Si è appena ritirato Paolo Lorenzi, giocatore che ha incarnato meglio di chiunque altro le qualità necessarie per emergere nel tennis
Il 2021 ha assunto le sembianze di un cambio di guardia piuttosto rilevante nel mondo del tennis. Federer è alle prese con la terza operazione al ginocchio in un anno e mezzo a 40 anni (circostanza che non lascia scommettere sul suo prosieguo di carriera), mentre Nadal ha terminato col Roland Garros la sua stagione a causa del riacutizzarsi di un problema al piede sinistro con cui ha convissuto sin dal 2005 e che adesso sembra stia presentando il conto. Altri vincitori Slam come Murray, Wawrinka e Cilic hanno chiaramente dato il meglio e si avviano verso un dignitoso finale di carriera. Non fosse per Djokovic, alla ricerca di uno storico Grande Slam, parleremmo di un cambio di generazione definitivo.
Giocatori di secondo piano
Non sono però solamente le prime linee a segnare questo ricambio generazionale, ma anche giocatori di secondo piano. Giocatori – di livelli diversi – come Tsonga, Gasquet, Lopez (che continua ad incrementare la sua striscia di Slam consecutivi giocati che va avanti dal 2002, ora arrivata a quota 78), Fognini, Seppi (arrivato al 65° Slam consecutivo, terzo in questa particolare classifica), Anderson, Simon e tanti altri che hanno fatto parte del roster principale del circuito ATP sembrano pronti ad appendere la racchetta al chiodo o comunque giocano per il puro gusto di farlo, a prescindere dai risultati conseguiti (cosa bellissima, checché ne dicano alcuni).
In questo senso lo US Open è stato l’ultimo torneo di due grandi oggetti di culto del circuito ATP. Il primo è Ivo Karlovic, che detiene il record di ace messi a segno in carriera (13.709, ma occhio a Isner a 13.034) e che si è fatto apprezzare anche per una certa sagacia su Twitter. Il secondo è il nostro Paolo Lorenzi (classe ’81 come Federer), personaggio che sembra essere nato per incarnare l’esempio di come raggiungere i propri obiettivi in carriera. Proprio di lui si parlerà in questo articolo.
Il ritiro
Non ricordo dove purtroppo, ma qualche giorno fa ho letto un paragone che mi è particolarmente piaciuto. In una recente intervista Gianluigi Quinzi, ex promessa italiana che ha annunciato come Lorenzi il ritiro quest’anno (ma con quindici anni in meno sulle spalle), ha detto che gli fa piacere pensare di essere stato un po’ l’apripista della generazione di giovani talenti italiani che stanno sbocciando.
Il ragionamento personalmente non mi è sembrato così sbagliato; forse un po’ consolatorio, ma sicuramente con delle basi: Quinzi è stato sia un parafulmini per le aspettative che ricadevano sugli altri giovani italiani in rampa di lancio, sia un esempio (anche e soprattutto in negativo) di come vada gestita la carriera di una promessa tennistica. Allo stesso modo, leggevo, Paolo Lorenzi è stato un apripista per tutti quei giocatori che non sono esplosi da giovani ma che, con molta dedizione, hanno raggiunto ottimi risultati solamente col tempo e (ovviamente) col lavoro.
Travaglia, Caruso, Fabbiano e in parte Cecchinato sono solo alcuni che sicuramente hanno tratto ispirazione dalla carriera di Lorenzi. Questa affermazione è invece innegabile, in quanto avere di fronte l’esempio di un tennista che ha ottenuto i suoi migliori risultati nella seconda (se non terza) parte della sua carriera non può che essere stato uno stimolo per tutti quei giocatori non baciati dal talento e che sembravano impantanati fuori dai primi cento giocatori del mondo.
Per capire, però, che esempio ha rappresentato Lorenzi bisogna anche raccontare che tipo di carriera ha fatto Paolo Lorenzi.
La carriera di Paolo Lorenzi
Come ha detto lui stesso, a 27 anni aveva un best ranking da n. 160 del mondo e aspettative assolutamente non rosee. Se è vero che non c’è stato un vero e proprio turning point nella carriera di Paolo Lorenzi, ma semplicemente la costante voglia di migliorarsi, una partita che, per sua stessa ammissione, gli ha dato maggiore convinzione nelle proprie possibilità è stata la sua sconfitta contro Nadal al secondo turno a Roma nel 2011.
L’italiano aveva vinto le qualificazioni del torneo ed un combattuto primo turno contro Bellucci (n. 22 del mondo, vittoria estremamente prestigiosa), dunque si era meritato il palcoscenico più importante contro l’avversario più forte. Sembrava quasi un premio alla carriera, mentre il meglio del percorso professionistico doveva ancora arrivare. In quel match con Nadal, Paolo Lorenzi fu sbalorditivo per quasi due set.
