Speravo de morì prima, la serie sul finale di carriera di Totti, è un prodotto diverso da quanto era lecito aspettarsi, vediamo di che tipo
L’annuncio della serie televisiva incentrata sul finale di carriera di Francesco Totti (Speravo de morì prima, in onda su Sky) era stato accolto generalmente con molto scetticismo. Destava perplessità ridurre la storia di Totti ai suoi ultimi anni da professionista. C’era il timore (se non la certezza) che Spalletti sarebbe stato descritto come il perfetto villain della serie. Il rischio di scadere nell’agiografico era concreto. Invece il regista Luca Ribuoli, sapendo di avere fra le mani un progetto più rischioso che ambizioso, ha trovato lettura della storia chiave in grado di far funzionare la serie senza risultare pomposa, fastidiosa o eccessivamente faziosa.
“Speravo de morì prima”, infatti, adotta una chiave estremamente ironica e, visto il coinvolgimento dello stesso Totti nel progetto, anche autoironica. I difetti del “Pupone”, infatti, sono tutti messi su schermo e presi in giro, nonostante non manchi ovviamente una parte celebrativa della carriera di Totti, che avviene in particolare nei flashback che mostrano alcuni momenti salienti della carriera del Capitano. La componente comica, però, traspare da molti espedienti narrativi e da molte idee di messa in scena che spingono il prodotto dalle parti della parodia, delle volte (non troppe, per fortuna) un po’ troppo macchiettistica.
Premessa narrativa
Eppure la premessa narrativa non sembrerebbe incoraggiante in tal senso, dal momento che la storia inizia con l’esonero di Rudy Garcia e il conseguente ritorno di Spalletti (Gianmarco Tognazzi) a Roma, il grande arcinemico di Totti (Pietro Castellitto) nei suoi ultimi mesi da calciatore. Sembrava l’arrivo di Thanos in Infinity War, il preludio a un film incentrato sullo scontro contro il grande antagonista.
Sin dalla prima puntata, però, Spalletti viene dipinto probabilmente per quello che è, un personaggio non monodimensionale o banale, con parecchie spigolosità, ma certamente non sadico o puramente malvagio come qualcuno poteva aspettarsi. Anzi, si leggono in maniera abbastanza evidente delle ammissioni di colpa di Totti nel logoramento del suo rapporto Spalletti, che anni prima invece appariva estremamente solido.
A più riprese, inoltre, chi sta intorno a Totti cerca di fargli capire gli errori che sta commettendo, su tutti la moglie Ilary (Greta Scarano) ed è sicuramente più semplice essere d’accordo con lei che non con il marito, che spesso sembra un bambinone piuttosto capriccioso. E proprio questa presa in giro di Totti (a volte anche eccessiva) sembra voler togliere tragicità a una querelle a cui magari oggi i protagonisti ripenseranno ridendo un po’ di loro stessi.
Il Capitano contro il tempo
Non solo questo, ma a conti fatti – e com’è stato espressamente dichiarato – il vero implacabile antagonista della serie è il tempo. Col passare delle puntate (sei in tutto, della durata di quaranta minuti circa) lo scorrere del tempo si mostrerà subdolo e spietato, fino a rivelarsi addirittura vincente, nonostante il Capitano non si rassegni all’evidenza neanche una volta ritiratosi. Mentre la sua presenza diventa più ingombrante, sfuma il focus sul rapporto fra Totti e Spalletti, alla fine rappresentato in maniera migliore di quanto ci si potesse aspettare. Se proprio si deve trovare un antagonista “fisico”, da un certo punto in avanti, la serie ci suggerisce che sia da individuare nella società più che nell’allenatore toscano.
Il cast
Un tasto ovviamente spinoso è stato quello della scelta degli attori. Sin dalla prima ora sono piovute critiche per la scarsa somiglianza fisica fra gli attori e le proprie controparti reali. Critica facilmente disinnescabile dal momento che non siamo di fronte a una gara di sosia e che la bontà delle scelte si valuta su altri parametri (interpretazione, mimica facciale, parlata, gestualità). Il risultato è tendenzialmente molto buono.
Pietro Castellitto veste i panni di Totti
Pietro Castellitto mette in scena un Totti molto credibile e facilmente riconoscibile, che talvolta sembra addirittura essere doppiato dall’originale per quanto è fedele in alcune espressioni. Semmai (e questo è un tratto che accomuna moltissimi personaggi della serie) il rischio di risultare eccessivamente macchiettistico e parodistico c’è e in alcuni momenti si calca un po’ la mano su alcune “debolezze” di Totti. È vero, come detto, che il tono della serie va in quella direzione, ma delle volte si arriva a un’eccessiva semplificazione dei personaggi; i momenti in cui l’interpretazione è riuscita sono comunque in netta maggioranza.
Nelle ultime due puntate, però, Totti viene coinvolto in meno gag, acquista maggior spessore e viene messo in scena quello che probabilmente il Capitano voleva mostrare più di tutto: uno sfogo, l’esternazione di una sofferenza che magari renda più comprensibile certi errori che, nel corso della serie, sembra ammettere (neanche troppo) implicitamente.
