L’Ultimate Tennis Showdown è un’esibizione che cerca di proporre nuove regole per il tennis, vediamo quali sono e che futuro possono avere
Lo sport sta faticosamente cercando di superare il coronavirus e ripartire, in alcuni casi proponendo dei calendari quantomeno discutibili pur di non perdere la stagione in corso. Fra questi non fa eccezione il tennis, che riprenderà ad agosto e proporrà senza sosta la stagione sul cemento americano (che culminerà con lo US Open) e la stagione su terra europea (che si sarebbe dovuta giocare in primavera). Fino a quel momento, per ingannare il tempo, sono state organizzate diverse esibizioni e competizioni alternative sia per sopperire alla mancanza di tennis sia per permettere ai giocatori di rientrare in forma. Fra questi eventi, quello di cui andremo a parlare è l’Ultimate Tennis Showdown, organizzato dall’allenatore Patrick Mouratoglou e che vede la partecipazione di numerosi giocatori di prima fascia (fra cui Matteo Berrettini), che merita attenzione perché cerca di sperimentare nuove regole per “rinfrescare” e “ringiovanire” il tennis.
Da tempo, infatti, si sta cercando di individuare una formula che permetta di ridurre i tempi di durata delle partite. Ci stanno provando le Next Generation ATP Finals, ci prova ora l’Ultimate Tennis Showdown. Nella prima parte dell’articolo saranno brevemente riassunte le regole adottate dall’esibizione, mentre nella seconda saranno tirate le somme su questo tentativo (e non solo) di riforma.
Sport a tempo
La prima sostanziale differenza introdotta dall’Ultimate Tennis Showdown è quella di rendere il tennis uno sport a tempo. Se, con le regole attuali, il match non ha limiti temporali ma termina quando un giocatore vince due set (o tre negli Slam), nell’evento in corso si giocano quattro quarti (o set) da dieci minuti, ognuno dei quali vinto da chi allo scadere del tempo ha totalizzato più punti. Nel corso di ogni frazione, si serve due volte a testa. Se il parziale finisce in parità, si gioca un ultimo punto decisivo per assegnarlo.
Si aggiudica il match chi vince il maggior numero di quarti. In caso di parità alla fine dei quattro tempi, si giocherà una sudden death (terminologia che riprende il nome originario del tie-break): il giocatore che ha totalizzato più punti nel corso del match sceglie se servire o ricevere; i tennisti alternano un servizio a testa e, molto brutalmente, chi fa due punti di fila vince il match.
Le altre regole di gioco dell’Ultimate Tennis Showdown sono meno incisive ma meritano una rapida menzione.
Coaching
Anzitutto è ammesso il coaching, ossia la possibilità di allenatore e giocatore di comunicare. È possibile farlo quattro volte in tutta la partita (ogni coaching non può durare più di 30 secondi) e il giocatore può rifiutare il coaching richiesto direttamente dall’allenatore.
Durante il colloquio allenatore e giocatore possono parlare solamente in inglese, altrimenti il tennista può essere sanzionato con un penalty point (per quale motivo andrebbe capito). In compenso, il giocatore non riceve più warning per racchette spaccate e palline lanciate in orbita; scelta dettata questa per permettere a giocatori di esprimere e di aumentare la spettacolarizzazione della partita, a detta di Mouratoglou.
UTS Cards
Da ultimo, segnaliamo una trovata folkloristica, buona probabilmente solo per esibizioncine televisive di questo tipo, vale a dire quella delle “UTS cards”, carte utilizzabili in qualunque momento (tranne durante la sudden death e i punti decisivi in caso di parziale in parità) e che hanno effetti speciali per dare un vantaggio al giocatore che le utilizza.
Per fare degli esempi, con queste carte è possibile togliere la prima di servizio all’avversario, ottenere un servizio bonus, triplicare il valore di un vincente e via dicendo. Si capisce come questa idea possa tornare buona più per qualche gioco di carte come Yu-Gi-Oh o Magic che non per il tennis.
