“Senti, la tua storia è molto… interessante, e io ti capisco davvero…”
Le storie che narrano di mostri sono le preferite e le più ricercate dalle persone di qualsiasi età. Sono, però, anche le più odiate, le più temute, le più vissute.
Dal punto di vista letterario, una cosa è sicura: l’uso di figure ricollegabili alla sfera horror è, da sempre, uno stratagemma per denunciare un fatto inorridendolo, oppure semplicemente per suscitare terrore nei lettori.
Per quanto le leggende abbiano – almeno pare – sempre un fondo di verità, c’è da ammettere che pur di non dare mai la colpa all’uomo, la storia e la letteratura hanno preferito partorire creature oscure, tetre e raccapriccianti che, a distanza di secoli, ancora traumatizzano chi si trova a vagare tra i luoghi a cui appartengono.
L’orrore sembra accrescere specialmente quando queste bestie popolano le acque degli oceani, forse perché si va a instaurare una sorta di legame viscerale e mistico con l’immensa distesa salata. O, forse, perché l’abisso è un qualcosa di inesplorato per definizione, dunque le leggende nate dal mare e tramandate sono le più dure a morire. Sarebbero inconfutabili.
Il kraken fa parte di questa bellissima tradizione. Stando alla descrizione accademica, esso “è un mostro marino leggendario dalle dimensioni abnormi, generalmente rappresentato come un gigantesco cefalopode tipo piovra o calamaro, con tentacoli abbastanza grandi e lunghi da avvolgere un’intera nave”. E già questo basterebbe per spaventare a morte.
Emiliano Pagani (Il Vernacoliere, Don Zauker, Nirvana) e Bruno Cannucciari (Lupo Alberto) hanno provato a portare il temuto mostro marino all’interno di un graphic novel, pubblicato dall’italiana Tunué nel 2017 e chiamato, appunto, Kraken.
Già la copertina ha un che di grandioso: si vede un peschereccio ridotto piuttosto male, con una figura di spalle armata solo di una lampada a olio e di un arpione. Davanti a lei, in balia di un mare tempestoso, vi è il buio più assoluto, dove si intravedono soltanto due punti in lontananza, di un giallo vitreo, come due occhi che scrutano l’insignificanza dell’essere umano.
La riuscita di Kraken non si limita solo alla copertina, considerando che il fumetto si è aggiudicato il primo premio ex aequo come Miglior Libro di Scuola Italiana al Concorso Romics dei Libri a Fumetti, nel 2018, e il “Premio Boscarato” come Miglior Fumetto Italiano al Treviso Comic Book Festival dello scorso anno. I due autori, infatti, ci regalano una storia solida, appassionata ed entusiasmante, che rapisce a partire dal titolo.
Scopriamone di più.
“Ma il Kraken non c’entra niente con la morte di tuo fratello.”
A Parigi è una giornata che urla solo nuvole e diluvio. Dall’emittente televisiva F9, avvertiamo la voce entusiasta e rincuorante del noto presentatore Serge Dougarry rivelare al proprio pubblico curiosità e aneddoti sul Kraken. Serge assomiglia un po’ al nostro principe del sapere Alberto Angela e sembra condurre un programma a metà strada tra Mistero e Voyager di Roberto Giacobbo.
Man mano che la scena si allarga, scopriamo che un più sciatto e devastato Serge, spiaggiato sul divano, guarda il sé di una volta in TV, rimpiangendo i tempi andati. Dai dettagli della stanza, si capisce che il Serge di adesso è un personaggio in decadenza, è solo ed è schiavo del consolante alcool. Un uomo a pezzi.
Il riposo disperato e la contemplazione nostalgica di Serge vengono interrotti dal campanello di casa. All’uscio appare Damien, uno strano ragazzino di 14 anni, in impermeabile e armato di arpione. Ci vuole poco per intuire che Damien, il quale vive in un mondo tutto suo, è un super fan di Dougarry: il suo programma lo conosce davvero bene e la puntata sul Kraken era la sua preferita (“L’avrò vista un milione di volte”).
Del resto, se Damien si è recato dal suo beniamino, è proprio per il Kraken, perché lui l’ha visto davvero e non vuole altro che essere aiutato dall’esperto delle leggende. A Dougarry, il ragazzino racconta di aver perso sia il fratello che il padre nel naufragio del peschereccio in cui sono morti tutti, tranne Damien, l’unico a salvarsi.
