Marie Curie e il marito in laboratorio

Vorrei che avesse un bel colore (Pierre Curie).

Qualche mattina fa, mentre era in corso la nostra solita caotica colazione, il telegiornale elencava notizie che passavano praticamente inascoltate. Il mio ascolto selettivo, però, entrò in funzione quando colsi nel trambusto la frase: “È la terza donna a ricevere il premio Nobel, prima di lei l’ottenne una ricercatrice nel 1963″. Calma, un attimo!

Il mio cervello si riattivò velocemente e in un momento mi ritrovai a fare due rapidi conti. Se Mrs X (ignoravo persino il nome della persona citata durante la notizia) era solo la terza donna a vincere il Nobel in quella materia (di quale materia si trattasse era un altro dettaglio passato inascoltato) e colei che l’aveva preceduta lo aveva vinto nel 1963,  voleva dire che probabilmente stavano parlando del Nobel in fisica e che la prima, non citata nel servizio, non poteva essere che lei!

I nobel per la fisica

Per dovere di cronaca la notizia che avevo sentito, e che mi aveva così inaspettatamente riempito d’entusiasmo, riguardava la professoressa Donna Strickland che, ai primi di ottobre di quest’anno, ha vinto il nobel insieme ad altri due colleghi, per le invenzioni rivoluzionarie nel campo della fisica dei laser. Prima di lei, nel 1963, lo vinse Maria Goeppert-Mayer assieme a J. Hans D. Jensen, per aver proposto il modello a guscio (shell) del nucleo atomico.

Non sono in grado di spiegare gli straordinari progressi scientifici intrapresi da queste eminenti scienziate, ma vi racconterò ciò che fece lei e di come le sue scoperte abbiano cambiato la nostra vita.

La mia eroina d’infanzia

Non so dirvi per quale ragione, ma la storia di questa donna mi ha sempre affascinata.
Così, mentre i miei compagni preparavano tesine (o, meglio, ai miei tempi si chiamavano ricerche) sul ciclo dell’acqua o sui mammiferi, io per l’esame di quinta elementare portai Maria Curie e la scoperta del radio.

Passai ovviamente per fanatica, ma poco mi importava. Marie Curie aveva avuto una storia e dei successi che, ai miei occhi di bambina, la collocavano a tutti gli effetti nell’Olimpo delle principesse Disney.


Marie Curie: i primi anni

Nata a Varsavia, nel 1867, Marie Curie era l’ultima di cinque figli e studiò da autodidatta assieme al padre, insegnante di matematica e fisica. Nella Polonia della seconda metà dell’Ottocento, controllata dalla Russia, era quasi impossibile – per una ragazza – accedere ad un’istruzione superiore.

Le morti ravvicinate della mamma e della sorella maggiore, a causa del tifo, la segneranno profondamente e la legheranno in maniera indissolubile con la sorella Bronya, di tre anni più grande, con la quale trascorrerà tutta la sua vita. Le sorelle decisero così di prendersi cura l’una dell’altra e, proprio per mantenere gli studi alla sorella, Marie lavorò alcuni anni come governante. Solo a 24 anni poté finalmente riprendere gli studi, raggiungendo la sorella a Parigi ed iscrivendosi alla Sorbona.

Gli studi a Parigi

La scelta di studiare a Parigi fu quasi obbligata, visto che all’ateneo di Varsavia le donne non erano ammesse. L’idea era quella di laurearsi per poi tornare in Polonia a fare l’insegnante; per questo Marie si impegnò con tutte le sue forze nello studio.
Quando non era all’università viveva in un misero appartamento del quartiere latino. La casa era fredda e senza riscaldamento. Marie si nutriva di frutta, pane, cioccolata, ma il suo impegno la ripagò ed in tre anni si laureò in matematica e fisica.

Il magnetico Pierre

Grazie al suo impegno, Marie riuscì ad ottenere una borsa di studio per tracciare le proprietà magnetiche dei vari metalli. Il materiale che le serviva per i suoi esperimenti però era ingombrante, così qualcuno le suggerì di rivolgersi a Pierre Curie, fisico esperto che si guadagnava da vivere come capo di laboratorio della Scuola di Fisica e Chimica industriale di Parigi.

Pierre era un tipo strano, più interessato alla ricerca che ai titoli e alla mondanità; insieme al fratello aveva scoperto il piezoelettrico, cioè il potenziale elettrico che si sprigiona comprimendo i cristalli, consentendo a noi, oggi, di accendere il piano cottura con un tasto.

Inutile dire che quest’incontro cambiò la vita di entrambi.

