitando di mostrarsi sorridenti e divertiti, vestirsi con abiti chiari o colorati.

Le vedove avrebbero dovuto rispettare il lutto per il marito defunto vita natural durante, e se qualcuna iniziava una frequentazione con un altro uomo, la teneva segreta come se fosse una ladra.

I cittadini sennò avrebbero pensato male”, dicono quasi all’unisono Gianni e Luisa, 78 anni, anche lei iglesiente. – Le storie clandestine tra vedove e nuovi frequentatori ovviamente c’erano, ma venivano tenute nascoste e, appena veniva a galla qualche dettaglio, ci si ricamava sopra come fossero leggende misteriose”.

2) In Sardegna anche i bambini dovevano rispettare il lutto

Noi bambini non potevamo farci scappare una risata o un minimo atteggiamento divertito, perché avremmo fatto brutta figura e l’avremmo fatta fare anche ai parenti – continua Gianni -, inoltre eravamo quasi costretti a baciare il morto, soprattutto se parente stretto, e non c’era capriccio che tenesse. Ricordo come se fosse ieri quando ho baciato mia nonna defunta”.

I bambini, così come gli uomini, avevano l’obbligo di indossare una fascia nera al braccio oppure un bottone, anch’esso nero, per almeno due settimane dalla morte del parente – racconta Caterina, di Iglesias.

I bambini dovevano portare una fascia nera al braccio in segno di lutto in Sardegna.
Zio Aldo da bambino (foto di Alessandra Leo).

3) Le processioni dalla casa del defunto al cimitero

Un’altra usanza era quella di recarsi a piedi dalla casa del defunto al cimitero: un gruppo di persone da noi intervistate che abitavano a Villa Marini, storico villaggio minerario alle porte di Iglesias, ricordano bene la lunga camminata durante i funerali, tra cui quello di una sorellina morta prematuramente.

Anche se piccini partecipavano come adulti alla messa e alla sepoltura: “C’era una maggior considerazione dei morti e dei preparativi alla sepoltura – dice Caterina – si trattava di vere e proprie giornate lunghe e piene in cui i parenti del defunto non venivano lasciati soli”.

Oggi queste usanze sembrano quasi assurde ma i nostri genitori, i nostri nonni e bisnonni, le hanno vissute e le raccontano come se fossero accadute solo qualche anno fa. Le hanno davanti agli occhi, con i quali hanno visto la società cambiare diverse volte ed è per questo che si tratta di storie preziose da custodire nella mente e nel cuore come rari gioielli.

Articolo pubblicato su Sardegna Live.


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Scritto da:

Alessandra Leo

Mi chiamo Alessandra Leo, sono laureata in Scienze della Comunicazione e pubblicista.
Adoro il mondo beauty, in particolare il make-up e la skincare, ma un'altra mia passione è l'esoterismo e tutto ciò che riguarda streghe e magia.