In qualche modo parliamo di vino, se ne sconsiglia la lettura da sobri!
Essendo quasi astemia mi suona strano scrivere un pezzo sulla vendemmia, il vino e i suoi eccessi.
Quel che mi salva e che mi dona, per così dire, le competenze giuste per affrontare l’argomento sono, in parte, le mie origini astigiane a cui devo il mio accostamento al nettare d’uva a partire dall’infanzia, periodo in cui portavo avanti una strenua battaglia “piuttosto una lacrima ma annacquato mai!” assieme al fatto che, come di consueto, tratterò l’argomento dal punto di vista mitologico e storico.
Radici profonde e radicate
Il culto del vino, così come quello del grano, è antico quasi quanto la storia dell’uomo. Tracce dell’uva da vino, Vitis vinifera, risalenti al 7.000 a.C., sono state ritrovate negli odierni territori della Cina, mentre le prime tracce di produzione di una primitiva vinificazione risalgono al 4.100 a.C.
Per questo anche le origini del mito sono primordiali e presenti in quasi tutte le culture euroasiatiche.
Noi ci soffermeremo principalmente su Dioniso, la versione romana di Bacco, di cui ha mutuato gran parte delle caratteristiche.
Dioniso: le origini del mito
Dioniso è il dio del vino, della vite e soprattutto del delirio mistico. In Italia si sovrappose al pre-esistente Liber Pater, un dio agreste, protettore della fecondità e della virilità. I suoi soprannomi, tra cui “Il liberatore”, “Colui che slega”, così come il suo stesso nome, sono stati attribuiti in epoca romana a Dioniso.
Neanche a dirlo Dioniso era un figlio illegittimo di Zeus. Sua madre Semele morì prima della sua nascita, perché chiese al suo amante di poterlo ammirare in tutta la sua potenza. Così Zeus (che, pur essendo il padre di tutti gli dèi, era anche un uomo), compiaciuto dalla richiesta decise di fare un figurone e si trasfigurò davanti alla donna, dimentico del fatto che l’immensità della sua potenza si manifestava attraverso un’esplosione di fulmini.
Semele, ovviamente, rimane folgorata (e non in senso figurato) da cotanto splendore. Zeus, accortosi di aver combinato un guaio, si prodigò per salvare almeno il loro bambino; così, dopo averlo estratto dal ventre della donna, poiché il tempo della gravidanza non era ancora compiuto, decise che l’avrebbe portata a termine personalmente.
Per comodità si fece un taglio su una coscia, ci infilò il pargolo prematuro e si ricucì, con buona pace di Rambo.
Un’infanzia travagliata
Quando il piccolo nacque, venne affidato da Ermes a Adamante, re d’Orcomeno, affinché lo allevasse. Il messaggero divino si raccomandò di crescerlo con abiti femminili perché Era, legittima moglie di Zeus, non aveva preso bene la nascita dell’ennesimo figlio degli amori adulterini del marito e voleva, tanto per cambiare, eliminarlo.
Le mogli gelose, però, sono scaltre ed Era non fu da meno. Rintracciò il bimbo e Zeus, per salvarlo, fu costretto a portarlo a Nisia, paese non ben identificato tra l’Asia minore e l’Africa, dove lo trasformò in capretto.
Dioniso e la pazzia
Queste vicende e molte altre (la storia dionisiaca è una delle più complesse e una sintesi è oggettivamente manchevole sotto uno o più aspetti) resero il giovinetto restìo alle regole e molto incline agli eccessi e alla sfrenatezza.
Già prima che fuggisse a Nisia i suoi custodi impazzirono, uccidendo i propri figli, ma anch’egli divenuto adulto impazzì per colpa di Era. In quello stato alterato attraversò l’Egitto e la Siria e, risalendo le coste asiatiche, giunse in Frigia, dove venne purificato per i delitti commessi durante la pazzia e venne iniziato ai suoi riti.
La pazzia è l’elemento ricorrente della sua storia, tanto che anche i suoi nemici per punizione o vendetta impazziscono. Ad esempio Licurgo, che osteggiò l’arrivo del dio in Tracia, fu maledetto e impazzì: convinto di tagliare la vite sacra al dio, si tagliò invece una gamba.
