È probabile che ai cultori della rivista Playboy sfugga il ricordo di Lenna Sjööblom, PlayMate del mese nel numero di novembre 1972. Una ricerca per immagini del termine Lenna restituisce invece diversi risultati di una bella figliola con un cappello piumato.
Si tratta della svedese Lenna, al secolo Lena Söderberg, entrata di diritto nella storia dell’informatica nell’estate del 1973, con tutti i suoi splendidi bit.
Lenna e l’algoritmo
Quando nell’autunno del 1975 cominciai a preparare la tesi di laurea sulle tecniche e algoritmi di compressione di immagini, Lena Söderberg, Lenna per gli addetti ai lavori, era da un paio d’anni la regina incontrastata del campo.
Cos’è un algoritmo?
Da qualche tempo il termine si è diffuso al di fuori del suo ambito informatico, insieme alla democrazia dal basso e, termine un po’ meno noto, alla e-democracy.
Siamo ben lontani dall’applicazione compiuta, corretta e trasparente dell’informatica ai processi vitali della democrazia ma, quando inevitabilmente accadrà, saranno degli algoritmi a garantire l’applicazione della democrazia diretta.
In estrema sintesi, un algoritmo è una procedura, perfettamente descritta senza ambiguità, che consente di risolvere un problema in un numero finito di passi. La parola nasce nel campo della matematica e ha trovato naturale applicazione nell’informatica, ma ha un senso più ampio.
Le istruzioni per realizzare una sciarpa sono, ad esempio, un algoritmo. Per chi è capace di lavorare a maglia, seguire lo schema descritto nelle istruzioni porterà con sicurezza al risultato in un numero finito di sferruzzamenti.
Ritornando al campo informatico, un algoritmo entra in gioco ogni qualvolta si debba risolvere un problema. C’è un algoritmo per estrarre la radice quadrata di un numero, è un algoritmo a disegnare un frattale. Ma è anche mediante un algoritmo che Facebook popola di news la mia timeline, basandosi sulla sua percezione del mio gradimento delle news proposte (tempo di lettura, like, commenti, condivisioni).
Come per ogni strumento, un algoritmo non è né buono né cattivo, ma è lo scopo per cui è disegnato e la sua applicazione che devono farci riflettere.
Perché Lenna
Nella compressione di immagini occorre ridurre il peso dell’immagine o del filmato originale, senza comprometterne la qualità percepita. Se oggi ci sono standard affermati (jpeg, mpeg), allora era ancora un aperto campo di ricerca. Si lavorava a individuare algoritmi che fossero efficaci e al tempo stesso di semplice esecuzione.
Naturalmente era importante confrontarsi con i risultati di altri gruppi, e quindi lavorare su immagini condivise. Al Politecnico di Napoli utilizzai l’immagine mezzo-busto di una graziosa ragazza orientale e quella di un carro armato che avanzava nel deserto. Entrambe provenivano da pubblicazioni statunitensi.
Per le immagini in movimento era disponibile un breve filmato, decisamente artigianale, preparato dal Politecnico di Milano.
Un paio d’anni prima, nel giugno del 1973, al Signal and Image Processing Institute (SIPI) della University of Southern California, dove furono gettate le basi per gli standard jpeg e mpeg, avevano risolto il problema in un altro modo.
Dopo aver provato diverse immagini, senza trovarne una soddisfacente, capitò che uno degli studenti, nella pausa pranzo, entrasse nel laboratorio con in mano una copia del numero di Playboy del novembre precedente. In quella rivista, la più venduta della storia con 7.161.561 copie, la ragazza del mese, ritratta nel paginone centrale, era appunto la nostra Lenna (qui l’immagine completa).
Oltre al cappello e a un paio di scarpe, indossava poco altro. Era ritratta all’impiedi, tre-quarti di schiena e di fronte a uno specchio, con il volto rivolto all’obiettivo.
La Playmate del mese
La PMoM o Playmate of the month era la protagonista del paginone centrale della rivista. Ogni anno aveva poi la PMoY, la playmate dell’anno.
