Per questo tema del mese ho scelto di accompagnarvi in un tour gastronomico, un viaggio virtuale, alla scoperta di alcuni dei tanti prodotti tipici della Lombardia: i formaggi, appunto.
Perché limitarci geograficamente alla produzione lombarda? Semplice: per una questione di numeri. Sono oltre 80 i formaggi tipici registrati a vario titolo: DOP (Denominazione di origine protetta), IGP (Indicazione geografica protetta), STG (Specialità tradizionale garantita), PAT (Prodotto agroalimentare tradizionale) ed altri… Dopotutto il formaggio è l’alimento territoriale per eccellenza: non c’è un luogo in Italia, infatti, che non abbia il suo prodotto caseario tipico.
Il Formaggio
Anzitutto vediamo cos’è, precisamente, il formaggio.
Secondo la definizione data dal legislatore dell’Art. 32, del R.D.L. 15/10/25:
Il nome di formaggio o cacio è destinato al prodotto che si ricava dal latte intero, ovvero parzialmente o totalmente scremato, oppure dalla crema, in seguito a coagulazione acida o presamica, anche facendo uso di fermenti e di sale da cucina.
In parole adatte a noi comuni mortali, qualsiasi etichetta che non riporti queste due materie prime (latte o panna -crema di latte-), da sole o insieme, non indica un formaggio. Il latte può essere utilizzato intero o scremato, crudo o pastorizzato, inoculato o meno con fermenti lattici naturali o selezionati, che sono la vita del latte originale e del formaggio prodotto.
L’unica eccezione a questa regola è il formaggio di latte di mandorle, che però si prepara spesso e volentieri in casa (vista anche la semplicità della ricetta) e raramente si trova in commercio.
Ulteriori informazioni sulla normativa al riguardo in questo articolo.
Il nome viene dal termine latino formaticum, col quale i legionari indicavano appunto una “forma” di questo prodotto de caseus formatus.
Da formaticum derivano, oltre all’italiano “formaggio“, il francese fromage e il termine formatge del catalano e dell’occitano.
Da caseus derivano invece altri termini, tra i quali caseificio, cacio, casu (in sardo e calabrese), oltre ai nomi in uso in altre nazioni: queso in spagnolo, Käse in tedesco, cheese in inglese, caş in romeno, giusto per citarne alcuni.
Curiosità: Virgilio riporta che la razione giornaliera di “pecorino” dei legionari romani era di 27 grammi.
Un po’ di storia vera…
Se escludiamo la carne cotta sul fuoco, penso si possa dire che il formaggio è uno degli alimenti più… vecchi nella storia dell’uomo. Nasce infatti come “conservazione naturale” del latte ai tempi in cui l’uomo abbandonò in parte la caccia ed iniziò la pratica della pastorizia e dell’allevamento per procacciarsi il cibo quotidiano.
Il formaggio più antico del mondo è stato rinvenuto, durante una scoperta del 2014, sul petto e sul collo di una mummia ritrovata nella parte nordoccidentale della Cina (nel deserto Taklamakan) e risalente al 1615 a.C. Si tratta delle tipiche offerte fatte dai vivi ai defunti per il viaggio nell’aldilà. I grumi di formaggio sono stati trovati conservati in un ambiente quasi ermetico sui corpi di una decina di mummie risalenti all’Età del bronzo.
Si ipotizza però, ed anche piuttosto ragionevolmente, che i primi “inventori” del formaggio furono proprio i pastori asiatici nel lontano 7.000- 6.000 a.C. Il latte infatti, lasciato per un certo periodo di tempo in alcuni recipienti, coagulava spontaneamente se vi veniva aggiunto del lattice di fico. Di fatto non era altro che il modo più semplice per conservare in forma solida una materia prima liquida e altrimenti deperibile.
Il documento più antico che conferma la pratica di ricavare formaggio dal latte risale a reperti di origine mesopotamica datati III millennio a.C. Sono i primi documenti che mostrano le fasi di lavorazione del formaggio, in particolare il “Fregio della latteria”, un bassorilievo sumero che rappresenta dei sacerdoti nell’operazione di mungitura.