Forse gli altri personaggi principali sono trasposti ancora meglio.
Gianmarco Tognazzi e Greta Scarano nei ruoli di Spalletti e Ilary Blasi
Il lavoro che Tognazzi ha fatto su Spalletti è fedelissimo. Cadenza, gesti, mimica facciale: basterebbe uno solo di questi elementi (anche solo totalmente decontestualizzati) per riconoscere la figura dell’allenatore di Certaldo. Greta Scarano, invece, aveva il compito probabilmente più difficile del cast, in quanto Ilary Blasi non ha quegli eccessi che rendono facile caratterizzare gli altri personaggi del lotto, eppure anche la Signora Totti è facilmente riconoscibile, oltre ad essere la persona meno parodistica di tutta la serie.
Gabriel Montesi è Antonio Cassano
Merita un paragrafo a parte la figura di Antonio Cassano, messo in scena da un ottimo Gabriel Montesi, che costituisce l’azzardo più grande di tutta la serie. I ruoli che riveste sono due: quello di personaggio reale, presente nei diversi flashback, e quello di vero e proprio grillo parlante immaginario che cerca di far ragionare Totti sul proprio ritiro.
Fra i due Antonio c’è anche una discreta differenza di caratterizzazione, con il Cassano “onirico” molto più vicino all’idea caricaturale di Cassano che può avere lo spettatore medio, mentre il Cassano “reale” calca un po’ meno la mano su determinate peculiarità del personaggio, sebbene resti comunque caratterizzato dai suoi classici eccessi. È comunque nella prima veste che ricopre il ruolo primario. Fra le tante persone che hanno fatto parte della vita di Totti, forse è proprio lui il contraltare perfetto al Totti che vuole continuare a giocare, fosse solo per il semplice fatto che il barese decise di smettere nello stesso periodo di Totti (nonostante fosse più giovane di sei anni).
I genitori di Totti e altri personaggi secondari
Mentre per i genitori di Totti è più difficile valutare un’attinenza alle controparti reali (pur costituendo dei personaggi interessanti e riusciti), appaiono sottotono gli interpreti secondari, scelti piuttosto pigramente e non particolarmente ispirati. Fra questi, però, si segnala l’eccezione dell’interprete di Daniele De Rossi (Marco Rossetti), veramente molto calato nella sua parte, in particolare in alcuni sguardi quasi spiritati tipici di “Capitan Futuro”.
Sullo sfondo, poi, c’è una Roma estremamente fedele a quella rappresentata nella mitologia calcistica moderna, fatta di folli radio romane (oggetto di culto anche e soprattutto nel resto d’Italia), di tifosi totalmente devoti al Capitano e dei facili sbalzi d’umore della piazza. Per quanto alcuni tifosi rappresentati siano fin troppo stereotipati (alcuni particolari curati su tutti), non si può certo dire che i personaggi siano lontani dalla realtà.
Altre scelte da premiare
Un’altra scelta che ci sentiamo di premiare è quella di non mostrare scene di calcio recitate dagli attori, che negli anni sono sempre state una nota dolente di quasi qualunque produzione cinematografica inerente il mondo del calcio (cosa che ha sottolineato anche Paolo Condò, autore dell’autobiografia di Totti “Un capitano“, fonte d’ispirazione principale della serie). L’impiego di sole immagini di repertorio della Serie A (stando sempre attenti a non mostrare il vero volto dei giocatori) è sicuramente una scelta più gradita rispetto a quanto sarebbe stato mostrare dei dopolavoristi impacciati imitare gesti tecnici e atletici fuori dalla propria portata.
Da ultimo, la colonna sonora è piuttosto curata, scegliendo bene sia i motivi da proporre in sottofondo in determinati momenti quanto, soprattutto, canzoni più note per accompagnare in particolare i momenti comici.
Perché guardare la storia di Totti Speravo de morì prima?
In definitiva, “Speravo de morì prima” si rivela un prodotto estremamente diverso da quello che ci si poteva aspettare a seguito del suo annuncio. Al posto di una pomposa fiction autocelebrativa e della gloriosa storia di uno dei più grandi giocatori italiani di tutti i tempi (comunque debitamente celebrata attraverso diversi flashback), ci si trova di fronte al racconto di un uomo pieno di difetti e del suo turbolento addio al calcio.
Una narrazione che ha una base fortemente comica (spesso riuscita, qualche volta meno) ma che sul finale cerca di mostrare maggiore spessore approfondendo ulteriormente il disagio di Totti nell’abbandonare l’unico mondo conosciuto in vita sua, quello del calcio. Nonostante niente consigliasse la realizzazione di un racconto così cronologicamente vicino, la scelta stilistica di Luca Ribuoli sembra l’unico modo per rendere il prodotto qualcosa di diverso e meno scontato da molti altri dello stesso genere.
Senza riscrivere la storia del medium televisivo e senza prendersi troppo seriamente, la visione delle sei puntate di “Speravo de morì prima” è un piacevole intrattenimento su cui probabilmente nessuno avrebbe scommesso un soldo, che inoltre riesce a comunicare il proprio messaggio di fondo in maniera chiara e senza troppi fronzoli.
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