Viaggio alla scoperta della Medicina tradizionale sarda, fra rituali ed erbe curative
La zia Fiorenza pone sotto il naso della madre il bicchiere, ed esclama con voce cupa: «Il poveretto di vostro figlio è colpito dal cattivo malocchio. A chi hai tu fatto vedere il bambino?»
«Ho portato il bambino sulla piazzuola della chiesa, e c’era il medico, l’organista, il sagrestano, il barbiere, il priore della confraternita di Santa Croce e molti altri.»
«Ha qualcuno guardato il bambino?»
«E come! Tutti dicevano: quanto è bello, ed il barbiere lo guardava con due occhi stralunati, e diceva: “È proprio bello il figlio di Comare Cicita”…»
Che ci piaccia o no, esistono dei momenti che fanno da spartiacque nella Storia di un popolo.
La Sardegna ha avuto una esistenza turbolenta e non basterebbe un singolo scritto per parlarne. Perciò faremo cominciare il nostro discorso all’indomani della Seconda Guerra Mondiale; quando dall’Occidente si fece largo una corrente progressista che trasformò radicalmente il tessuto sociale sardo e, col passare dei decenni, rese delle tradizioni, delle abitudini radicate, qualcosa da riscoprire e da raccontare perché non si perdesse del tutto la dimensione in cui viveva chi ci ha preceduto.
Stiamo parlando della Medicina tradizionale Sarda.
Non è la sede giusta per valutare la credibilità scientifica delle pratiche mediche sarde, quanto invece il loro valore storico e antropologico per chi le studia adesso. Conoscere le tradizioni ci aiuta a capire che le persone dei tempi passati vivevano e pensavano in maniera diversa da noi.
In realtà neanche tanto diversa, considerato che questa realtà è in parte ancora esistente e diverse persone affermano di trarne ancora beneficio. Allora, cominciamo! Ma prima…
Occhio a ciò che guardi
Se c’è una cosa a cui la gente sarda ha sempre dato tanta importanza, fino a farla diventare quasi un’ossessione, è l’occhio. O meglio: lo sguardo.
Guardare lungamente qualcuno – specialmente un bambino -, un animale, un oggetto, oppure esprimere troppa ammirazione, erano cose che venivano viste con una pessima luce dalle persone.
Allo sguardo veniva spontaneo associare un desiderio, il desiderio di qualcosa o qualcuno che apparteneva a qualcun altro.
Ecco che l’occhio diventava S’ogu malu, il malocchio, e con la sua influenza poteva esercitare anche gravi danni.
S’ogu malu poteva farti cadere da cavallo o farti ammalare. Anche nell’antica cultura sarda ritroviamo la compenetrazione tra il mondo della malattia e quello del potere maligno.
Ma se la gran parte di noi ha occhi per guardare, come ci si proteggeva dal malocchio?
Per prima cosa bisognava costantemente prevenirlo. C’erano diverse maniere per proteggersi: per cominciare, lo scongiuro del tocco e della parola.
Se un bimbo riceveva un complimento, bisognava toccarlo e pronunciare formule come “Non li poner oju” (Non gli mettere occhio/Non jettarlo).
La persona che aveva buttato S’ogu malu veniva indicata con un gesto particolare, detto Sas ficas, che consisteva nel mettere il pollice tra indice e medio con il pugno serrato.
Più scenografico era lo scongiuro dello sputo, si sputava tre volte per scacciare la cattiva fortuna (e sì, se ve lo state chiedendo poteva succedere che una madre sputasse in testa al proprio bambino).
C’erano amuleti che, se usati nel modo giusto, potevano fare da scudo contro il malocchio; esempi sono Sa Sabegia e Su Coccu.
Malocchio e guarigione
Però poteva capitare che una persona non si rendesse conto subito che un suo familiare, oggetto o animale fossero stati colpiti dal potere infido di uno sguardo. Che fare in quel caso?
Le comunità sarde potevano contare sull’assistenza ad opera di figure in bilico tra paganesimo e cristianesimo: le Meigadoras, osteggiate per i loro rituali dal clero cattolico e capaci di praticare Sa mexina de s’ogu, la medicina per farla finita con il malocchio.
Il rituale era assai suggestivo. Sa meigadora doveva anzitutto verificare che si trattasse davvero di malocchio. Lo faceva buttando cinque chicchi di grano in un bicchiere d’acqua gentilmente presa in prestito da un’acquasantiera.