Ciò che Dougarry dovrebbe fare è aiutare Damien a trovare e uccidere il mostro marino (se non lui, chi altri, alla fine?). Ma Serge non è che prenda nel migliore dei modi questa stravagante richiesta: pur dimostrandosi vicino al dolore del ragazzino, lo caccia di casa.
Un paio di settimane più tardi è Adèle, madre di Damien, a far visita all’ex presentatore. La donna, preoccupata per la chiusura del figlio, chiede a Serge di trasferirsi temporaneamente a Selalgues, dove vivono. Secondo Adèle, Dougarry non dovrebbe far altro che stare con Damien, ascoltarlo, fingere di credergli e, poi, quando si sarà calmato, tornare a casa (“Non le chiedo di fare niente di diverso da quello che ha sempre fatto: fingere.”). Serge accetta, forse convinto dalla ricompensa economica.
Selalgues è un piccolo villaggio dimenticato da Dio e situato a nord delle coste francesi, la cui unica sussistenza consiste nella pesca e nel commercio ittico. Non è per nulla un porto di mare assolato e piacevole: il cielo è sempre plumbeo, i gabbiani vorticano sul molo e si sente quasi l’odore del legno marcio dei vecchi pescherecci. Le reti dei pescatori sono vuote da mesi, in mare accadono strani incidenti e gli abitanti del luogo incolpano Damien della situazione, in quanto unico sopravvissuto alla tempesta e, dunque, portatore di malaugurio. D’altronde, parliamo di una comunità mentalmente arretrata, legata alle tradizioni e restia alle novità, in perfetta contrapposizione al pragmatismo di Dougarry. Da bravi isolani, sono sempre pronti a fare gruppo contro il più debole, cercando in continuazione un capro espiatorio su cui riversare il loro odio e a cui dare la colpa per tutti i loro problemi. E Damien, purtroppo, è il bersaglio perfetto: è lo scemo del villaggio.
Da questo punto in poi, partiranno le indagini del razionale Serge, il quale si scontrerà più volte contro la realtà ottusa e superstiziosa dell’isola, confrontandosi con una visione del mondo totalmente opposta al suo modo di sentire e appurando che l’ossessione di Damien riguarda l’intera comunità.
Cosa scoprirà sul Kraken? Esiste davvero? Il problema è (solo) il Kraken?
“Il Kraken non esiste, non esistono mostri marini, non esistono le sirene, non esiste niente di niente.”
Traspare da ogni pagina la notevole capacità di Pagani e Cannucciari di tratteggiare tanti temi diversi ricucendoli dentro uno soltanto e donando a quest’ultimo l’apparenza inquietante e potente che merita, con inquadrature incisive, battute sagaci e illustrazioni ispirate.
La sceneggiatura è ben congegnata e strutturata. La narrazione procede a passo di marcia, senza adagiarsi quasi mai e, anche se gli avvenimenti sono più bagnati dal sangue che da vera e propria azione, non si può dire che il ritmo sia fiacco. I dialoghi e i pensieri non risultano mai eccessivi, anche se coloriti, diretti e taglienti. Spesso i discorsi logici si scontrano con i paroloni dei residenti, persone disposte a tutto pur di non addossarsi le proprie responsabilità, capaci solo di incolpare un ragazzino per gli eventi terribili.
Le linee usate da Cannucciari sono spesse, realistiche e secche, ma le scene sempre molto limpide. Il tratto diventa meno dettagliato e volutamente più rozzo nelle sequenze dedicate ai ricordi dei personaggi o in quelle più oniriche, per sfociare in stupende splash page.
I personaggi sono vivi ed espressivi, specialmente gli abitanti di Selalgues, in gran parte brutti, vecchi e grezzi.
È interessante notare come le vignette non siano delimitate dalla gabbia regolare, ma da una specie di effetto di dissolvenza che regala ulteriore dinamicità alle tavole.
Estremamente azzeccata è anche la scelta della colorazione, ovvero una bicromia che comprende tutte le sfumature del verde e del grigio/seppia, aspetto che rende molto bene il tono cupo del racconto e l’atmosfera umida e oscura dei fondali marini. Si tratta di colori che si prestano particolarmente all’effetto di invecchiamento usato in fotografia e all’aria evocativa che ci si aspetta dalle favole.
