Nuoto salvamento

Il nuoto per salvamento è una branca meno conosciuta delle discipline natatorie, eppure le sue peculiarità lo rendono affascinante, nonché utile e allenante

Quando è stato deciso che il tema del mese avrebbe riguardato l’acqua, non potevo esimermi dallo scrivere qualcosa sul nuoto. Decidendo di cosa occuparmi, i miei pensieri sono andati immediatamente agli atleti italiani protagonisti degli ultimi Mondiali (Pellegrini, Detti, Paltrinieri), non senza far discutere per alcune futili questioni extravasca; queste storie, però, sono per lo più note e approfondirle risulta molto più agevole. La scelta dell’argomento di questo articolo ricade su un settore del nuoto molto meno conosciuto (che ho avuto il piacere di conoscere in prima persona) che merita un piccolo approfondimento: il nuoto per salvamento.

Cos’è il nuoto per salvamento

Prima piccola precisazione: sì, si scrive salvamento e non salvataggio. Chiunque si avvicini a questa disciplina (io per primo) inizialmente pensa si tratti di un errore lessicale. Questa è una precisazione che ho dovuto fare svariate volte a chi mi chiedeva informazioni sul salvamento, perciò mi premeva farla anche qui. Liquidato questo piccolo appunto linguistico, partiamo dai primi passi verso questa disciplina.

Come si intuirà dal nome, il nuoto per salvamento mette in scena una simulazione del soccorso in mare, avvalendosi del supporto di numerosi attrezzi (manichini, ostacoli, torpedo e pinne). Proprio a causa di ciò, il primo impatto con questo sport è molto particolare: sembra di trovarsi di fronte ad un grande gioco, ad una simpatica messinscena durante la quale divertirsi credendo di essere David Hasselhoff in Baywatch.

Poi, allenamento dopo allenamento, capisci che il gioco in questione è piuttosto faticoso. Prendiamo, per esempio, la gara apparentemente più semplice, quella ad ostacoli, nella quale bisogna passare sotto un ostacolo posizionato a metà vasca (se questa è di 25 metri, in quella da 50 metri invece gli ostacoli sono due, disposti a 12.5 metri dai bordi della vasca).

Sembrerebbe una cosa non particolarmente complicata, ma non è affatto così. Anzitutto l’ostacolo spezza il ritmo, tanto nella respirazione quanto nella bracciata, perciò ripartire ogni volta dopo aver superato un ostacolo è più faticoso di quello che si pensi. Bisogna poi calcolare bene la distanza per immergersi, ché andare sotto in maniera troppo verticale ti fa perdere più abbrivio di quanto già non faccia il semplice immergersi. Inoltre, se per sbaglio si dovesse avere un qualche problema con i propri occhialini (difficile, ma può capitare), vedere sotto l’acqua l’ostacolo è difficilissimo, dovendo alzare ogni tanto la testa per prendere le misure. Si capirà dunque che, un elemento che può sembrare meramente scenografico, in realtà ha delle implicazioni che complicano non poco la competizione.

Così, anche le altre sotto-discipline del salvamento comportano un certo dispendio fisico, a partire dalla gara del trasporto del manichino (la cui omologazione è di 1m x 41,7kg), che deve essere recuperato e poi trasportato (a dorso o anche a stile libero) senza che si bagni il volto, perché se la testa finisce sott’acqua, anche per mezzo secondo e in maniera apparentemente irrilevante, si è squalificati dalla gara. Quel fottuto nano arancione sorridente non fa molto per farsi amare, assolutamente, soprattutto quando si è squalificati senza neanche rendersene conto molto bene.

Manichino, nuoto per salvamento

L’alto valore allenante e l’apprendimento di tecniche di trasporto (in particolare col torpedo) renderebbero il nuoto per salvamento una disciplina altamente consigliata per chiunque voglia diventare un bagnino.

Su questo punto, infatti, è bene dire una cosa: i test fisici da superare per diventare un bagnino sono spesso ridicoli. Questi consistono in prove che probabilmente anche il più grande fra i pantofolari supererebbe senza bisogno di alcun allenamento. Può capitare, quindi, che alcuni bagnini siano inadeguati fisicamente a compiere un salvataggio, che richiede una certa forza e una conoscenza più approfondita di determinate tecniche. D’altronde, il nuoto per salvamento non nasce solo come mera disciplina agonistica, ma anche come forma di allenamento per chi effettua salvataggi in mare.

La International Life Saving Federation (ILS)

L’organizzazione delle competizioni a livello internazionale è rimessa alla International Life Saving Federation (ILS), nata dall’unione della Fédération Internationale de Sauvetage Aquatique (FIS) e della World Life Saving (WLS). Tuttavia, i campionati del mondo del nuoto per salvamento, si tengono sin dall’edizione di Parigi del 1955. In Italia, invece, la nascita della disciplina viene indicata dalla stessa Federazione Italiana Nuoto (FIN) con la data del 28 settembre 1899, quando nel palazzo comunale di Ancona Arturo Passerini fondò la Società Italiana di Salvamento (SIS).

Scopo dichiarato era quello di: “divulgare con la pratica del nuoto, l’addestramento al salvamento e al pronto soccorso asfittici e incrementare la costruzione di piscine natatorie”.

I capostipiti della disciplina, noti per affrontare nuotate in mare aperto in qualunque stagione, e desiderosi poi di formare scuole e gare di addestramento, erano conosciuti come “rari nantes”, sigla che caratterizzava molte società di nuoto dell’epoca e che poi contraddistinse in particolare le società di salvamento. Sarà poi nel 1936 che la SIS confluirà nella FIN.

Per quanto concerne le gare, come nel nuoto classico, queste si dividono in gare in vasca e gare oceaniche in mare aperto. Per quanto concerne la prima categoria (senza considerare le varie staffette) abbiamo:

  • nuoto con ostacoli (50, 100 o 200m);
  • trasporto manichino (50m);
  • percorso misto manichino (50 o 100m, che rispetto al trasporto semplice prevede un tratto nuotato in apnea);
  • trasporto manichino con pinne (100m);
  • trasporto manichino con pinne e torpedo (100m);
  • superlifesaver (200m, altra gara di trasporto del manichino).

Per quanto riguarda le gare oceaniche, queste sono competizioni miste, che spesso prevedono l’uso di canoa e anche di tratti di gara di corsa su terraferma stile ironman, tanto che esiste un apposito ironman che prevede frazioni di canoa, tavola, corsa e nuoto.

Purtroppo, come anticipato, questa disciplina non ha il rilievo che merita, anche perché si sottovaluta il risvolto pratico enorme che la disciplina può avere. Il consiglio personale è quello di chiedere se nella vostra piscina ci sono corsi di nuoto per salvamento. Potrebbe essere un’esperienza piuttosto formativa.

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Scritto da:

Lorenzo Picardi

Avvocato e pubblicista, non giudicatemi male. Per deformazione professionale seguo qualunque fatto d'attualità. Non sono malato di sport, mi limito a scandire i periodi dell'anno in base agli eventi sportivi. Ogni tanto provo a fare il nerd, con risultati alterni.
Potete contattarmi scrivendo una mail: l.picardi@inchiostrovirtuale.it