Altre testimonianze si trovano nella Bibbia e nell’Odissea (Polifemo preparava del formaggio), ma anche Ippocrate, nel IV secolo a.C., parla delle caratteristiche salutari del formaggio, mentre Aristotele descrive per primo il metodo per ottenere formaggio dal coagulante di fico. Dai greci e dai romani in poi la storia del formaggio è nota e tutta in crescendo. Ai romani si deve inoltre l’introduzione del latte di vacca ed il principio della stagionatura.
…E qualche leggenda
Come in tutte le storie, non può mancare anche una componente di leggenda. In questo caso ve ne sono due.
La prima narra che un mercante arabo, nell’attraversare il deserto, portò con sé del latte contenuto in una bisaccia ricavata dallo stomaco di una pecora. Il caldo, gli enzimi della bisaccia e il movimento durante il trasporto acidificarono il latte trasformandolo in “formaggio”.
La seconda fa risalire l’uso del formaggio ad Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene. Quest’ultima avrebbe insegnato agli uomini l’arte casearia, oltre a quella della pastorizia e dell’apicoltura. Sempre la mitologia tira in ballo anche Amaltea, la nutrice di Zeus, proprietaria di una celebratissima capra cretese (tanto che in alcune raffigurazioni la stessa Amaltea ha le sembianze di capra).
E ora veniamo ai formaggi moderni!
Come dicevo poc’anzi, in Lombardia sono presenti oltre 80 tipicità per quanto riguarda il formaggio. In questo articolo però mi limiterò alle più curiose e, magari, poco conosciute (rigorosamente in ordine alfabetico per non far torto a nessuno).
Bagòss PAT
Formaggio semigrasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.
Origine: territorio del comune di Bagolino (BS).
Originario del XVI secolo, il Bagòss viene definito “grana dei poveri”. Come da tradizione, viene fatto all’interno di caldere di rame riscaldate su fuoco a legna. L’alimentazione delle vacche è verde nel periodo in cui pascolano e secca d’inverno, con affienati dei prati locali.
Il latte, parzialmente scremato, viene riscaldato alla temperatura di coagulazione e addizionato con caglio di vitello. La rottura della cagliata avviene in due tempi, durante i quali si aggiunge zafferano. La cottura si completa alla temperatura di circa 50°, dopodiché la pasta viene lasciata in sosta sotto siero. L’estrazione è manuale e la pasta si pone in fascere che permettono la pressatura con pesi. Prima della salatura (a secco) queste fascere vengono sostituite da fascere marchianti.
La crosta è dura, liscia, untuosa, di colore ocra o marrone. La pasta è dura, diventa scagliabile e friabile, di colore giallo, con occhiatura fine rada e regolarmente distribuita.
Del Bagòss ho già parlato in un precedente articolo.
Bitto DOP
Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura, in funzione della stagionatura.
Origine: l’intera provincia di Sondrio, alpeggi di Averara, Carona, Cusio, Foppolo, Mezzoldo, Piazzatorre, Santa Brigida, Valleve in Alta Val Brembana (BG) e gli alpeggi di Varrone, Artino e Lareggio (LC).
Le origini derivano dalle popolazioni celtiche che si insediarono in Valtellina, territorio montuoso e abbondante di pascoli, dopo essere state costrette a fuggire dai Romani. Prende il nome dall’omonimo fiume che scende da Gerla verso la Valtellina. Il nome celtico significa “perenne”, perché la lavorazione del latte permette di ottenere un formaggio che, se stagionato bene, può conservarsi per oltre dieci anni. La sua tradizione, ancora oggi, viene tramandata da padre in figlio.
Il latte intero crudo di una mungitura viene inoculato con fermenti lattici autoctoni o con lattinnesto. La coagulazione, presamica, avviene con l’aggiunta di caglio di vitello. La cagliata subisce un taglio alle dimensioni di un chicco di riso e successivamente la massa viene cotta a 48-52°. Dopo una breve agitazione fuori fuoco e l’estrazione dalla caldaia, la pasta trova posto nelle fascere a scalzo concavo per una pressatura.
Il Bitto di pochi mesi ha crosta morbida, quello stagionato ha crosta dura. Il colore è paglierino, tende al marrone con la stagionatura. La pasta è untuosa, elastica nella media stagionatura e dura nella lunga. Il colore è paglierino o paglierino carico, con occhiature rade, della dimensione di occhio di pernice.
