Tekken Bloodline

La serie anime targata Netflix Tekken Bloodline, dedicata allo storico picchiaduro, riesce dove altre opere precedenti avevano fallito. In questa recensione si spiega il perché

Un genere videoludico di grande successo negli Anni Novanta è stato quello dei picchiaduro, ossia quello in cui due sfidanti si affrontano in un combattimento all’ultimo sangue. Nel corso dei decenni questi videogiochi sono divenuti quasi di nicchia, considerando il maggior successo di altre tipologie di prodotti.
Ciononostante, alcuni dei principali esponenti sono riusciti a portare avanti la tradizione del genere, forti di una fanbase estremamente fedele e appassionata. Fra questi, una menzione speciale la merita Tekken, storico picchiaduro attualmente arrivato al settimo capitolo della saga principale (con l’ottavo in lavorazione), a cui vanno aggiunti diversi spin-off.
Da sempre il franchise ha cercato di abbracciare altri media, seppur con risultati non soddisfacenti; si ricorda, in particolare, un film del 2009 decisamente trash. Per questo motivo non ha stupito l’annuncio di una serie anime targata Netflix dedicata alla saga videoludica, intitolata Tekken Bloodline.

Probabilmente la scarsa riuscita di moltissime trasposizioni di videogiochi ha generato una prima accoglienza un po’ tiepida e forse proprio le scarse aspettative sul prodotto hanno contribuito a valutarlo positivamente. Questo perché Tekken Bloodline, al netto di alcuni difetti di cui si parlerà, è un esperimento riuscito, che può risultare piacevole a diverse tipologie di spettatori (sebbene i destinatari principali siano i fan della saga).

Premesse

Le vicende narrate nella serie sono quelle di Tekken 3. La scelta di partire da questo capitolo ha diverse ragioni, prima fra tutte il fatto che un adattamento animato dei primi due Tekken esiste già, vale a dire Tekken – The Animation, dimenticabile anime del 1997.

Inoltre, Tekken 3 ha una certa importanza storica per la saga: oltre ad essere stato l’entry point della serie per moltissime persone, è stato l’ultimo capitolo ad essere sviluppato sulla prima PlayStation, sfoggiando una qualità tecnica altissima per l’hardware a disposizione, vincendo nettamente il confronto con i predecessori.

Inoltre, è ambientato diversi anni dopo Tekken 2; questo salto temporale ha dato la possibilità di rinnovare il roster dei personaggi selezionabili, introducendo molti combattenti che sarebbero poi diventati iconici. Fra questi spicca il protagonista di Bloodline, Jin Kazama, figlio di Jun Kazama, esperta combattente di arti marziali, e del defunto Kazuya Mishima, uno dei protagonisti dei primi due Tekken.

A seguito degli eventi mostrati nel primo episodio, Jin è costretto a recarsi dal nonno paterno, Heihachi Mishima, per allenarsi ed essere pronto ad affrontare il terribile demone Ogre. Per attirarlo e poterlo far sconfiggere da Jin, Heihachi organizza il terzo Iron Fist Tournament.

Queste sono le premesse della serie, estremamente familiari per chi ha dimestichezza con la saga videoludica. La fedeltà al materiale originale, infatti, è notevole, variando solamente alcuni dettagli che non alterano in modo significativo la trama. Non è tanto questo elemento che catturerà l’attenzione dei fan, quanto piuttosto la resa dei combattimenti.

Combattimenti

A differenza dei tanti adattamenti a cui si è precedentemente fatto riferimento, i combattenti non usano pugni o calci generici, che li renderebbero tutti molto simili e anonimi, ma ricorrono pedissequamente ai rispettivi moveset dei videogiochi. Qualunque tipo di mossa che si vede nella serie è perfettamente riconoscibile e non è frutto di coreografie improvvisate.

Tocco di classe è poi quello di aver aggiunto i classici effetti visivi che producono i colpi dei personaggi, diversi per ognuno di loro: le scintille di Jin e Heihachi, l’energia fiammeggiante di Paul Phoenix e le altre rappresentate sono un’altra riproposizione fedelissima del videogioco.

Oltre però a questi ammiccamenti per i fan, c’è dell’altro. Anzitutto, la storia è piuttosto godibile. Non propone niente di originale (anche perché parliamo di materiale di 25 anni fa), ma non si limita a rappresentare una serie di combattimenti per alzare il trofeo dell’Iron Fist Tournament, potendo contare sull’intrigante trama che i giochi hanno sempre portato avanti.

Jin Kazama

Il percorso di Jin rimane interessante. Il protagonista è diviso fra la bontà della madre e la spietatezza del nonno. Questa differenza è simboleggiata anche dalle diverse tecniche di combattimento dei due rami della famiglia: lo stile Kazama, votato alla difesa e al contrattacco, e lo stile Mishima, votato all’attacco e alla forza bruta. Jin dovrà riuscire a coniugare queste due anime presenti dentro di sé, ognuna delle quali cerca di prevalere.

