
Medvedev e Tsitsipas sembravano destinati ad offrirci una delle rivalità più divertenti del circuito, ma qualcosa è andato storto.
La rivalità Sinner-Alcaraz ha colmato un vuoto tennistico e narrativo che il circuito aspettava con ansia di vedere riempito. Le tante assenze degli ultimi anni prima e i lenti ritiri poi di Federer e Nadal hanno lasciato il racconto del tennis in mano al dominio di Djokovic, epico in maniera diversa, ma forse commercialmente meno interessante. Sinner e Alcaraz sono arrivati al momento giusto e la loro rivalità è nata prima ancora del loro dominio, complici alcuni incontri agli esordi che hanno rivelato il potenziale spettacolare del loro incrocio. Anche la comunicazione dell’ATP ha investito molto presto su di loro, non sappiamo se per fretta o lungimiranza, ma l’azzardo è stato ripagato e la narrazione dei loro scontri oggi è solidissima proprio perché viene già da una costruzione forte con qualche anno alle spalle.
Tuttavia, prima che ci fosse un effettivo cambio di guardia, si stava già iniziando a cercare qualche nome nuovo da mettere sotto i riflettori, sperando di scoprire i protagonisti del “Fedal” del futuro. Singolarmente ci sono stati diversi giocatori che sembravano destinati a una carriera da plurivincitori Slam: per anni Zverev è stato descritto come il “Grande Predestinato”, all’apparenza troppo più solido e completo dei suoi coetanei per non imporsi su di loro negli anni a venire. Poi le fiammate di Shapovalov hanno entusiasmato il pubblico come probabilmente nessun altro tennista della sua generazione ha saputo fare. Solo due giocatori hanno però saputo funzionare in coppia in chiave antagonista: Medvedev e Tsitsipas.
Il primo motivo si può riassumere con la reciproca antipatia fra i due contendenti e con un incontro, quello celebre del 2018 a Miami (di cui avevamo già parlato qui). Il match arrivava in un momento in cui, mentre di Tsitsipas si conosceva da tempo la presunta predestinazione, Medvedev sembrava un po’ un intruso fra i giovani emergenti. La Russia stava ammirando la crescita di altri giocatori con talenti evidenti (per quanto diversi) come Khachanov e Rublev e in pochi avrebbero scommesso sul terzo incomodo. Ci sono voluti anni prima che la sua apparente mancanza di coordinazione disvelasse le sue peculiari qualità celate. Pochi mesi prima Medvedev aveva partecipato alle prime Next-Gen Finals della storia solamente grazie alla rinuncia di Zverev (come detto, già troppo avanti per “sporcarsi” con un’esibizione agonistica, per quanto ben retribuita) ed era sembrato un po’ il brutto anatroccolo del gruppo, pur al netto della wild card Gianluigi Quinzi.
Quando si affrontarono nel 2018 a Miami, Medvedev e Tsitsipas erano ancora lontani dai vertici della classifica, ma il greco sembrava quello destinato a maggiori fortune. Eppure fu il russo a spuntarla, un po’ più pronto dell’avversario, forte anche di un paio d’anni in più (classe 1996 vs classe 1998). Come anticipato, il match viene ricordato per altro: Tsitsipas che non si scusa per un net, un toilet break troppo lungo per parte e un “bullshit Russian” da parte del greco che accende definitivamente gli animi al momento della stretta di mano. D’altronde, così come non si erano pienamente intuite le potenzialità tennistiche del russo, allo stesso modo in pochi avevano già notato le spigolosità caratteriali del suo avversario; forse il bel gioco di Tsitsipas era difficile da associare immediatamente ad un tipo di condotta meno sportiva e simpatica. In quel momento, fra i due sembrava Medvedev quello destinato a ritagliarsi il ruolo di villain, ma col tempo è stato proprio quest’ultimo ad ottenere qualche simpatia in più (pur restando divisivo per il pubblico), grazie a una certa capacità comunicativa e scenica in grado di oscurare le parti meno nobili del suo comportamento. Da questo momento in poi, ogni incrocio fra i due era particolarmente atteso e non sono mancate altri scontri poco garbati.
Oltre a questo, c’era sicuramente quel contrasto di stili che tanto piace e tanto viene invocato quando si cerca di raccontare una rivalità tennistica. Tsitsipas rientrava in quell’esercito di eredi di Federer (che oggi possiamo definire “mancati”) tante volte accomunati allo svizzero dal rovescio a una mano e poco altro; al netto della fondatezza del paragone, Stefanos veniva (e in parte viene) considerato ambasciatore di quel concetto molto fluido e soggettivo che è il “bel gioco”. Dall’altra parte, invece, Medvedev è il giocatore di successo più sgraziato che si ricordi e che più di tutti ha allungato il campo da tennis, riuscendo a generare un tennis vincente da posizioni proibitive.
Con l’inaspettata esplosione del russo a questi livelli e con la contestuale ascesa del greco, la tavola sembrava perfettamente apparecchiata. Il 2021 è stato l’anno dell’illusione: Tsitsipas raggiunse la sua prima finale Slam al Roland Garros, che perse fra enormi rimpianti facendosi rimontare due set di vantaggio dal solito Djokovic; pochi mesi più tardi, Medvedev riuscì a battere il serbo agli US Open, impedendogli di centrare quel Grande Slam in grado di far tremare persino una delle menti più forti viste su un campo da tennis.