Bitto Storico o Storico Ribelle
Simile al DOP, lo Storico Ribelle si produce nei cosiddetti “calècc”, ossia antichi ricoveri di pietra a forma di ferro di cavallo coperti da teli, dentro i quali il casaro utilizza il fuoco a legna. Si differisce dal Bitto DOP sostanzialmente per l’alimentazione delle lattifere, la quale deve essere composta esclusivamente da foraggio fresco d’alpeggio, e sono inoltre banditi gli integratori e i fermenti. Vengono utilizzate attrezzature tipiche e di legno, come le fascere, e la zona di produzione è limitata alle valli Gerola e Albaredo.
Il latte intero crudo di una mungitura viene posto nelle tipiche caldaie di rame a forma di campana e, alla temperatura di 35-37°, addizionato con caglio di vitello. La cagliata, presamica, subisce una rottura a dimensioni molti fini. Successivamente la massa viene cotta alla temperatura di 50-52°. Dopo l’estrazione dalla caldaia, la pasta trova posto nelle fascere di legno a scalzo concavo. La salatura è a secco.
Nota: è l’ingrediente fondamentale nella composizione del piatto simbolo della Valtellina, i Pizzoccheri.
Casolèt PAT
Formaggio semigrasso di breve stagionatura, a pasta semidura.
Origine: Valle Camonica, Val Palot e Sebino Orientale (BS).
Il nome Casolèt deriva direttamente dal sostantivo latino “caseus”, formaggio. È riconoscibile dalla particolare forma a base triangolare, tale perché pratica per il trasporto.
Il latte parzialmente scremato di due mungiture, alla temperatura di 35-36°, viene addizionato con caglio di vitello. La cagliata viene rotta alle dimensioni di una noce, lasciata in sosta e successivamente semicotta. La pasta viene estratta e formata. La salatura è in salamoia.
La crosta è sottile, elastica, di colore paglierino, con leggere muffe bianche. La pasta è compatta, elastica, di colore avorio o paglierino, con occhiatura rada e irregolarmente distribuita. Apprezzato per la poca salatura della pasta, risulta idoneo per diete ipocaloriche.
Crescenza PAT
Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.
Origine: province di Lodi e Pavia.
Ha origini molto antiche, che risalgono al XIII secolo. Crescenza deriva dal lodigiano “carsenza”, ovvero focaccia, perché per questo formaggio veniva utilizzato lo stesso stampo con cui veniva fatto il pane. Appartiene alla famiglia degli Stracchini, in quanto si produceva quando le vacche tornavano stanche dagli alpeggi.
Il latte pastorizzato viene inoculato con lattoinnesto e, alla temperatura di circa 36°, addizionato con caglio di vitello liquido. La cagliata viene rotta in due fasi, con un intervallo di 30 minuti, e poi estratta e inserita in stampi, dove subisce una stufatura. La salatura è in salamoia.
Non ha la crosta, la superficie è umida, ma non bagnata, di colore bianco. La pasta è molle, umida e untuosa, di colore bianco. Di tutti i formaggi a pasta molle, marchio distintivo della Lombardia, questo è forse il più conosciuto, in quanto molto richiesto.
Fatulì PAT
Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.
Origine: territorio della Val Saviore (BS).
Fatulì in dialetto bresciano significa “piccolo”. È un formaggio storico e molto raro, prodotto in alcune malghe in un territorio dove l’allevamento e la produzione casearia è fiorente.
Il latte crudo di una munta, alla temperatura di circa 30°, viene addizionato con caglio di vitello liquido. La cagliata viene rotta alla dimensione di un chicco di mais o di riso e la massa riscaldata fino a 40°, mantenendola in agitazione. Dopo l’estrazione, la pasta trova posto nelle fuscelle. La salatura è a secco o in salamoia, mentre l’affumicatura è al fumo di ginepro.
La crosta è abbastanza dura, rugosa, di colore giallo tendente al marrone. La pasta è semidura, compatta, di colore bianco. Può avere occhiatura fine e regolarmente distribuita.
