Credo davvero che ci siano cose che nessuno riesce a vedere prima che vengano fotografate (Diane Arbus)
Vi siete mai soffermati a riflettere sul significato che l’immagine ha, oggi, per noi? Sul significato, sull’influenza e sugli effetti. Provate a guardarvi intorno. Cosa vedete? Immagini. Ovvio.
Che sia una fotografia, un meme, un quadro o un video, i media, poi, ne sfruttano la potenza per suggestionarci e provocare le reazioni più disparate, che vanno dall’indifferenza all’aggressività, dallo sdegno al compiacimento.
Il dogma delle immagini coinvolge tutte le possibilità, positive e negative, sovversive e oppressive, politiche e naturali. Jean Baudrillard, filosofo e sociologo francese, non a caso parlava di violenza delle immagini per definirne lo spaventoso dominio. Lo scrittore si domandava non soltanto quale violenza esse fanno a noi, ma anche quale violenza noi esercitiamo su di loro, in che modo le manipoliamo, le ricollochiamo, le demoliamo, le interpretiamo. Si chiedeva, inoltre, se non vi fosse una terza forma di violenza, quella narcotizzante del controllo, della dissuasione, della sterilizzazione, provocata dalla stessa circolazione di quelle immagini. Non solo, quindi, la violenza delle e alle immagini, ma quella fra le immagini, nel loro proporsi come spettacolo.
Néjib, fumettista francese di origini tunisine, in tal senso ha avuto un’eccezionale intuizione: ha provato ad ambientare il suo ultimo lavoro nel XIII secolo, in pieno oscurantismo, dove vediamo il protagonista proporre al mondo un’invenzione che vedrà la luce solo seicento anni dopo.
Il risultato è Stupor Mundi, pubblicato dalla francese Éditions Gallimard, nel 2016, e in Italia da Coconino Press, nel 2017. Il libro ha vinto il Prix Révélation de l’ADAGP/Quai des Bulles 2016 ed è stato tra i papabili vincitori al Festival International de la bande dessinée d’Angoulême 2017.
Stupor Mundi è un fumetto di grande attualità che si traveste da romanzo storico, dietro a un’ambientazione fedele alla Il nome della rosa. Non mancano il thriller e le atmosfere anguste tipiche di un castello medievale, che fanno da sfondo all’acuta riflessione sulla forza delle immagini e all’uomo diviso tra ambizione e sete di conoscenza.
Scopriamone di più.
Nella fotografia c’è una realtà così sottile che diventa più reale della realtà (Alfred Stieglitz)
Stupor Mundi è ambientato in un gioiello del tutto pugliese, la fortezza di Castel del Monte, luogo in cui si concentrarono molte fra le menti più brillanti del passato. Ci troviamo all’inizio del XIII secolo quando Annibale Qassim el Battuti, il più insigne sapiente di tutto l’Oriente, sbarca sulle coste italiane dopo un lunghissimo viaggio cominciato a Baghdad. Ad accompagnarlo, c’è la figlia, Houdê, una bambina paralitica dalla memoria prodigiosa, e il fedele servitore, El Ghul, un ex hashishin dal passato tormentato.
Ma cosa ci viene a fare in Italia una persona come Annibale? Lo scienziato intende sottoporre a re Federico II di Svevia, uno tra gli Stupor Mundi più attenti ai progressi delle arti e delle scienze, una sua rivoluzionaria invenzione. Annibale è, infatti, convinto di aver progettato una macchina prodigiosa da lui denominata Beït-el-Dhaw (Casa della Luce) che servirà per la creazione di una Suar Dhawyia (Disegno di Luce).
Questo apparecchio funziona così: il soggetto scelto come modello viene esposto a una luce intensa; il raggio luminoso passerà attraverso un’oculare, attraverserà la scatola Kenz-el-Dhaw (Tesoro di Luce) e si proietterà su un tessuto imbevuto di un composto chimico ideato dallo stesso Annibale nell’arco di nove lunghi anni di lavoro; il tessuto va, poi, portato nella Beït-el-Hamra (Camera Rossa), immerso in una soluzione e… qualcosa non funziona come dovrebbe!
L’invenzione di Annibale potrebbe essere perfetta se non fosse per il fatto che l’immagine viene impressa ma non dura nel tempo. Lo studioso ha perso la formula chimica del fissativo e ritrovarla è un lavoro lungo e costoso, ed è questo il motivo che lo spinge a chiedere supporto economico e scientifico allo Stupor Mundi. Annibale, uomo pragmatico e meticoloso, non si lascia scoraggiare dal clima di scetticismo con il quale è accolto dai colleghi europei della fortezza, perché lui è davvero deciso a perfezionare la sua opera.
Questo è solo l’inizio del fumetto di Néjib. Da in qui in poi, sarà tutto un crescendo di doppie trame, libri trafugati, passati pieni di ombre che tornano a galla, personaggi in perenne ricerca di qualcosa, sedute psicanalitiche, oscurantismo, intrighi di corte, dispute teologiche, ambizioni, fallimenti, scontri ideologici tra Occidente e Oriente, accuse di diavoleria e impostura, verità e menzogna che si confondono e fondono fino a non capire più dove finisce una e comincia l’altra.