Tutto ciò è compreso in un cartonato (19,5×27 cm) di ottima fattura con una carta splendida: grezza, spessa e pesante, per aiutare a dare importanza al fumetto e a ogni sua pagina sfogliata.
Dato l’intricato arazzo di personaggi di Kraken, ci sarebbe piaciuto vedere dedicato loro maggiore spazio e qualche interazione in più: nonostante l’arco narrativo sia, dopotutto, più che autosufficiente, una maggiore caratterizzazione del cast avrebbe arricchito una storia già in piedi da sola.
“Esistono solo i nostri sensi di colpa e la nostra solitudine.”
La caratteristica di Kraken è che nulla è certo e come sembra: nessun personaggio è del tutto positivo o negativo e il lettore fa fatica a condividere le riflessioni di molti di loro. Una volta arrivati in fondo al fumetto, anche la verità sul mostro potrebbe apparire ambigua e confusa, come se non potesse che rimanere celata al di sotto della superficie marina.
Kraken, dunque, è la più classica storia dell’horror, ma quell’horror che non proviene dalle mostruosità di una bestia terrificante, ma piuttosto da quelle dell’uomo, vittima e carnefice.
La storia raccontata in Kraken non è altro che un climax di cupezza e dolore, che mette in contrasto un decrescente passaggio dal fantascientifico all’horror. Ciò che contraddistingue il fumetto di Pagani è una protesta all’essere umano, dove l’autenticità dei fatti è sempre soggettiva, nessuno pensa al bene della collettività, ma sempre al proprio, celando sempre qualcosa e generando quella mentalità bigotta e chiusa che l’autore ben tratteggia.
Kraken è un fumetto che affronta diversi temi estremamente attuali, dando modo al lettore di riflettere su ognuno di loro. Materia cara a Pagani, già sviscerata nella saga di Don Zauker, è la critica alla religione, rappresentata come mezzo per fare il lavaggio del cervello alle masse, pronte a commettere le peggiori atrocità pur di continuare a sentirsi nelle grazie del loro Dio.
Altri temi toccati sono la morte, l’ambientalismo e l’avanzamento tecnologico che, al pari dell’arretratezza culturale, distrugge psicologicamente l’essere umano, senza dimenticare una bella frecciatina proprio ai lettori di fumetti e, in generale, a chi ama rifugiarsi in universi paralleli fatti di fantasia invece di affrontare la realtà, così come agli onanisti amanti delle storie morbose.
Proprio come un fondale marino in cui si può trovare ogni cosa, anche quella più stravagante, questo fumetto ha tante storie da narrare, che vanno dai miti sui mostri marini alla percezione della disabilità, dal desiderio di abbandonare un luogo sfavorevole prima che da culla diventi tomba alla solitudine di un essere umano con cui il fato è stato spietato, per arrivare all’inquinamento e al potere turistico della TV.
Le suggestioni che si possono carpire in Kraken sono molteplici, sia per quanto riguarda la narrazione, in cui convivono omaggi alla musica (come una battuta di Giorgio Gaber), alla letteratura (H. P. Lovecraft e, ovviamente, Herman Melville) e al cinema (atmosfere horror alla Dario Argento, ma anche alla Tim Burton con il suo Dark Shadows e, ovviamente, Lo Squalo), sia per quanto riguarda il disegno e la colorazione, che mescolano l’influsso delle animazioni di Walt Disney ad ampie tavole più facilmente ricollegabili alla letteratura onirica.
Oltre che pieno di mostri e tragedie, Kraken è un fumetto con una delle conclusioni più vere e sincere, oltre che orrendamente impensabili, che si possano immagine. Ci parla, inoltre, di solitudine, quella solitudine che ottenebra la realtà e non ci fa accettare le cose per quelle che sono. I personaggi che sopravvivono (in tutti i sensi) nella storia sono persone che oziano nel sonno della ragione, che preferiscono vedere e non guardare.
Per quanto tutti noi – io per prima – adoriamo le leggende e passeremmo ore sul bordo del lago ad aspettare che sbuchi la testolina di Nessie, una cosa è certa: il kraken è l’ignoranza, la cupidigia e la paura che è radicata nel genere umano.
Hai presente quelle tipe total black, dai capelli rossi? Immaginami estasiata tra dischi, fumetti, film, serie TV, libri, violoncelli. Tra citazioni e suoni, ti farò compagnia, con una tavola di Magnus e una canzone di Fiumani.