Formaggella di Tremosine PAT
Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta molle.
Origine: Comunità montana di Brescia e dell’alto Garda.
La Formaela è prodotta in un territorio caratterizzato dal clima temperato, influenzato dal Lago di Garda, a quota 700 metri. Come prodotto tipico si riconosce anche grazie a una caratteristica visiva: la croce di Tremosine, incisa su una delle sue facce.
Il latte, previa pastorizzazione, viene inoculato con fermenti lattici e, alla temperatura di 36°, addizionato con caglio di vitello. La cagliata, presamica, viene rotta alle dimensioni di un chicco di mais. La pasta viene riscaldata a 40° e mantenuta in agitazione. La massa viene estratta e posta nelle fuscelle, la salatura in salamoia.
La crosta è sottile, morbida, di colore paglierino. La pasta è morbida, elastica, di colore avorio tendente al paglierino.
Formai de Livign PAT
Formaggio semigrasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.
Origine: comune di Livigno (SO).
Prodotto in una zona “franca“, la sua tradizione, fatta di antiche tecniche rurali, si tramanda di padre in figlio.
Il latte crudo della munta serale, parzialmente scremato, viene unito a quello mattutino e riscaldato alla temperatura di 35-36°, dopodiché viene addizionato con caglio di vitello. La cagliata, presamica, viene rotta alle dimensioni di un chicco di mais e, in seguito, sotto agitazione, scaldata a 38-40°. La pasta viene raccolta e posta nelle fascere. La salatura è in salamoia.
La crosta è morbida, di colore paglierino. La pasta è morbida, elastica, di colore avorio o paglierino, se da latte d’alpeggio. L’occhiatura è di dimensioni a occhio di pernice, regolarmente distribuita.
Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana DOP
Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura.
Origine: comuni dell’Alta Val Brembana, zona delimitata dal perimetro del Parco delle Orobie Occidentali bergamasche.
Il nome deriva dal dialetto bergamasco e significa “formaggio di montagna“, poiché proveniente dalle casere sugli alpeggi collocati solitamente a 1.300 metri d’altitudine. Nell’antichità veniva utilizzato come forma di pagamento dell’affitto del pascolo.
Il latte crudo, posto in caldaie di rame della capienza di 300-400 litri, viene riscaldato e, senza inoculare fermenti lattici, coagulato con caglio di vitello. Una volta ottenuto il coagulo (cagliata presamica), si rompe alle dimensioni di un chicco di riso e si provvede all’agitazione e alla semicottura a 45-47°. Dopo un’agitazione fuori fuoco, la massa viene fatta depositare sul fondo della caldaia a spurgare. L’estrazione con teli permette alla pasta di essere posta in fascere, dove viene pressata. La salatura è a secco o in salamoia.
La crosta è sottile, liscia e pulita, di colore paglierino. La pasta è elastica e compatta, untuosa, di colore avorio o paglierino, a seconda della stagionatura. L’occhiatura è a occhio di pernice, distribuita regolarmente. È ottimo con la polenta bergamasca.
Gorgonzola DOP
Formaggio grasso, a breve e media stagionatura, a pasta molle o semidura.
Origine: province di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco Lodi, Milano, Monza e Brianza, Pavia, Varese.
Si racconta che il Gorgonzola sia stato prodotto per la prima volta nell’anno ‘870 alle porte di Milano, nell’omonima città, al tempo importante centro di scambi commerciali. Un giovanotto distratto, per correre dall’amata, lasciò la cagliata fresca appesa a un gancio in una cantina umida. Il giorno seguente, per riparare all’errore, aggiunse la cagliata fresca del mattino. Assaggiando il formaggio ottenuto, lo trovò ottimo, tanto da ripetere ancora l’errore. Viene anche chiamato “stracchino verde”.
Al latte pastorizzato vengono aggiunte spore di penicillium e fermenti lattici. La cagliata, presamica, ottenuta con caglio liquido di vitello, viene prima rotta a cubetti, quindi, dopo una sosta sottosiero, nuovamente tagliata alle dimensioni di una noce. Dopo l’estrazione con teli, la pasta trova posto in fascere per sgrondare su tavoli spersori. Un’altra tipologia produttiva è quella a due paste, dove la cagliata della sera viene miscelata, a strati, con quella del mattino. La salatura è a secco o in salamoia.
