Sant'Antoni 'e su fogu, Antonio abate rappresentato nell'atto di rubare il fuoco al demonio.

Un culto cristiano dalle radici pagane

Nella notte tra il 16 e il 17 gennaio, in molti paesi della Sardegna hanno luogo i festeggiamenti in onore di sant’Antoni ‘e su fogu, ovvero sant’Antonio abate. Il culto è particolarmente sentito e radicato in questa terra a vocazione agropastorale: infatti Antonio è considerato il protettore degli animali domestici,1 in particolar modo i maiali, onnipresenti nella sua iconografia.

Raffigurati in braccio o al piede sinistro di Antonio, simboleggiano la riprovazione per i peccati della carne e al contempo la loro sottomissione verso il santo; tuttavia fra gli studiosi c’è chi propende per un significato più materiale, giacché gli ordini antoniani erano gli unici autorizzati dal papa ad allevare i suini a spese della comunità.2

Le loro carni sfamavano i poveri, mentre con il lardo si preparavano degli unguenti per medicare il “fuoco di sant’Antonio”: uno sfogo cutaneo molto doloroso causato dall’Herpes zoster.

Gli altri simboli legati ad Antonio abate sono il bastone a T, che indica sia la croce cristiana egizia (tale era l’origine del santo) sia la gruccia degli invalidi a causa dello zoster, e naturalmente il fuoco con la sua ambivalenza, che può proteggere e allo stesso tempo distruggere.

Antonio Abate, sant'Antoni 'e su fogu. Iconografia cristiana.
Sant’Antonio abate, protettore degli animali domestici.

Le origini del rito di sant’Antonio

Proprio il fuoco è al centro del rituale, da cui il nome “sant’Antoni ‘e su fogu“, sant’Antonio del fuoco. L’usanza di accendere delle pire votive in suo onore è documentata dal XIX secolo3 e si basa sulla leggenda ispirata al mito di Prometeo, secondo cui il santo, mosso da pietà, rubò il fuoco a Satana per donarlo agli uomini, che Dio aveva punito col gelo per i loro peccati.4

Approfittando dello scompiglio causato dal maialino, suo fido compagno, riuscì a portar via il fuoco grazie al bastone di ferula, che brucia senza fiamma; al rientro dagli Inferi, dal bastone scaturirono le scintille che si sparsero nel mondo terreno.5

Secondo un’altra ipotesi, il rito ha origini protosarde ed era dedicato a Mainoles, ossia Dioniso, al quale si chiedeva la pioggia e dunque prosperità:6 dal modo in cui divampavano le fiamme e dalla direzione del fumo si poteva prevedere la bontà dell’annata.1

Le tradizioni legate a sant’Antoni ‘e su fogu

Per tradizione la pira si allestisce con i tronchi cavi delle querce (is tuvas) e si accende il 17 gennaio, come a Nuoro,7 o la vigilia, come a Mamoiada e tanti altri paesi, lasciandola ardere fino a completa carbonizzazione.6 A Dorgali la catasta rovente diventa un albero della cuccagna, che reca in cima la croce con le arance infilzate; ai più temerari l’arduo compito di recuperarle!3

Un’altra usanza è su bicchiri (da Bucheros, Dioniso fatto bue6) o ballu tzoppu, dal ritmo claudicante,8 che prevede sei giri di ballo sardo intorno al rogo, tre in senso orario e tre in senso antiorario, con i dolci tradizionali in mano (s’inghiriu).9

Preparati con farina, frutta secca, miele, saba, scorze e aromi, i dolci vengono offerti ai presenti dopo la benedizione; is tilicas, copuletas e pabassinas sono diffuse ovunque, mentre su pistiddu e sa paniscedda sono tipiche del nuorese.