La rivalità, però, non è mai sbocciata. Ad oggi Tsitsipas ha giocato solo un’altra finale Slam, persa neanche a dirlo da Djokovic, mentre Medvedev ne ha giocate altre tre, due delle quali perse da una situazione di 2-0. Gli scontri diretti non hanno offerto mai particolare pathos e poche volte sono stati di particolare prestigio; gli incontri di maggior valore tennistico fra i due sono state le due semifinali agli Australian Open, entrambe vinte da Medvedev. Nessuno dei loro precedenti (dominati 10-4 dal russo) è mai stata una finale; una rivalità che non si è mai giocata per la vittoria rimane menomata a livello sia sportivo che di epica narrativa.
Arrivando al presente, entrambi i giocatori sono in una crisi crescente dalla quale sembra sempre più difficile uscire. Sono fuori dalla top ten (Tsitsipas addirittura è fuori dai primi venti del mondo) e nessuna loro eliminazione prematura è più una sorpresa. Nel momento in cui questo pezzo viene scritto, Medvedev è già stato eliminato dagli US Open da Benjamin Bonzi al termine di una partita che ha mostrato l’assoluta mancanza di controllo dell’ex numero uno del mondo, culminata in azioni estremamente antisportive, sconvenienti e volgari che gli sono valse una multa di ben 100.000 dollari; dietro a molti dei suoi comportamenti più teatrali era sempre sembrato esserci una lucida premeditazione, che oggi sembra essere completamente venuta meno. Tsitsipas è ancora in corsa, ma non ci sono particolari motivi per pensare che questo torneo potrebbe essere troppo diverso dagli ultimi. L’unico elemento della sua carriera a non aver conosciuto alcuna flessione sono i tira-e-molla con il padre Apostolos, che hanno causato l’allontanamento di diversi allenatori che hanno provato a inserirsi in questo rapporto. L’ultimo di questi è stato Goran Ivanisevic, che con la sua schiettezza non è riuscito a ridestare dal suo torpore Stefanos, involuto tecnicamente e fisicamente.
È difficile individuare le cause di questi declini. Sicuramente l’arrivo di due giocatori obiettivamente più forti ha portato a un ridimensionamento dei due promessi rivali, ma non in misura tale da poter giustificare un crollo come quello al quale stiamo assistendo. In questi casi chi cerca spiegazioni si rifugia spesso dietro un generico “problema di testa”; non si farà diversamente neanche in questo caso, considerando quanto già detto sulla tenuta mentale di Medvedev in partita e sull’incapacità di gestione del proprio futuro di Tsitsipas. A ciò si aggiunge che le difficoltà di entrambi hanno accentuato i limiti di entrambi: Stefanos ha probabilmente il rovescio più attaccabile fra i primi 30 giocatori del mondo (a stare stretti), colpo addirittura involuto rispetto a qualche anno fa; Daniil deve essere in ottime condizioni psicofisiche per poter generare un tennis vincente giocando così lontano dalla linea di fondo e oggi non lo è, con ricadute allarmanti sulla pericolosità del suo gioco.
Capire quale di questi problemi abbia innescato la miccia di queste implosioni non è risposta di pronta soluzione. In ogni caso, l’impressione è che ogni torneo passato nell’irrilevanza tennistica diminuisca le possibilità di rivedere ai vertici del tennis due dei giocatori più particolari e significativi della c.d. “Era di Mezzo”, nei quali tanti appassionati avevano riposto tante speranze. Beninteso: al netto dei rimpianti, se entrambi si ritirassero oggi stesso, avrebbero bilanci di carriera di valore assoluto. Fra i tanti obiettivi raggiunti, Medvedev ha vinto uno Slam grazie a una finale storica (con tanto di celebrazione iconica), ha giocato altre cinque finali Slam, ha vinto un’edizione delle ATP Finals ed è stato numero uno del mondo; sicuramente le sue peculiarità tecniche e caratteriali lo faranno ricordare come un giocatore di culto. Tsitsipas ha raggiunto “solo” due finali Slam, ha vinto un’edizione delle Finals ed è stato numero tre del mondo; in relazione alle esagerate aspettative che avevamo su di lui è lecito parlare di risultati deludenti, ma in termini assoluti pochissime persone non firmerebbero per fare una carriera del genere.
Il problema, più che per i giocatori stessi, che sembrano un po’ rassegnati e un po’ svuotati, è per il circuito ATP. Stefanos e Daniil non solo non hanno lasciato in eredità una rivalità significativa, ma hanno anche lasciato troppo sguarnite le posizioni a ridosso di Sinner ed Alcaraz. Zverev è il più continuo fra gli inseguitori, ma ad oggi non ha mai mostrato la forza mentale per portare a casa uno Slam. Djokovic è in fase calante. Shelton non è ancora affidabile. Musetti ha dimostrato di valere i migliori solo su terra. Draper sta mostrando vulnerabilità fisiche preoccupanti. Rublev e Ruud si stanno scontrando con i propri limiti. È in questo quadro che un ritorno di Medvedev e Tsitsipas ad alti livelli gioverebbe alla competitività del circuito e darebbe un po’ di pepe ad alcuni scontri di vertice. È sempre più difficile che questa possibilità si concretizzi, ma nella sua storia il tennis ha visto ritorni ben più improbabili. Alla fine, però, è probabile che molti si accontenterebbero di vederli litigare qualche altra volta su un campo secondario per una partita di scarso valore; d’altronde è questa l’unica cosa che ha reso la loro rivalità iconica.
Crediti fotografici
Foto di hansmarkutt da Pixabay.
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