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Oggi lasciamo la parola a Erica Barra, che analizza il multiculturalismo intrinseco alla lingua siciliana – merito della posizione centrale dell’isola che, nel corso dei secoli, l’ha resa crocevia del mondo – per affrontare, in modo indiretto, la necessità di apertura verso i cambiamenti, che rappresentano per tutti noi una ricchezza inestimabile. Buona lettura con Eco Internazionale!
Un articolo di Erica Barra
La Sicilia è stata da sempre esposta agli influssi culturali più svariati e questo ha avuto effetti anche sulla lingua siciliana. Dobbiamo riconoscere che è intrinseca in noi stessi la nostra apertura al mondo e che questa è identitaria della nostra storia.
Nella lingua e nei dialetti di una popolazione risiedono la sua cultura e millenni di storia. Come tutti dovremmo sapere, la Sicilia, grazie alla sua posizione centrale, è stata crocevia del mondo. La sua storia è fatta da una confluenza di razze, religioni, lingue, culture, merci, e rappresenta un grande campione di studio della storia del Mediterraneo. Un ponte tra Europa, Africa e Asia. Le migrazioni, i commerci e le parole costituiscono elementi che ci aiutano a comprendere il modo in cui la nostra cultura si è plasmata.
E così, nella varietà e nella ricchezza dei nostri dialetti, finiscono per risiedere la nostra storia multiculturale, le nostre radici, i colori della nostra identità.
Studiando il variopinto lessico siciliano, i linguisti hanno riconosciuto grecismi, latinismi, arabismi, normannismi, catalanismi, francesismi e spagnolismi di varia epoca. Osserviamo ad esempio l’aggettivo dialettale tintu “cattivo”. Con ogni probabilità vi è un richiamo ad antichi riti eretici nei quali il latino Tinctus, da tingere, “immergere, battezzare” aveva assunto il valore di “battezzato da un eretico”. Ecco quindi che scopriamo perché tintu vuole dire “cattivo”, poiché mal battezzato.
Quando gli Arabi penetrarono in Sicilia nell’827 rendendola parte del mondo arabo, questa incontrò quello che fu uno dei periodi di maggiore splendore culturale ed economico. La nuova situazione etnica si accompagnò a una rivoluzione in campo agricolo. Furono avviate in questo periodo le coltivazioni dell’arancio e del limone e furono incrementati industria e commercio. La lingua cominciò a modificarsi e nacquero nuove parole. Famosi sono i toponimi arabi come quelli con cala/calt (da qal’a “castello, fortezza”): Calatafimi, Calascibetta ecc; oppure quelli formati da manzil “luogo di sosta”: Misilmeri (da manzil al-amir), Mezzoiuso (da manzil yusuf “casale di Giuseppe”).
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