In Barbagia sant’Antoni ‘e su fogu segna l’inizio del Carnevale, con le maschere tradizionali che girano per tre volte intorno alla pira, alternando i sensi orario e antiorario, rituale che simboleggia la discesa di Antonio negli Inferi e la sua risalita (almeno secondo la tradizione cristiana).10

Riti propiziatori

Il 17 mattina i porcari sacrificavano un maiale in onore di sant’Antonio, offrendone le carni arrostite ai compaesani raccolti intorno al rogo;1 invece i pastori di Siligo invocavano la sua protezione con queste parole:

Antoni chi sos caiveddos (Antonio il cui cranio)
già ti lughen’ che avaida (ti luccica come vomere)
prega po so moitheddos (prega per il formaggio)
e po sas baccas anzadas (e per le vacche)”.11

A festeggiamenti conclusi, le donne raccoglievano i tizzoni per accendere il fuoco nelle case, mentre gli uomini disperdevano le ceneri nei campi, come gesto beneaugurante;7 invece i bambini si annerivano il viso col carbone.12

Riti di guarigione

A sant’Antoni ‘e su fogu si chiedevano grazie e intercessioni per gli ammalati. Ad esempio, a Bosa e Mamoiada si beveva da una campanella (anch’essa presente nell’iconografia antoniana) l’acqua benedetta per guarire dalle balbuzie.7

A Nule s’invocava la guarigione da scottature, storte e dolori, tenendo premuto un pezzo di pane benedetto sulla parte offesa, nel frattempo che si recitava questa preghiera:

“Sant’Antoni de su fogu (sant’Antonio del fuoco);
de sas animas cossòlu (consolazione dell’anima)
de su mundu allegria (allegria del mondo)
cussa grassia chi bos pedo (quella grazia che vi chiedo)
accansada mi siada (mi sia concessa)
comente bos la pedo (come ve la chiedo)
sant’Antoni de Deu (sant’Antonio di Dio)
bos ammentu su babbu meu (vi rammento mio padre)
ei sa mama mia (e mia madre)”.11

Singolare era la cura del fuoco di sant’Antonio, che consisteva nel far cadere le scintille della pietra focaia sulla pelle infiammata; affinché funzionasse, il rituale doveva essere compiuto da qualcuno che avesse assassinato un uomo in pubblico, in alternativa il più giovane o il più vecchio di sette fratelli oppure un pastore che avesse marchiato tutti i suoi capi con lo stesso segno.12

Consigli di lettura

Se l’articolo vi è piaciuto, leggete anche quello dedicato al culto dei santi: miracoli e punizioni divine.

Riferimenti bibliografici:
  1. Mura Giovanna Angela y Caterina Soro. “Il fuoco nella fraseologia spagnola e sarda: cultura e tradizioni popolari”. Culturas Populares. Revista Electrónica 6 (enero-junio 2008), 17 pp. ISSN: 1886-5623;
  2. Il fuoco di sant’Antonio: storia, tradizione e medicina, di Carlo Gelmetti (Springer);
  3. Fuoco di sant’Antonio abate a Dorgali, articolo di Sardegna Cultura;
  4. Carnevali in Sardegna, di Giovanni Porcu (Isola editrice);
  5. I luoghi e i racconti più strani della Sardegna, di Antonio Maccioni (parte della serie Quest’Italia);
  6. Maschere, miti e feste della Sardegna, di Dolores Turchi (Newton Compton editori);
  7. La festa di sant’Antoni de su fogu, articolo pubblicato su Contus antigus;
  8. Sant’Antoni ‘e su fogu, articolo di Alberto Marceddu su Focus Sardegna;
  9. Sant’Antonio abate e su fogarone tra venerazione e tradizione popolari, articolo di Cristoforo Puddu;
  10. I carnevali e le maschere tradizionali della Sardegna, di Dolores Turchi (Newton Compton Editori);
  11. Canti popolari in dialetto logudorese, di Giuseppe Ferraro (Nabu Press);
  12. Leggende e racconti popolari della Sardegna, di Dolores Turchi (Newton Compton Editori).

Scritto da:

Jessica Zanza

Giornalista pubblicista, ex collaboratrice de L'Unione Sarda.
Sono cofondatrice e caporedattrice di Inchiostro Virtuale.
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