seconda ondata COVID-19

Siamo nel pieno della seconda ondata Covid-19, con la speranza, bollettino dopo bollettino, di intravedere l’uscita da questo rinnovato incubo.
Cosa possiamo aspettarci? Proviamo a farci un’idea, basandoci sui (pochi) dati aperti disponibili, qualche considerazione statistica e i numeri della prima ondata.
Doverosa premessa: non sono né immunologo, né virologo, e le mie competenze in medicina sono maturate tutte nel ruolo di paziente. Quelle che seguono sono considerazioni personali, elaborate sulla base dell’esperienza di una vita lavorativa spesa a capire fenomeni sociali basandosi sull’analisi statistica di numeri.


I limiti dei dati aperti disponibili

Questa seconda ondata Covid-19 sta interessando tutte le regioni italiane, ma sarebbe fuorviante ragionare sui numeri globali del Paese, viste le diversità da regione a regione e all’interno delle regioni stesse.
Per convincersene, basta recuperare qualche dato da Wikipedia:

Superficie [kmq] Abitanti Densità [Ab / Kmq]
Italia 302.073 60.234.639 199
Lombardia 23.864 10.060.965 422
Lazio 17.232 5.846.850 339
Umbria 8.456 877.697 104
Milano (città metropolitana) 182 1.391.334 7.659
Roma (città metropolitana) 1.287 2.825.661 2.195
Verbania 37 30.277 808

È evidente che confrontare, ad esempio, il numero di positivi di Lombardia e Umbria, oppure di Milano e Verbania, sarebbe errato. Per un adeguato controllo del fenomeno, quindi, gli indicatori vanno riportati al numero di abitanti. Ma si dovrebbe ragionare anche sulla densità di abitanti e sulle dinamiche dei vari ambienti di vita, avendo a disposizione dati molto più dettagliati, e la possibilità di zoommare fino al livello di singoli comuni o, addirittura, di singolo quartiere.

Questi dati non sono disponibili in formato aperto, c’è solo da sperare che siano comunque raccolti e disponibili a chi decide le misure di mitigazione e cautela.
I comuni mortali possono ragionare sui dati abbastanza dettagliati a livello regionale (tamponi, positivi, ricoverati, …, su base giornaliera) oppure su quelli ridotti all’essenziale a livello provinciale (solo il numero dei positivi, su base giornaliera).
Assenti comunque diversi dati essenziali, come ad esempio i flussi dei ricoverati: servirebbe non solo il numero quotidiano dei degenti, ma il numero di chi entra in degenza e di chi esce, e la sua destinazione.


Per un dettaglio sui dati aperti resi disponibili su GitHub dal Dipartimento della Protezione Civile, e anche per vedere come me la sono cavata nel pronosticatore alla prima ondata, rinvio all’articolo dello scorso marzo, Matematica e Coronavirus: quando ci sarà il picco?.


Su quale indicatore ragionare

Il primo indicatore che viene in mente è il numero delle persone di cui, su base giornaliera, si rileva la positività, dato disponibile su base provinciale. Purtroppo non esistono altri dati che consentano di contestualizzarlo: non si conosce il numero di tamponi effettuati a livello provinciale, né il numero di nuovi casi esaminati.
E, per dirla tutta, il numero dei positivi non è un indicatore adeguato, perché dipende fortemente da diversi fattori variabili nel tempo e con il contesto del contagio. Se in Lombardia a marzo si eseguivano meno di 40.000 tamponi a settimana, adesso si è passati a più di 300.000. Logico aspettarsi molti più positivi, a parità di diffusione del contagio.

Mi sembra ragionevole, invece, utilizzare il numero dei ricoverati con sintomi, indicatore che ritengo più attendibile, benché anche la rappresentatività di questo valore sia cambiata nel tempo. A marzo la Lombardia aveva una bassa percentuale di persone in isolamento domiciliare, ma successivamente questa percentuale è tornata nella media italiana. Quindi, a parità di diffusione del contagio, è probabile che oggi la percentuale dei ricoverati sia più bassa.

Il quadro di confronto: la prima ondata

I dati della prima ondata danno un riferimento che consente di farsi un’idea di come potrebbe andare adesso, con la seconda ondata Covid-19. Guardiamo la Lombardia:seconda ondata Covid 19: Lombardia, marzo

Nell’immagine ho riportato sia i ricoverati con sintomi che il numero di persone in isolamento domiciliare.
Il primo grafico mostra un appiattimento su un valore massimo che è durato un paio di settimane, e che potrebbe essere un sintomo di saturazione della capacità ospedaliera. In effetti, l’altra curva, relativa ai contagiati con pochi o nessun sintomo, continua a crescere per diverse settimane. Bisogna tener conto, però, che potrebbero esserci stati ritardi nel liberare queste persone, in attesa dei tamponi di negativizzazione.