La crosta è rugosa, umida, con presenza di muffe dal colore paglierino carico tendente al rosso-arancio. Nella tipologia Dolce la pasta è cremosa, di colore bianco o avorio con le classiche striature verdi-blu del penicillium. Nella tipologia Piccante, la pasta è friabile, a volte gessata, di colore avorio con fitte striature blu-verdi.
Italico (o Bel Paese) PAT
Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.
Origine: province di Lodi e Pavia.
Commercialmente conosciuto come Bel Paese, è nato ufficialmente nel 1941 con un decreto ministeriale, atto necessario per il nome da abbinare a un’unica tecnica produttiva.
Il latte pastorizzato viene inoculato con fermenti lattici e, alla temperatura di 40-43°, addizionato con caglio di vitello. La cagliata, presamica, viene rotta in tre fasi fino alle dimensioni di una nocciola. Dopo l’estrazione in fuscelle, la pasta subisce stufatura. La salatura è in salamoia.
La crosta è sottile, liscia, abbastanza elastica, di colore paglierino chiaro. La pasta è compatta, elastica, di colore bianco o avorio. Occhiatura assente.
Matusc PAT
Formaggio semigrasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura.
Origine: territorio di Albaredo (SO).
L’etimologia del nome Matusc è celtica e ricorda il telo, “matte”, che serve ad estrarre la pasta dalla caldaia. Si tratta di un formaggio perfetto in abbinamento a miele d’acacia o pere fresche.
Il latte della munta serale, parzialmente scremato per affioramento, viene aggiunto al latte della munta mattutina, intero. Alla temperatura di 30-34°, viene inoculato con fermenti lattici o sieroinnesto e addizionato con caglio di vitello liquido. La cagliata, presamica, subisce una rottura grossolana, poi la pasta viene semicotta. In seguito all’estrazione, il formaggio viene salato a secco o in salamoia.
La crosta è sottile e liscia, di colore paglierino, tendente al marrone con la stagionatura. La pasta è morbida, tendente al duro con la stagionatura, di colore bianco o avorio. L’occhiatura è di dimensione fine, irregolarmente distribuita.
Pannerone PAT
Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura.
Origine: provincia di Lodi.
Il nome deriva dal termine dialettale “pànera”, panna. Napoleone prima della battaglia del ponte di Lodi fece rifocillare le sue truppe con questo formaggio, notoriamente ad alto contenuto energetico. Nel 1990, prima della Seconda guerra mondiale, il Panerone (o Pannerone) veniva prodotto in tutta la pianura lombarda.
Il latte crudo di una munta, alla temperatura naturale, viene addizionato con caglio. La cagliata viene rotta in due fasi, la prima grossolanamente, la seconda alle dimensioni di un chicco di mais. L’estrazione avviene con teli, detti “patte”, e dopo averla sminuzzata la pasta viene posta in fascere dove rimane in stufatura per 7 giorni.
La crosta è sottile, di colore bianco o paglierino. La pasta è friabile, di colore bianco o avorio. L’occhiatura è di dimensioni medie, molto fitta, regolarmente distribuita, così come gli alveoli presenti.
Quartirolo Lombardo DOP
Formaggio grasso o semigrasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.
Origine: province di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lodi, Milano, Monza Brianza, Pavia e Varese.
La produzione del Quartirolo risale al X secolo. Inizialmente veniva effettuata stagionalmente, alla fine dell’estate, con latte di bestiame nutrito esclusivamente con l’erba ricavata dal quarto sfalcio, denominata appunto “quartirola”, da cui prende il nome. Appartiene alla famiglia degli Stracchini perché proprio nel periodo del quarto sfalcio le vacche scendevano dai monti per tornare a valle in condizioni di stanchezza per le fatiche dell’alpeggio.
Il latte intero di almeno due mungiture, di cui la prima scremata per affioramento, viene inoculato con lattinnesto naturale e coagulato con caglio liquido di vitello. La cagliata, presamica, subisce un taglio alle dimensioni di una nocciola. Una volta estratta, la pasta, cruda, trova posto negli stampi. Dentro fascere quadrate, il formaggio viene lasciato in stufatura fino al raggiungimento dell’acidità necessaria. La salatura è a secco o in salamoia.