La PMoM più famosa (almeno per la mia limitata cultura in materia gossip) è stata Pamela Anderson, febbraio 1990. Marilyn Monroe figurò sul primo numero di Playboy nel dicembre 1953, ma come Sweetheart of the Month. Il titolo già dal mese successivo fu cambiato in PMoM.
Recentemente Playboy ha invitato 7 ex-PMoM a posare nuovamente. Giusto per giocare con il tempo che passa.
Digitalizzando Lenna
Il laboratorio andò letteralmente in visibilio. L’immagine presentava il giusto mix di colori e sfumature, luci e ombre, dettagli fini e zone di colore uniforme. Il contrasto era perfetto.
C’era tutto quello che avevano cercato senza successo per mesi. Detto fatto: la porzione superiore della foto fu digitalizzata in 512 x 512 pixel e si smise di cercare altre immagini.
A dire il vero non tutto andò per il verso giusto. Lo scanner si era perso la prima linea della scansione e l’immagine era venuta un pelo allungata rispetto all’originale.
Furono giudicati comunque dettagli trascurabili e l’immagine scannerizzata tenuta per buona. Questo spiega perché nell’immagine utilizzata dagli informatici, Lenna sia meno rotonda dell’originale.
Una raccolta dei campioni utilizzati in quegli anni nella ricerca di algoritmi di compressione di immagini si trova nel database del SIPI.
Lenna e il copyright
L’immagine di Lenna cominciò a viaggiare di laboratorio in laboratorio, diventando in breve tempo il riferimento per la ricerca sulla compressione di immagini statiche e il banco di prova per gli algoritmi di compressione.
Dopo pochi anni l’estrema popolarità dell’immagine guadagnò a Lenna il titolo di First Lady of the Internet.
Era però sfuggito a tutti un piccolo dettaglio: sull’immagine che era stata ritagliata e digitalizzata c’erano dei diritti di proprietà da parte di Playboy. La sua distribuzione, larghissima in tutto il mondo, era avvenuta in violazione, ingenua quanto si vuole, di quei diritti.
Per diversi anni Playboy ignorò gli informatici (non è vero però il viceversa), e la faccenda del copyright venne fuori solo ben 18 anni dopo, quando nel luglio del 1991 la foto fu pubblicata sulla copertina della rivista Optical Engineering.
Ne nacque una controversia sui diritti, sanata successivamente con una transazione tra la rivista e il Signal and Image Processing Institute.
Playboy prova ad adattarsi ai tempi
Il successo di Playboy, fino a qualche anno fa, risiedeva nella proposizione patinata di nudi femminili, in un mondo in cui il gossip era ancora lontano dagli eccessi attuali e la pornografia in rete non esisteva. In anni recenti lo spazio vitale della rivista era stato eroso proprio dalla larga disponibilità di porno su internet e dall’abbondanza di dettagli anatomici nelle fotogallery di gossip.
Il nuovo scenario di mercato aveva spinto Cooper Hefner, subentrato al padre Hugh Hefner nella direzione del magazine, a rimuovere il nudo dalle pagine della rivista, a partire da marzo 2016.
Giusto un anno dopo, il ripensamento:
I’ll be the first to admit that the way in which the magazine portrayed nudity was dated, but removing it entirely was a mistake. Nudity was never the problem, because nudity isn’t a problem.
Con questo commento, lo scorso marzo Hefner ha infatti annunciato il ritorno del nudo sulle pagine della rivista. Insieme ad altre novità editoriali che dovrebbero rivitalizzare le vendite, la rivista ha cambiato anche il claim da “Entertainment for Men” a “Entertainment for All”.
Riuscirà il recupero?
Avrei forti dubbi, a guardare qualche grafico di Google Trends, per gli Stati Uniti tra il 2007 e oggi. In particolare si osservi l’andamento in costante e regolare calo delle search per “Playboy“.
Ed è anche il genere legato all’erotismo a tirare poco, a giudicare dall’andamento delle ricerche di “sex, porn e news“: quest’ultimo termine sta infatti riprendendo il primo posto, dopo aver abdicato agli inizi del 2007.
E nemmeno “Facebook” sta molto bene, di questi tempi.