Se si guarda a una regione che ha avuto una prima ondata meno critica, come il Veneto (si noti la differenza di scala tra i due grafici), si vede questo andamento:Veneto, marzo

La curva dei ricoverati con sintomi rimane al suo massimo per poco più di una settimana, per poi scendere. Ma la curva degli isolati a casa continua a crescere ancora per un paio di settimane, confermando in qualche misura l’andamento della Lombardia.

Nella prima ondata, quindi, dopo 3 settimane di lock-down (8-29 marzo), il numero dei ricoverati con sintomi ha raggiunto il massimo, è stato ancora su due settimane circa, per poi cominciare la discesa.

Come sta andando la seconda ondata Covid-19?

Il grafico che segue riporta il numero attuale dei ricoverati con sintomi e quello dei ricoverati in terapia intensiva, sovrapponendo le curve attuali con quelle della prima ondata, allineando la data di ieri 13 novembre con il 18 marzo (9° giorno del lock-down di marzo), data in cui in Lombardia si aveva lo stesso numero di ricoverati con sintomi di ieri:seconda ondata Covid 19: Lombardia, novembre
La buona notizia è che le curve di oggi salgono con una pendenza minore di quella di novembre, e che il numero di ricoverati in terapia intensiva è più basso di allora.

Ora, anche se il lock-down di oggi è meno severo di quello di marzo, si può sperare che abbia un’efficacia paragonabile nel contenere il contagio. Se davvero andasse così, ci vorrebbero 5 settimane per tornare dove siamo, ma questa volta in discesa (la griglia verticale ha una spaziatura di due settimane). Si arriverebbe a una settimana prima di Natale.

Si noti che la curva della prima ondata è scesa più lentamente di quanto non fosse salita. In altri termini, ci vuole poco a finire nel disastro, da cui si esce più lentamente. Un concetto, questo, che andrebbe divulgato con efficacia, perché l’inverno deve ancora arrivare.

Come stanno le altre regioni

Entrambe le mie regioni del cuore (Campania e Piemonte) stanno vivendo settimane drammatiche in questa seconda ondata Covid-19. Partiamo dal Piemonte:

Piemonte, novembre

Negli ultimi due giorni si nota una diminuzione della crescita del numero di ricoverati con sintomi. È tutto da vedere se questo sia un segnale positivo di raffreddamento della crescita dei contagi o un segnale di saturazione delle risorse ospedaliere. Sta di fatto che ci si avvia a doppiare il picco della prima ondata, quando pure il Piemonte fu duramente colpito.

E la Campania?

Campania, novembre

In larga misura risparmiata dalla prima ondata, la Campania vede la curva dei ricoverati con sintomi che appare in crescita pericolosamente più che lineare, a un livello attuale che è già 4 volte quello raggiunto nella prima ondata. La situazione è davvero preoccupante, giusta quindi la decisione di applicare in Campania la misura di zona rossa. Probabilmente, vista la curva di crescita dei ricoveri e le immagini delle passeggiate sui lungomare nei fine settimane, sarebbe stato preferibile prendere questa decisione diverse settimane fa.


La base delle mie previsioni è evidentemente fragile, sarei il primo a essere sorpreso se dovessi azzeccarci. Anzi, spero di aver sbagliato in eccesso, anche se quello che ho visto in questo autunno, in termini di negazionismo, superficialità, egoismo miope, non promette niente di buono. Ancora oggi, nel giretto sotto casa (raggio di 200 metri), o nel breve percorso che mi separa dalla panetteria, vedo tante mascherine messe male o assenti. Spesso con l’alibi della sigaretta.
Dovevamo uscirne migliori, sarà già tanto se ne usciamo.

Immagine di apertura di Pete Linforth da Pixabay.

Scritto da:

Pasquale

Mi chiamo Pasquale Petrosino, radici campane, da alcuni anni sulle rive del lago di Lecco, dopo aver lungamente vissuto a Ivrea.
Ho attraversato 40 anni di tecnologia informatica, da quando progettavo hardware maneggiando i primi microprocessori, la memoria si misurava in kByte, e Ethernet era una novità fresca fresca, fino alla comparsa ed esplosione di Internet.
Tre passioni: la Tecnologia, la Matematica per diletto e le mie tre donne: la piccola Luna, Orsella e Valentina.
Potete contattarmi scrivendo a: p.petrosino@inchiostrovirtuale.it