Il mondo ora contiene più fotografie che mattoni e sono, sorprendentemente, tutte diverse (John Szarkowski)
L’ambientazione medievale di Stupor Mundi, i precisi riferimenti storici, i complotti di corte e la sete di conoscenza lo hanno portato a essere paragonato in diverse occasioni a Il nome della rosa, di Umberto Eco. In effetti, il fumetto si presenta come un romanzo storico-fantastico che sfocia nel thriller, per poi denotarsi maggiormente come romanzo allegorico e atemporale, intorno alla questione del sapere come più intensa e pericolosa forma di potere.
Il talento di Néjib sta, poi, nell’aver scelto di raccontare l’eterno scontro tra Luce e Buio ponendolo come fulcro per un microcosmo di fatti individuali, all’interno del quale colloca una serie di personaggi, sia principali che secondari, molto credibili. Annibale, infatti, si trova a confrontarsi con illustri sapienti realmente esistiti, come Ermanno di Salza e Leonardo Fibonacci. Si confronterà aspramente con le persone più vicine a lui, come la brillante e dolce Houdê, una bambina tormentata da un particolare che non riesce proprio a mettere a fuoco, nonostante la sua estrema facilità nel ricordare tutto. Non mancano le parti ostili, come il bibliotecario Gattuso da Siena o l’ambiguo pittore Balthazar di Hockney, mentre il monaco Sigismondo è il precursore della psicoanalisi che aiuterà Houdê.
I personaggi che gravitano attorno ad Annibale sono tutte personalità contrastanti ma che hanno in comune due cose: la costante ricerca di qualcosa e una domanda, tanto naturale quanto spietata, che lo scienziato si sente rivolgere in modo assillante, ovvero “A cosa serve?”. Tutti, infatti, cercano ossessivamente una soluzione, un ricordo, uno scopo o un oggetto, così come tutti si interrogano sull’utilità dell’invenzione di Annibale.
I dialoghi sono decisamente asciutti, in quanto viene detto solo l’indispensabile e si abbandona l’uso di una voce narrante, così come è essenziale il tratto, con pochi segni ed elementi scenografici. Alcuni soggetti, per esempio, trovano significato nello spazio di due vignette, in una smorfia o in una frase.
Nonostante il minuzioso dosaggio degli interventi grafici e narrativi, Stupor Mundi è perfettamente in equilibrio tra il proferire e il suggerire, tra il rivelare e il celare.
Per quanto riguarda i colori, Néjib predilige le tonalità dell’ocra e del marrone per accentuare gli interni cupi, tipici di un’atmosfera ovattata, mentre i verdi e gli azzurri più accesi sono destinati agli esterni, per conferire un carattere più arioso. I personaggi sono raffigurati in modo monocromatico, lasciando ai neri dell’inchiostro l’incarico di definire espressioni e particolari.
La griglia è, perlopiù, regolare e classica, attribuendo alla narrazione un incedere composto ma sostenuto. Un ordine che viene sconvolto solo nelle occasioni di massima tensione, in cui l’autore non indugia a farla svanire totalmente, come siamo soliti vedere nei lavori di Will Eisner.
Sono un voyeur e chi, come fotografo, non lo ammette, è un cretino (Helmut Newton)
L’intento più genuino di Stupor Mundi è quello di parlare del presente attraverso il passato e centrale è la riflessione sul progresso scientifico e sulla morale.
Lo scienziato, infatti, si trova costantemente in bilico tra il rinunciare alla propria dignità, pur di ottenere dei risultati, e l’esigenza di conservare un’interezza che orienti le sue decisioni. Il difficile rapporto tra ricerca ed etica si concretizza nei tentativi di sabotaggio che Annibale riceve da parte di chi teme il nuovo, non riuscendo a vederne l’utilità, o da chi pensa già a un proprio tornaconto personale.
Altro punto focale è la riflessione sull’essenza della fotografia.
L’invenzione di Annibale è una proto-macchina fotografica, un congegno che verrà inventato soltanto seicento anni dopo, ed è del tutto normale che ai più appaia priva di utilità. Oggi, invece, la fotografia ha un peso determinante: ci sommerge quotidianamente, tra pubblicità, smartphone e computer, oltre ad avere una funzione documentaristica che fa di essa uno dei più efficaci mezzi di divulgazione. Sembrerebbe quasi che ci si riduca a esprimerci per immagini e nulla più, e Néjib si sofferma in maniera molto approfondita su questo aspetto, inscenando un primordiale inganno di potere a sfondo religioso, di cui poco importa constatarne l’effettiva autenticità, ma che genererà una costante manipolazione di una famosissima icona cristiana nei secoli a venire.
Stupor Mundi intende anche sottolineare i lati più piacevoli e intimi della fotografia, e cioè la memoria impressa per sempre su carta, il poter custodire il ricordo che ci lega a momenti e persone speciali.
Dunque, spetta a noi decidere quale uso fare della fotografia. Come lo stesso Annibale suggerisce, possiamo servircene per la diffusione di menzogne a nostro vantaggio, oppure come connotazione più sentimentale relegandola a memoriale.
Basta farsi un giro sui social per vedere quanta confusione c’è sotto questi due aspetti.
Hai presente quelle tipe total black, dai capelli rossi? Immaginami estasiata tra dischi, fumetti, film, serie TV, libri, violoncelli. Tra citazioni e suoni, ti farò compagnia, con una tavola di Magnus e una canzone di Fiumani.