Gli sposini Pierre e Marie Curie

Pierre ebbe il suo bel daffare a far capitolare Marie, che, da donna di carattere qual era, non aveva alcuna intenzione di lasciare che l’amore per un uomo cambiasse i suoi piani.
Solo l’affermazione di Pierre di volerla seguire anche a Varsavia, ottenne l’effetto sperato e così i due convolarono a nozze nel 1895 a Sceaux.
Come dono di nozze ricevettero due biciclette, con le quali viaggiarono per l’Europa nei tre mesi successivi.

Marie Curie insieme al marito nella loro casa a Sceaux, prima di partire per il viaggio di nozze in bicicletta, 1895 (Archivio Rcs)
I coniugi Curie nella loro casa a Sceaux, prima di partire per il viaggio di nozze in bicicletta, 1895 (Archivio Rcs).

Vita di coppia, tra figli ed esperimenti

Il loro menage familiare fu un classico delle giovani coppie: entrambi amanti della solitudine, passavano le giornate chiusi in laboratorio e conducevano una vita di lavoro in simbiosi.
Fu così che nel 1897 nacque Irène, la cui crescita venne seguita segnando scrupolosamente ogni dato e ogni progresso.

Già da un anno Marie Curie si era concentrata sullo studio della fosforescenza nei sali di uranio, quindi lasciò la cura della bambina al nonno paterno e tornò a tuffarsi nel suo lavoro.

Effettuò l’analisi utilizzando l’elettrometro, strumento messo a punto da Pierre capace di misurare le correnti elettriche deboli e grazie al quale arrivò alla conclusione che ad emettere radiazioni fosse una proprietà atomica dell’elemento uranio – la radioattività – immutabile chimicamente.
Questa ipotesi portò alla deduzione che l’atomo non potesse essere indivisibile, smontando così d’un colpo secoli di convinzioni.

La pechblenda

Grazie a queste misurazioni i Curie scoprirono che anche i composti dell’uranio erano radioattivi. Si concentrarono in particolar modo sulla pechblenda, un minerale da tempo noto ai minatori tedeschi, che risultava essere più radioattivo di quanto ci si sarebbe aspettato, in base alle quantità di uranio e torio in esso contenute. Questo indicava chiaramente la presenza di un altro componente radioattivo ancora sconosciuto.

Analizzarono così tonnellate di pechblenda, riuscendo, nel luglio del 1898, ad isolare una piccola particella di un nuovo elemento trecento volte più radioattivo dell’uranio a cui venne dato il nome di Polonio.
A dicembre dello stesso anno venne annunciata la scoperta di una sostanza novecento volte più radioattiva dell’uranio: avevano scoperto il Radio!

Dopo quattro anni di lavoro massacrante, durante i quali aveva sciolto in una bacinella sul fuoco, aveva filtrato, precipitato e misurato, Marie arrivò finalmente a definire e a presentare il peso atomico del radio: 225 (in realtà 226). Nel 1903 questi studi divennero la tesi di dottorato di Marie, che fu la prima donna ad ottenere questo titolo di studio.


Il Nobel, la sperimentazione medica e l’assenza di brevetto

Le ricerche sui fenomeni radioattivi porterà, sempre nel 1903, all’assegnazione del Nobel condiviso con Becquerel.
La notorietà dei coniugi Curie era alle stelle e questo era in contrasto con la loro visione dello scienziato eremita concentrato solo sul proprio lavoro. Nello stesso periodo Pierre, che come la moglie girava sempre con provette di uranio in tasca, cominciò ad intuire gli effetti in campo medico, ma non li ricollegò ai forti dolori alle ossa di cui aveva iniziato a soffrire.

Sempre in questo periodo partirono anche alcune sperimentazioni che portarono a scoprire che il radio era in grado di distruggere il cancro alla pelle: dopo il trattamento, la pelle che ricresceva era sana. Per queste motivazione e per favorire le ricerche e il progresso scientifico, Marie decise di non depositare il brevetto dell’isolamento del radio.


Curiosità

Gli appunti di Marie Curie sono ancor oggi ritenuti pericolosi per la quantità di radiazioni che hanno assorbito e sono conservati in contenitori di piombo. Chiunque voglia consultarli è tenuto ad indossare guanti e indumenti protettivi.


Addio a Pierre

Il 19 aprile del 1906 avvenne quello che la mia mente di bambina faticava a trovare comprensione.

Pierre era a Parigi, pioveva e, mentre attraversava rue Dauphine per raggiungere l’Accademia, venne travolto da un carro e morì.
Per anni mi sono domandata come si facesse a morire sotto un carro (tutta la mia famiglia sa che ho vissuto il lutto di Marie, come se fosse stato mio) ed anche ora che sono adulta, e le dinamiche mi sono più chiare, non me ne sono del tutto capacitata.