La crosta è morbida, umida e presenta aperture e occhiatura superficiale, il colore è bianco nelle forme a Pasta Tenera, mentre nella tipologia Maturo è grigio, rossastro-arancio con morchia. La pasta è friabile, granulosa, umida, di colore bianco e presenta occhiature meccaniche nella tipologia a Pasta Tenera. Con la maturazione il formaggio diventa cremoso, a pasta compatta, di colore paglierino o paglierino carico.
Rosa Camuna PAT
Formaggio a pasta semidura, semigrasso, di breve stagionatura.
Origine: alpeggi della Valle Camonica (BS).
La forma rappresenta un simbolo importante, ovvero la rosa che i Camunni, antichissimo popolo, incisero sulle pietre della valle. Lo stesso simbolo è ripreso nel logo della Regione Lombardia.
Il latte parzialmente scremato, pastorizzato, viene inoculato con fermenti lattici e addizionato con caglio di vitello. La cagliata, presamica, viene rotta alle dimensioni di un chicco di mais e poi semicotta. Dopo l’estrazione, la pasta trova posto negli appositi stampi. La salatura è in salamoia.
La crosta è morbida, sottile, di colore paglierino, con presenza di muffe bianche. La pasta è abbastanza morbida, di colore avorio o paglierino chiaro. L’occhiatura è di dimensione fine, regolarmente distribuita.
Per saperne di più sui Camunni e sulle loro incisioni, consiglio questo precedente articolo.
Sta’el PAT
Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.
Origine: Val Camonica (BS).
La capra in Lombardia ha origini antichissime. Normalmente il suo formaggio viene consumato fresco, a pasta molle, ma spesso, come in questo caso, può essere brevemente stagionato. Il colore della pasta del formaggio di capra è sempre bianco, questo perché l’animale non assimila i caroteni presenti nelle erbe che mangia.
Il latte di una sola munta viene riscaldato alla temperatura di 36-38° e addizionato con caglio di vitello. La cagliata, presamica, viene rotta alle dimensioni di una nocciola e riscaldata a 42°. La pasta viene lasciata in sosta sotto siero, estratta a mano e posta negli stampi. Salatura in salamoia.
La crosta è sottile, liscia, di colore paglierino o marrone chiaro. La pasta è bianca, morbida, untuosa. Occhiatura assente.
Silter DOP
Formaggio semigrasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.
Origine: Val Camonica e del versante est del lago d’Iseo (BS).
Il nome Silter ha origini celtiche e identifica il locale della malga dove avviene la stagionatura. Viene prodotto solo con il latte di vacca di razza Bruna. La zona di produzione viene identificata, come nel caso della Rosa Camuna, con uno dei segni lasciati dai Camunni (“Gli Oranti“).
Il latte crudo di due munte, delle quali quella serale scremata per affioramento, viene riscaldato alla temperatura di 36-38° e inoculato con sieroinnesto. La coagulazione, presamica, si effettua con caglio di vitello. La cagliata viene rotta alle dimensioni di un chicco di riso e riscaldata a 45-46°. Quindi una sosta sotto siero, seguita dall’estrazione e dal posizionamento della pasta in fascere per la pressatura. La salatura è a secco o in salamoia.
La crosta è dura, liscia, di colore paglierino, tendente al marrone con la stagionatura. La pasta è dura, di colore paglierino o giallo, anche scuro con la stagionatura. L’occhiatura è di dimensione fine, regolarmente distribuita.
Strachitunt DOP
Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta molle erborinata.
Origine: provincia di Bergamo.
Nell’800 il pascolo era ambito dagli allevatori, ma di complicata reperibilità, perché rispetto alle unità bovine il terreno disponibile era insufficiente. Questo fattore determinava costi notevoli per l’affitto, che spesso era pagato in materia prima. Il nome deriva da “stracchino tondo”.