Un conflitto che ricorda molto quello proposto da un altro prodotto Netflix molto attuale, vale a dire Cobra Kai, in cui i due stili contrapposti per tutta la serie (Cobra Kai e Miyagi-Do) rappresentano l’attacco e la difesa e sembrano essere incompatibili e alternativi fra loro.

Lo stesso può dirsi per gli stili Mishima e Kazama, con il primo in particolare che non sembra tollerare le debolezze del secondo. Questo paragone serve a sottolineare come, sebbene non particolarmente originale, il tema sia comunque proponibile anche oggi.

Jin Kazama insieme a Heiachi Mishima in Tekken Bloodline
Jin Kazama in uno spezzone di Tekken Bloodline, serie animata targata Netflix.

Realizzazione tecnica

Oltre che su una buona componente narrativa, Tekken Bloodline può contare su un’ottima realizzazione tecnica. Uno dei principali dubbi sul prodotto era l’impiego di una tecnica non puramente 2D, essendoci un evidente ricorso a modelli 3D per sfondi e personaggi. Eppure, con grande stupore, questi “inserti” sono pochi e non inficiano la qualità del prodotto, risultando fastidiosi solo in alcune panoramiche e alcuni “movimenti di camera”.

La resa dei combattimenti non è condizionata in alcun modo da questa scelta e, anzi, oltre a quanto detto in precedenza sulla fedeltà delle movenze dei personaggi, si contraddistingue per una certa ricercatezza visiva, senza soluzioni facili ed economiche (rendere “invisibili” i pugni come accade spesso in Dragon Ball, per esempio). Qui ogni colpo è percepibile e i combattimenti hanno una durata giusta e credibile. Niente incontri-fiume, ma scontri rapidi e dolorosi come nel videogioco.

Personaggi

Il lavoro fatto sulla caratterizzazione dei personaggi è anch’esso più che buono. Jin è ben caratterizzato, soprattutto nel suo conflitto interiore, diviso com’è fra il suo lato Kazama e quello Mishima. Altrettanto interessante è l’approfondimento del rapporto tanto con la madre quanto col nonno, che i fan da sempre volevano vedere approfondito e che, per i neofiti, daranno un po’ di sale allo sviluppo della storia.

Lo stesso può dirsi per le interazioni con altri comprimari, in particolare con Hwoarang, con cui condivide da sempre una forte rivalità, che però rimane limitata al ring, e Xiaoyu, sua storica amica. Niente che faccia gridare al capolavoro, ma sicuramente si esce dalla bidimensionalità di alcuni prodotti simili.

Quello che lascia un po’ di amaro in bocca è forse la dimensione contenuta del progetto. Tekken Bloodline è composta solamente da sei episodi della durata di circa 25 minuti, format che costringe la serie ad essere un po’ sbrigativa in alcuni suoi passaggi. Allo stesso modo, questa scelta ha costretto a restringere il numero di personaggi a cui concedere spazio.

Gli unici altri personaggi che hanno un ruolo nella serie sono Nina Williams, Paul Phoenix, Leroy Smith e King, mentre altri combattenti o fanno delle brevi apparizioni o compaiono sotto forma di easter egg (soprattutto quando viene mostrato il tabellone del torneo).

Un peccato perché, per quanto ben realizzati, qualche comprimario poteva essere maggiormente approfondito (Nina Williams in particolare) e altri potevano apparire in Bloodline. Ci sarebbe voluto un progetto più ambizioso a livello contenutistico, cosa che magari avrebbe richiesto sacrifici sul fronte qualitativo; non è dato saperlo, ma sicuramente è preferibile mantenere un prodotto più contenuto ma qualitativamente migliore.

Riflessioni finali

Non possiamo giudicare le ipotesi, perciò dobbiamo valutare quello che abbiamo. Tekken Bloodline è un altro prodotto anime targato Netflix ben riuscito, non rivoluzionario ma piacevole da seguire, soprattutto se si è fan della serie. Chi non conosce il videogioco potrà comunque gustarsi un prodotto tecnicamente ben realizzato e che scorre velocemente. Viene da chiedersi se l’accoglienza sarà tale da permettere di portare avanti il progetto, magari portando avanti la trama di Tekken 4 con ambizioni accresciute.

Consigli di lettura

Se l’articolo vi è piaciuto, leggete anche la recensione di Dark, altra serie targata Netflix.

Scritto da:

Lorenzo Picardi

Avvocato e pubblicista, non giudicatemi male. Per deformazione professionale seguo qualunque fatto d'attualità. Non sono malato di sport, mi limito a scandire i periodi dell'anno in base agli eventi sportivi. Ogni tanto provo a fare il nerd, con risultati alterni.
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