Lorenzi contro Nadal
Con un tennis tatticamente perfetto, fatto di continue variazioni e discese a rete, Lorenzi neutralizzò il miglior giocatore su terra battuta di tutti i tempi. Gli unici highlights estesi che si trovano su YouTube sono di pessima qualità e non restituiscono l’andamento di quel match. Fino al 7-6 4-4 in suo favore, Lorenzi aveva fatto solo scelte perfette, che alla fine però hanno ceduto il passo alla strabordante superiorità del suo avversario (6-7 6-4 6-0 il risultato finale). Lo stesso Lorenzi, a proposito di quel match, ha detto in una recente intervista:
“È uno dei più grandi ricordi che mi porto dietro, perché è stata la prima volta che ho giocato alla pari contro uno dei migliori del mondo. Da lì ho iniziato a credere di poter raggiungere altri risultati, di non essere solo una comparsa nei primi cento del mondo. […] Probabilmente l’avevo visto così tante volte che sapevo sempre dove avrebbe tirato. Mi sembrava che tutto quel che succedeva, lui l’avesse già fatto. Poi in quelle situazioni, il pubblico aiuta tanto. Il pubblico di Roma e della Coppa Davis è diverso. I tifosi italiani sono critici in genere, lo sono anche io quando vado allo stadio. Ma a Roma e in Davis cercano solo di incitarti dal primo all’ultimo punto.”
Da qui, in effetti, la carriera di Lorenzi ha un evidente miglioramento. Nel 2012 riesce ad entrare nei primi 100 del mondo. Inizialmente sembra solo una breve comparsata, visto che nel 2013 esce dalla top-100, ma ci torna immediatamente per rimanerci per diversi anni. Nel 2017, a quasi 37 anni, riesce a raggiungere addirittura la posizione n. 33 del mondo e a diventare il n. 1 d’Italia. Risultati impensabili per chiunque lo avesse seguito nella sua carriera challenger.
Guardando invece ai singoli tornei, i risultati di maggior prestigio sono stati due. Anzitutto il torneo di Kitzbuhel, unico torneo ATP vinto in carriera, trionfo che lo ha reso il più anziano giocatore dal 1990 a vincere il suo primo torneo ATP. Di solito infatti il primo trionfo in un torneo arriva nella prima parte di carriera (o, molto più spesso, non arriva proprio), non a 34 anni suonati. Una statistica questa che è l’emblema della carriera di Lorenzi al pari di un altro suo record, legato all’altro suo risultato più prestigioso, vale a dire gli ottavi di finale agli US Open raggiunti nel 2017. Con questo risultato, infatti, Lorenzi è diventato il più anziano giocatore di sempre a disputare il suo primo ottavo di finale in un torneo dello Slam. A 35 anni inoltrati, quando molti appendono la racchetta al chiodo, Lorenzi ha raggiunto il suo miglior risultato in uno Slam.
Nel mezzo ci sono altri record che riguardano soprattutto il mondo dei tornei challenger, quelli che hanno forgiato Lorenzi. Paolino infatti è il secondo giocatore ad aver vinto più partite nel circuito challenger, ben 421, a sole due lunghezze di distanza dal record assoluto di 423 di Hidalgo (cosa che la dice lunga su quanto a Lorenzi possano interessare soldi e record, visto che due partite le avrebbe potute vincere vivacchiando un anno fra i challenger italiani). Inoltre è il terzo per tornei challenger vinti, ben 21, mentre quest’anno è stato superato da Seppi come italiano più anziano a vincere un torneo challenger.
Analisi tecnico-tattica di Lorenzi
Snocciolata la sua carriera, viene da chiedersi che tipo di giocatore è stato Lorenzi tecnicamente e tatticamente. Dare una risposta è complicato, perché Lorenzi non ha un solo colpo che ruba l’occhio, niente che sia vagamente sopra la media e faccia pensare che con quel colpo lì si può arrivare in alto. Negli anni ha imparato a fare un po’ di tutto ma niente che potesse risolvergli le partite (come magari il servizio a Karlovic). Se spesso si indica David Ferrer come il giocatore che, in rapporto ai propri mezzi tecnici, ha ottenuto di più in carriera, sottovalutandone alcune doti innate (per quanto allenate), in questo rapporto fra risultati e talento Paolo Lorenzi può dirsi in proporzione ancora più avanti dello spagnolo.
In questo piccolo “best of”, l’essenza di Paolo Lorenzi: tanti punti lottati e meticolosamente costruiti e poche cose appariscenti.
Testa e impegno
Per quanto sia retorico dirlo, non si può non dire che le armi principale di Lorenzi siano state testa ed impegno. Lorenzi, oltre ad essere un giocatore estremamente lucido nelle scelte, in grado di ottimizzare il suo bagaglio tecnico oltre le proprie possibilità, è stato uno dei primi a capire sin da ragazzo l’importanza di avere uno psicologo al proprio fianco.
D’altronde è lo stesso Lorenzi ad aver sottolineato l’importanza della tenuta mentale nella sua carriera:
“Capisco che in molti vedono giocare Roger Federer e io non lo sono. Però da un altro punto di vista, forse l’errore che hanno fatto è pensare che star lì tutti i giorni, cercare di migliorarsi, allenarsi sempre, non sia una forma di talento.”
Da questo punto di vista il circuito ATP ha salutato uno dei tennisti più talentuosi di sempre, che adesso potrà sicuramente sfruttare le proprie qualità diversamente.
“La mia felicità deriva anche dal fatto che ho sempre continuato a fare il possibile per migliorarmi. Da quando ero giovane, ho cercato di essere un tennista professionista. E ci sono riuscito” (Paolo Lorenzi).
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