Dzumhur

In queste ultime settimane, grazie alle sue vittorie in terra russa, si sta affermando un tennista bosniaco: Damir Dzumhur

Se, nel giorno che segue il 95esimo titolo vinto in carriera da Roger Federer, si chiedesse ad un pubblico tennisticamente non edotto chi è il giocatore del momento, le risposte si dividerebbero proprio fra lo svizzero e il numero uno del mondo Rafael Nadal. In realtà nelle ultime settimane c’è un altro nome che andrebbe speso: quello del bosniaco Damir Dzumhur, attuale numero 31 della classifica mondiale (suo best ranking).

L’epopea di Dzumhur per arrivare a questo livello è estremamente affascinante, sia da un punto di vista sportivo che extra-sportivo. Quest’ultimo aspetto talvolta diviene preponderante nella narrazione delle gesta del balcanico. D’altronde quando si parla di un qualunque atleta bosniaco nato negli anni ’90 (Damir è un classe ’92) è inevitabile assegnare un ruolo di primo piano nella sua formazione al disastroso conflitto che dilaniò i paesi dell’ex Jugoslavia (Bosnia in primis); meno dovrebbe essere invece ridurre la narrazione meta-sportiva alla mera retorica del tennista più forte delle bombe come spesso accade. Di certo, per restituire appieno il contesto in cui è nato Dzumhur, basti pensare che due giorni dopo la sua nascita l’ospedale che gli diede i natali fu evacuato.

Dal cinema al tennis

Fortunatamente, a un’occhiata più attenta, la vita di Dzumhur è sufficientemente ricca di spunti per non limitarsi ad associare la sua vita fuori dal campo esclusivamente alla guerra. Alla storia – appena menzionata – del ragazzino che fugge dal conflitto si affianca anche quella dell’attore che lascia presto il mondo del cinema, dal momento che da giovanissimo ha recitato in un paio di pellicole di un certo spessore, quali Grbavica (in Italia noto come Il segreto di Esma), vincitore nel 2006 dell’Orso d’oro per il miglior film, e Snipers Valley, dove interpreta un ragazzino kosovaro in cerca di riscatto proprio dopo la guerra jugoslava. La recitazione è rimasta nel cuore di Dzumhur, tant’è che lui stesso ha dichiarato di sentirla come una sua qualità naturale e che, al termine della propria carriera sportiva, gli piacerebbe tornare a solcare qualche set cinematografico.

Le peculiarità extra-tennistiche del bosniaco, però, non devono far passare in secondo piano le conquiste tennistiche del giocatore. Riallacciandoci al cinema, non è difficile descrivere Dzumhur come il più classico degli underdog dei film a tema sportivo: fisico minuto rispetto ai colleghi, poca potenza, gambe veloci, buona mano ma soprattutto testa sveglia e grande caparbietà.

Guardandolo le prime volte non gli daresti due lire: sembra che a stento riesca a mandare dall’altra parte della rete i colpi, sbuffa e appare perennemente insoddisfatto. In realtà queste sceneggiate devono essere un retaggio della sua predisposizione alla recita, dal momento che non sembrano influire sulla sua resa in campo. Invece i suoi colpi, apparentemente flaccidi, si rivelano estremamente insidiosi; Dzumhur sa utilizzare gli effetti e gli angoli giusti per dar fastidio all’avversario. Perché è questa la sua strategia: far giocare male l’avversario.

Il torneo Challenger di San Benedetto del Tronto

La mia epifania su Dzumhur l’ebbi tre anni fa quando lo vidi al torneo Challenger (un tipo di torneo di seconda fascia, ndr) di San Benedetto del Tronto, e fu tutt’altro che immediata. La prima volta che lo vidi giocare i miei occhi erano tutti per il suo avversario, la giovane promessa – ad oggi da marinaio – Gianluigi Quinzi; poco mi importava di quell’apparente mediocre bosniaco che riuscì a portare a casa la partita, nelle mie prime valutazioni, più per demeriti dell’avversario che per propri meriti, dall’altra parte della rete c’era un giocatore da studiare in prospettiva furiosa. Passò solo un altro match per tornare a maledire nuovamente quel maledetto balcanico, quando eliminò l’altra giovane promessa – un po’ meno marinaresca in questo caso – del torneo, ossia Borna Coric, anche lui poco lucido nella gestione del suo match.

Fu solo nelle battute finali del torneo, quando per me quel torneo sembrava aver esaurito ogni interesse, che capii quanto fosse mortifero il gioco di Dzumhur. In particolare nella finale – vinta – contro un armadio austriaco di nome Haider-Maurer, nettamente superiore sulla carta, il bosniaco mandò in confusione totale il suo avversario con qualunque tipo di arma: palle corte, contropiedi, discese a rete. L’austriaco non sapeva veramente che fare, i suoi sguardi erano molto esplicativi in tal senso.

Quel gioco così intelligente sembrava potesse permettere a Dzumhur di poter solamente vivacchiare nei primi cento del mondo, senza infamia e senza gloria, come aveva fatto fino a qualche mese fa. Invece nell’ultimo anno è stato capace – grazie anche a dei miglioramenti tecnici e fisici – di arrivare a ridosso dei primi trenta giocatori del mondo.

Ad oggi il culmine di questo percorso è stata una trionfale campagna di Russia, vittoriosa come neanche nei più fervidi sogni di Napoleone, avvenuta proprio in queste settimane e che lo ha visto portare a casa ben due tornei nella nazione governata da Putin, per l’esattezza a San Pietroburgo e a Mosca. Non resta da vedere se la sua scalata abbia raggiunto il suo apice o se, ancora una volta, Damir saprà stupire tutti.

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Scritto da:

Lorenzo Picardi

Avvocato e pubblicista, non giudicatemi male. Per deformazione professionale seguo qualunque fatto d'attualità. Non sono malato di sport, mi limito a scandire i periodi dell'anno in base agli eventi sportivi. Ogni tanto provo a fare il nerd, con risultati alterni.
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