Solitamente proseguiva recitando il Credo e i Brebus, delle speciali formule adatte a guarire la persona colpita.
Su ballu ‘e s’argia, ossia la danza della malmignatta
Avete presente la psicosi da ragni velenosi che affiora ogni tanto sulle pagine web? Ecco, senza nulla togliere a questa credibilissima – e per nulla esasperata – narrazione, qualche volta poteva succedere di ricevere un morso da un ragno.
In Sardegna era particolarmente temuta S’Argia, ovvero la malmignatta (vedova nera mediterranea), per il suo morso mortale.
Si credeva che S’argia fosse la femmina del ragno, e che per gestire l’avvelenamento bisognasse per forza capire il suo “stato”. Era nubile, coniugata o vedova?
La vittima veniva fatta distendere e ricoperta con del letame. A quel punto cominciavano le danze: prima sette nubili, poi sette vedove e sette donne coniugate. Poiché la persona tremava per l’effetto del veleno, nel momento in cui cessava il tremore si poteva identificare lo stato della malmignatta.
Presumibilmente, il fatto di coprire la vittima col letame poteva essere utile per favorire una copiosa sudorazione (visto che il letame produce calore).
L’acqua e il sonno
Per trovare un sollievo dai propri acciacchi, la gente sarda si avvaleva di un rimedio approvato anche da noi moderni: le acque calde delle terme. I tre siti storicamente noti per essere delle sorgenti termali sono quelli di Sardara, Fordongianus e Benetutti. Anche l’acqua riveste un ruolo preminente nella tradizione; degli studi hanno mostrato che nel periodo nuragico la sorgente di Sardara doveva essere un centro nevralgico per il culto femminile delle acque.
Mentre il sonno, quando ottenuto con erbe o funghi ad azione psicotropa, poteva servire a curare i mali della psiche (come l’epilessia, le ossessioni, le allucinazioni). Il rito dell’incubazione avveniva dentro un nuraghe.
“[…]Un certo eroe della Sardegna liberava dalle visioni coloro che andavano a dormire nel suo tempio…”
[Aristotele]
Le erbe nella Medicina tradizionale Sarda: una farmacia collettiva
Veniamo ai problemi più concreti – dal nostro punto di vista – che le persone dovevano affrontare. Gli uomini e le donne di allora erano pur sempre esseri umani, potevano soffrire di disturbi della pelle, delle articolazioni e così via.
In molti paesi della Sardegna esisteva una figura la quale, tra le altre cose, poteva essere contattata per curare queste affezioni: Sa Pratica, una donna pratica, appunto.
Per fortuna la Sardegna di erbe è ben fornita, per la sua condizione di isolamento e per la geomorfologia del territorio. Se l’Isola ospita circa 3.000 specie vegetali, ben 397 di queste sono riconosciute come piante medicinali: diverse sono endemiche, cioè esclusive della Sardegna.
Qualche esempio di automedicazione naturale ci arriva dall’Ogliastra, una delle regioni storiche della Sardegna. Conosciuta anticamente come Barbagia Trigònia, è una zona che ha conservato abbastanza bene quest’aspetto della sua identità, come testimoniato da numerose interviste.
La tradizione orale testimonia, per citare qualche caso, l’infuso di foglie di oleandro (Lionaxi) come disinfettante esterno, il cataplasma di foglie di gigaro punteggiato (Satzaròi) per curare le ustioni; l’olio dei frutti di lentisco (Moddissi) per trattare la scabbia; il decotto dei rami di Capelvenere (Erba chi non infunde) per combattere l’odiata forfora.
Ancora, l’impacco di foglie di pervinca sarda (Proinca) per curare l’articolazione del ginocchio, l’impiastro delle foglie di bietola (Eda) per le contusioni; il decotto del rizoma e dei rami di felce maschio (Finisci masculu) massaggiato sulle parti colpite da artrite.
Questo breve viaggio nella storia della Medicina tradizionale Sarda termina qui. Pensandoci bene potrebbe essere una degna coda della serie che vi ha fatto compagnia durante l’anno scorso, dedicata alla storia della Medicina del Vecchio Mondo.
Consigli di lettura
Per saperne di più sulle piante officinali sarde, quelle più rare, leggete larticolo sulle piante endemiche della Medicina sarda.
FontiGianmichele Lisai – 101 Storie sulla Sardegna che non ti hanno mai raccontato |
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Ogni soggetto può essere raccontato, se hai la pazienza di conoscerlo a fondo.