Il latte della munta serale viene, eventualmente, inoculato con lattoinnesto e coagulato alla temperatura di 33-38° con caglio di vitello. La cagliata, presamica, viene raccolta con teli e lasciata spurgare. Il latte della munta mattutina viene lavorato come quello della sera, con la differenza che la cagliata subisce una rottura in più fasi, intervallate da soste di alcuni minuti, fino al raggiungimento delle dimensioni di una noce-nocciola. Dopo l’estrazione, la seconda lavorazione trova posto in stampi forati, alternando (a strati) le due paste, quella della prima e quella della seconda lavorazione. La salatura è a secco. Dopo 30 giorni si provvede alle foratura delle forme, con lo scopo di far entrare aria e facilitare la formazione delle muffe naturali.
La crosta è sottile, rugosa e fiorita, di colore giallo o giallo grigio. La pasta è abbastanza dura, con cremificazione nel sottocrosta e gessatura al centro. Sono presenti le striature lasciate dalle muffe, che accentuano la maturazione rendendo cremosa la pasta. L’occhiatura è rada, di dimensione fine o media, irregolarmente distribuita.
Taleggio DOP
Formaggio grasso, a breve, media stagionatura, a pasta molle e crosta lavata.
Origine: province di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Monza-Brianza, Pavia.
Le prime citazioni su questo formaggio arrivano da Plinio, che descriveva il popolo degli Orobi e la loro bravura a trasformare il latte. Il nome, datogli dalla valle in cui nacque, la Val Taleggio, bellissimo angolo della montagna bergamasca, venne diffuso e conosciuto quando gli artigiani, agli inizi del Novecento, portarono la tecnica casearia in pianura.
Il latte, crudo o pastorizzato, viene inoculato con fermenti lattici e addizionato con caglio di vitello. Una volta raggiunta la consistenza desiderata della cagliata, presamica, questa subisce una rottura in due tempi, ottenendo le dimensioni di una nocciola. La pasta viene poi estratta, posta nelle classiche fascere e messa in stufatura per conseguire il giusto grado di acidità. La salatura delle forme è a secco.
La crosta è lavata, presenta i solchi dei graticci su cui è stata posta in stufatura. Ha morchia ed è di colore rosso aranciato con muffette grigie. La pasta è umida, molle, untuosa, a volte abbastanza friabile al centro del formaggio e cremificata nel sottocrosta, a causa della maturazione centripeta determinata dalla crosta lavata. Il colore è bianco o paglierino. L’occhiatura può non essere presente oppure è fine, rada, distribuita in modo irregolare.
Potremmo continuare l’elenco ancora a lungo, ma per questa volta ci fermiamo qui.
In questo articolo ho volutamente tralasciato due dei formaggi più conosciuti in assoluto: il Grana Padano DOP e il Parmigiano Reggiano DOP, entrambi lombardi (ma non solo). Il Grana Padano ha origine nella pianura Padana, a esclusione della parte destra Po della provincia di Mantova, che è invece zona di produzione del Parmigiano Reggiano.
Ho ritenuto che fosse troppo riduttivo inserirli in un contesto limitato: queste due eccellenze italiane meritano una trattazione più mirata ed un ampio spazio totalmente dedicato a loro.
Sono convinta di aver comunque stuzzicato i vostri palati con questi 19 formaggi di provenienza lombarda.
Buon appetito e… al prossimo viaggio!
Annalisa A.
Ringrazio il sito www.formaggio.it, fonte utilissima da cui ho tratto i dati più tecnici sull’argomento.
Giunta qui sicuramente da un mondo parallelo e da un universo temporale alternativo, in questa vita sono una grammar nazi con la sindrome della maestrina, probabilmente nella precedente ero una signorina Rottermeier. Lettrice compulsiva, mi piace mangiare bene, sono appassionata di manga, anime e serie TV e colleziono Lego.
In rete mi identifico col nick Lunedì, perché so essere pesante come il lunedì mattina, ma anche ottimista come il “primo giorno di luce”.
In Inchiostro Virtuale vi porto a spasso, scrivendo, nel mio modo un po’ irriverente, di viaggi, reali o virtuali.
Sono inoltre co-fondatrice, insieme a Jessica e Virginia, nonché responsabile della parte tecnica e grafica del blog.
Mi potete contattare direttamente scrivendo: a.ardesi@inchiostrovirtuale.it