Tempi di gioco più brevi nell’Ultimate Tennis Showdown
Al di là di questa trovata senza alcun futuro sportivo, è bene soffermarci sulle altre modifiche proposte dall’Ultimate Tennis Showdown. Abbiamo detto in apertura che Mouratoglou ha proposto questa formula per svecchiare il gioco, a suo dire reo di avere da sempre le stesse regole. Il guru tennistico non dice almeno un paio di cose.
Anzitutto che l’evoluzione dei materiali (e delle superfici) degli ultimi decenni ha cambiato il tennis più di qualunque modifica regolamentare immaginabile, rendendo il gioco più veloce e moderno. In seconda battuta, inoltre, bisogna sottolineare come questa esigenza di tempi brevi e (almeno nel caso dell’Ultimate Tennis Show) certi nasce da ragioni prettamente televisive. Da sempre, infatti, il tennis è di difficile collocazione in un palinsesto proprio per la durata incerte delle partite.
Questo problema, però, appare ormai anacronistico; poteva destare preoccupazioni dieci-quindici anni fa. Attualmente, fra gli attuali servizi con canali dedicati e soprattutto l’ascesa implacabile dei servizi streaming, i palinsesti televisivi sembrano essere l’ultimo problema di cui il tennis debba occuparsi, dal momento che la loro rilevanza sarà sempre minore.
Si pensi al servizio streaming di Tennis TV, si rifletta sul fatto che Amazon si stia muovendo per acquistare i diritti di trasmissione di un numero crescente di tornei di tennis e che anche il canale italiano SuperTennis trasmette le sue partite in diretta sulla sua pagina Facebook. Pensare di garantire il futuro commerciale del tennis rendendolo più facile da inserire in un palinsesto televisivo sarebbe come pensare di portare la pace nel mondo condividendo tutti i giorni video con arcobaleni su Facebook: totalmente inutile.
Un discorso diverso invece andrebbe fatto sul ridurre i tempi di gioco in assoluto.
Riduzione assoluta dei tempi di gioco
Secondo alcuni questa soluzione renderebbe il gioco più allettante e più semplice da seguire. Partendo proprio dalla formula dell’Ultimate Tennis Showdown, questa snaturerebbe l’essenza stessa del tennis, dal momento che lo renderebbe uno sport a tempo e comporterebbe probabilmente una gestione degli scambi diversa.
Non solo, ma dei dieci minuti effettivi di un parziale, rischierebbero di essere interessanti la metà in caso di vantaggio consolidato in apertura. Anche con le regole attuali ci sono partite chiaramente squilibrate dall’inizio alla fine, ma fino a quando non è stato giocato l’ultimo punto non si è mai sicuri del risultato finale (ed è uno degli aspetti più affascinanti del tennis).
Come detto, però, non solo l’Ultimate Tennis Showdown sta provando a riformare il tennis in questa direzione. Anche le già citate Next Generation ATP Finals ci stanno provando, con provvedimenti diversi: set a 4 game anziché a 6, servizio in gioco anche se tocca il nastro e punto secco in caso di parità. Se del primo se ne può anche parlare, mentre il secondo ha un’incidenza assolutamente irrilevante sui tempi di gioco, il terzo è invece un’idea che minerebbe lo spirito “meritocratico” del tennis.
La regola dei vantaggi (vincere il game solo se si è due punti sopra l’avversario) è un po’ la clausola di salvaguardia del merito: non si vince per un punto secco magari casuale o fortunato, ma si deve dimostrare di essere stato significativamente più bravo dell’avversario. Certamente un game può essere deciso da un colpo fortunato anche oggi, ma col sistema attuale la fortuna aiuta sempre chi è in vantaggio, ossia chi si è messo nelle condizioni di farsi aiutare dalla fortuna (che poco non è).
Ultimate Tennis Showdown: ne vale la pena?