Lenna, dopo Playboy
La signora Söderberg seppe della sua notorietà informatica solo nel 1988, quando fu intervistata da una rivista informatica svedese.
Nel frattempo aveva cambiato radicalmente vita, lasciando il lavoro di modella per una scrivania nell’ente del monopolio degli alcolici svedese. Si era sposata ed era diventata tre volte mamma.
Diversi anni dopo, nel 1997, ormai quarantaseienne, fu anche madrina del cinquantesimo convegno della Society for Imaging Science and Technology a Cambridge. Per la felicità dei ricercatori, che poterono stringerle la mano e avere un suo autografo.
Qualche immagine più recente (comunque di una ventina di anni fa) di Lena Söderberg si può vedere sul sito Alchetron.com.
Un sonetto per Lenna
Già, perché essendo il mondo vario, c’è anche chi ha pensato di dedicarle un sonetto:
O dear Lena, your beauty is so vast
It is hard sometimes to describe it fast.
I thought the entire world I would impress
If only your portrait I could compress.
[…]
scritto dall’eclettico Thomas Colthurst.
Lenna e la discriminazione
Oggi, scegliere una foto come quella di Lena Söderberg sarebbe giudicato un atto sessista. C’è una maggiore sensibilità sul tema e la ricerca tecnologica attira ormai entrambi i sessi, con minore sproporzione maschi-femmine nella popolazione tecnica.
Non è sempre stato così. Ricordo che negli anni ’70 al Politecnico di Napoli mi ritrovai in una marea di matricole, tra cui c’erano solo due ragazze. Per gestire la moltitudine, a lezione fummo divisi in matricole pari e dispari. Inutile a dirsi, le due ragazze finirono entrambe nell’altro gruppo.
La scelta della foto di Lena Söderberg maturò in un ambito a forte prevalenza maschile, quale era quello dei gruppi di lavoro tecnico. Non c’era sicuramente volontà esplicita di discriminazione verso le donne, il connotato più rilevante fu la goliardia iniziale.
E, una volta partita la diffusione, Lenna era diventata ormai uno standard, a cui confesso non era spiacevole aderire.
Ricercatrici alla riscossa
Non avevano la stessa view le ricercatrici, che andarono via via aumentando. Sunny Bains, editrice della rivista Photonics, scrisse:
The image is laden with a male fantasy version of female sexuality that needs no breast or buttock to speak of woman as a limited, defined version of a human being.
Osservando che “It’s not difficult to feel isolated when you’re a woman working in a male-dominated field”, sempre nel 1997 Bains decise di escludere Lenna dalla sue pubblicazioni. Ricevette lettere di ringraziamento da molte donne, nessuno si lamentò della policy restrittiva.
L’anno prima, per una analoga policy editoriale, Theo Pavlidis, allora professore della State University di New York–Stony Brook, nel pubblicare un suo libro sulla Computer Graphic aveva eliminato qualunque immagine femminile, utilizzando solo vasi e fiori (“just to be safe“).
Basandomi sulla mia personale esperienza, avendo provato algoritmi sull’immagine della ragazza asiatica e su quella del carro armato, devo dire che applicai molto più entusiasmo sulla prima. Nel pieno rispetto dell’opinione e della sensibilità di ciascuno, penso che avrei trovato un po’ noioso studiare algoritmi per un vaso di fiori, per quanto belli.
Non ho neanche il pollice verde, peraltro.
Mi chiamo Pasquale Petrosino, radici campane, da alcuni anni sulle rive del lago di Lecco, dopo aver lungamente vissuto a Ivrea.
Ho attraversato 40 anni di tecnologia informatica, da quando progettavo hardware maneggiando i primi microprocessori, la memoria si misurava in kByte, e Ethernet era una novità fresca fresca, fino alla comparsa ed esplosione di Internet.
Tre passioni: la Tecnologia, la Matematica per diletto e le mie tre donne: la piccola Luna, Orsella e Valentina.
Potete contattarmi scrivendo a: p.petrosino@inchiostrovirtuale.it
Grazie Franco!
Fantastico!