In ogni caso Marie si ritrovò, vedova illustre, ma sola, con due bimbe: Irène di nove anni e la piccola Ève di soltanto due. La scienziata decise di affidare le figlie al suocero, mantenendo per sé solo la gestione dei loro studi. Accettò di “ereditare” la cattedra alla Sorbona che era stata del marito. Nella sua prima lezione riprese esattamente dal punto in cui egli si era interrotto.

foto d'epoca Marie Curie con le figlie
Marie Curie con le figlie

Il secondo Nobel e le difficoltà di una donna sola in un Europa quasi in guerra

Il 1911 fu un anno difficile per Marie. In Europa soffiavano già venti di guerra, la sua origine polacca venne vista con sospetto e malelingue insinuarono che fosse stata sfacciatamente favorita dal prestigio del marito. In questo clima di sospetto, razzista e maschilista, la sua candidatura all’Accadémie venne rifiutata.

Il secondo Nobel che le venne assegnato in quell’anno, fu accompagnato dalla raccomandazione di non presentarsi a Stoccolma alla cerimonia di consegna, a causa dello scandalo scoppiato per la sua relazione con il collega Longevin, fisico e matematico, ex allievo del marito sposato e padre di quattro figli.

Marie però era una donna forte ed indomita e si presentò alla premiazione pronunciando un discorso in cui rivendicò fieramente i propri traguardi, raggiunti con il prezioso contributo del marito Pierre.

Lo scandalo portò Langevin a dover combattere ben cinque duelli per difendere l’onore di Marie. Lo scienziato li vinse rimediando solo qualche piccola ferita mentre agli sfidanti andò peggio.

Foto d'epoca Paul Langevin
Paul Langevin

La guerra e gli ultimi anni di vita

Allo scoppio della guerra, da sola, mise al sicuro le intere scorte nazionali di radio; poi, assieme alla figlia Irene, che nel frattempo aveva intrapreso la stessa strada della madre dedicandosi allo studio della chimica, predispose venti camion per farli diventare le prime unità mobili di soccorso radiografico.

Foto d'epoca Marie Curie alla guida di un'unità mobile di radiologia nel 1917
Marie Curie alla guida di un’unità mobile di radiologia nel 1917

Tenne inoltre personalmente dei corsi per insegnare a leggere correttamente le radiografie, cambiando radicalmente le procedure di cura ed amputazione nei feriti di guerra.

Foto d'epoca Marie ed Irene Curie in laboratorio
Marie ed Irène Curie in laboratorio

Nel dopo guerra a riabilitare il nome della studiosa ci pensò un’altra donna: la giornalista americana Missy Maloney, che organizzò per lei un tour negli Usa dove venne presentata come “la studiosa che cura il cancro”.
In quegli ultimi anni Marie si sentì spesso stanca. Gli effetti delle contaminazioni da radiazioni si fecero sentire, anche se lei sostenne fino alla morte di aver bisogno solo di un po’ di aria fresca.

In questo periodo, però, cominciò a passare il testimone delle ricerche alla figlia Irène e al genero, Frédéric Joliot, fisico.
La coppia proseguì gli studi e scoprirono la radioattività artificiale, ricerca con cui vinsero il Nobel nel 1935.

Marie Curie, tuttavia, non poté assistere a quest’ennesima conquista, perché morì nel 1934 a causa dell’anemia aplastica procuratagli dalla prolungata esposizione alle radiazioni.


“Vorrei che avesse un bel colore”

I sali di radio puri sono incolori, ma le loro radiazioni colorano le provette di vetro che li contengono con una tinta azzurro-malva.


Vorrei concludere il mio indegno racconto della vita e delle vittorie di questa donna straordinaria citando una sua frase, che mai come in questo periodo storico mi sembra adatta:

Niente nella vita va temuto, dev’essere solamente compreso. Ora è tempo di comprendere di più, così possiamo temere di meno (Marie Curie).

Scritto da:

Cristina Stecchini

Mi chiamo Cristina, sono nata di giovedì e sono un sagittario!
Mi piace chiacchierare, conoscere persone e sono a mio agio anche a una festa in cui non conosco nessuno. Cerco sempre il lato positivo delle cose e il mio motto è "c'è sempre una soluzione"!
Maniaca della programmazione, non posso vivere senza la mia agenda.
Ho studiato linguaggi dei media e da quasi 20 anni mi occupo di comunicazione per una grande azienda di telefonia.
Nel tempo libero mi piaceva leggere, viaggiare, guardare i film, andare a teatro. Ora invece ho due gemelle di 7 anni che, se da una parte assorbono quasi tutte le mie energie, dall'altra mi hanno donato un nuovo e divertente punto di vista.
Per tutti questi motivi vi parlerò di storie e leggende.