Questa esigenza assoluta di accorciare i tempi del tennis sembra un tentativo piuttosto goffo di sopperire all’incapacità di vendere il prodotto sportivo. O meglio, è mosso dal timore che senza Federer, Nadal e Djokovic il tennis diventerebbe meno appetibile. La questione, inoltre, può riguardare solamente le partite 3 su 5 (gli Slam) e non quelle 2 su 3. Queste ultime, infatti, hanno una durata media assolutamente in linea con quella di tante altre discipline, tanto a tempo (calcio, rugby) quanto non (pallavolo).
Discorso diverso vale per le partite 3 su 5
Secondo uno studio, le partite Slam fra il 2000 e il 2016 sono durate in media 2h 28m. Il 50,16% di queste sono durate 3 set (partite che hanno avuto una durata media di 1h 54m), il 30,78% 4 set (durata media 2h 43m) e il resta 19,06% 5 set (durata media 3h 30m). Questi match sono effettivamente lunghi, tuttavia è bene ricordare che il vero problema non è il numero di punti giocati, quanto piuttosto lo sono i tempi morti del gioco.
Secondo un altro studio del Wall Street Journal, la durata di gioco effettiva di una partita di tennis sarebbe del 16,1% del tempo complessivo della sua durata. Viene da chiedersi, dunque, perché operare su quel 16,1% e non sul restante 83,9%. Appare piuttosto strano che, di tutte queste riforme, nessuna abbia pensato di toccare le numerose pause ai cambi di campo.
Fermo restando che il cambio di campo costante resta imprescindibile per garantire la parità di condizione dei giocatori (soprattutto in caso di situazioni metereologiche particolari), si potrebbe discutere della frequenza delle pause sulla panchina. Si potrebbero mantenere quelle a fine set, oppure si potrebbe effettuare la pausa ogni quattro game piuttosto che ogni due (salva, ovviamente, la regola che vuole la prima pausa del set direttamente al terzo gioco).
Una soluzione di questo tipo abbatterebbe la durata delle partite senza stravolgere la struttura dei match. D’altro canto, pur costituendo il cambio campo un momento di stacco in sé, bisognerebbe valutare se ridurre le pause più lunghe inficerebbe significativamente sulla qualità delle partite, avendo i giocatori meno tempo per recuperare energie.
Riflessioni finali
L’Ultimate Tennis Showdown, insomma, è l’ennesimo tentativo di modernizzare uno sport che già negli anni, complici l’evoluzione dei materiali e delle superfici, si è evoluto come pochi altri (o comunque non meno di altri) nel corso dei decenni. Il problema di rendere più televisivo un prodotto nel 2020, quando ci avviamo sempre più a trasmissioni in streaming, appare ormai fuori tempo. Senza proporre soluzioni che snaturerebbero il tennis, si potrebbe pensare di ridurre i tempi morti più che il numero dei punti giocati. Da ultimo, si può discutere anche di abolire definitivamente la formula delle partite al meglio dei 5 set.
Una posizione più che legittima, che però personalmente non mi convince.
Una partita di 5 set non è necessariamente più noiosa di una più breve. Se due giocatori non sono in grado di offrire uno spettacolo degno, non saranno in grado di farlo né per 5 set né per 2 set. Anzi, il quinto set è spesso l’elemento che consegna epicità alle partite. Alcune partite di livello altissimo non sono ricordate come dovrebbero semplicemente perché non sono finite al quinto set; una su tutte, la splendida semifinale del Roland Garros 2011 fra Federer e Djokovic.
Allo stesso modo, la partita 2 set su 3 con maggiore eco mediatica degli ultimi dieci anni è stata la semifinale olimpica del 2012 fra Federer e Del Potro, terminata 19-17 al terzo set (le Olimpiadi non prevedevano il tie-break al terzo set) dopo 4h e 26m. Viene da chiedersi se togliere il quinto set non rischi di avere l’effetto contrario, vale a dire di diminuire il richiamo mediatico soprattutto nei confronti del pubblico generalista.
Come detto, anche posizioni diverse sono assolutamente legittime, nella misura in cui non si snaturi il tennis stesso come avvenuto con l’Ultimate Tennis Showdown, che può essere buono giusto per esibizioni votate alla spettacolarizzazione ma non per lo sport, nel quale non sembra avere futuro.
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