La pazzia è, tra le altre cose, anche contagiosa. Quando i sudditi scoprirono che la carestia che li stava colpendo era causata del loro re, e che le colpe sarebbero state espiate solo con la morte del loro sovrano, lo legarono a quattro cavalli squartandolo.
Un antico rave party, la pazzia come la liberazione
Nei rituali dionisiaci venivano sovvertite la logica, la morale e le convenzioni sociali, si abbattevano le regole e le inibizioni, portando gli uomini al delirio e alla purezza primordiale.
I riti si svolgevano di notte, sui monti e nelle foreste. Le sue adepte, le Baccanti, ricordavano nel reale le Menadi, mitologiche seguaci di Dioniso, ed erano vestite di pelli animali con in testa una corona di edera (o quercia o abete) e vagavano per le campagne cantando e danzando. Reggevano il tirso, una verga circondata di edera e appesantita a una estremità da alcune pigne, che aveva lo scopo di rendere il più instabile possibile la danzatrice che la impugnava.
Gli uomini erano invece vestiti da satiri e il corteo si muoveva seguendo il ditirambo, danza ritmica ossessiva scandita da flauti e da tamburi. Il corteo si chiudeva con la caccia di un animale e il suo squartamento una volta catturato, per mangiarne le carni crude.
Cosa c’entra il vino con tutto questo sconquasso?
Beh, semplicemente nessuno sarebbe riuscito a compiere tale rito se fosse stato sobrio, quindi, per raggiungere quello stato speciale di possessione, gli adepti bevevano grandi quantità di vino puro, mentre nella normalità, fino al Medioevo, il vino si beveva annacquato.
Non dobbiamo però immaginarci il vino moderno. Quello che bevevano anticamente era un vino più corposo, spesso condito con spezie. Non è chiaro se lo stato d’estasi fosse dovuto solo al vino. Molto probabilmente la tossicità dell’edera, assieme all’ebbrezza data dalla bevanda, aiutava a lasciarsi andare.
Il gusto del vino
Il gusto del vino è cambiato molto nel corso dei secoli. In antichità i vini migliori, più strutturati, non venivano trattati, ma arricchiti con l’aggiunta di un mosto concentrato che alzava la gradazione di uno o due gradi alcolici.
Il vino più pregiato veniva invecchiato, in soffitta o al sole. La maggior parte dei vini però venivano addizionati con sale, acqua marina concentrata, resina e gesso. Altre volte il vino veniva migliorato dai produttori col taglio, col miele o aggiungendo aromi al mosto.
Nel Medioevo, in assenza di tè e caffè, la bevanda principale era il vino, che veniva usata sia in chiesa che per fini curativi e alimentari. Il gusto veniva modificato con spezie e frutta varia.
Solo dal XVII secolo ci fu l’avvento del vino moderno, grazie alle bottiglie in vetro e al tappo di sughero che ne migliorarono la conservazione.
I baccanali oggi
L’idea che il bere renda loquaci, liberi da inibizioni e predisponga a fare azioni che altrimenti non si sarebbero mai compiute, non è dunque moderna. Già nell’antichità questi riti vennero sospesi e vietati perché pericolosi per la società, ma non scomparirono del tutto. Vi dirò, anzi, che effettuando alcune ricerche per questo articolo mi sono imbattuta in teorie per cui almeno un baccanale è presente ancora oggi, mascherato da Oktoberfest!
Mi chiamo Cristina, sono nata di giovedì e sono un sagittario!
Mi piace chiacchierare, conoscere persone e sono a mio agio anche a una festa in cui non conosco nessuno. Cerco sempre il lato positivo delle cose e il mio motto è “c’è sempre una soluzione”!
Maniaca della programmazione, non posso vivere senza la mia agenda.
Ho studiato linguaggi dei media e da quasi 20 anni mi occupo di comunicazione per una grande azienda di telefonia.
Nel tempo libero mi piaceva leggere, viaggiare, guardare i film, andare a teatro. Ora invece ho due gemelle di 7 anni che, se da una parte assorbono quasi tutte le mie energie, dall’altra mi hanno donato un nuovo e divertente punto di vista.
Per tutti questi motivi vi parlerò di storie e leggende.