Storia della prima vincitrice del Nobel per la fisica
Qualche mattina fa, durante la colazione, il mio ascolto selettivo colse nel trambusto la frase: “È la terza donna a ricevere il premio Nobel, prima di lei l’ottenne una ricercatrice nel 1963″ pronunciata dal TG. Il mio cervello si riattivò velocemente e in un momento mi ritrovai a fare due rapidi conti: se Mrs X (ignoravo persino il nome della persona citata) era solo la terza donna a vincere il Nobel in quella materia (di quale materia si trattasse era un altro dettaglio passato inascoltato) e colei che l’aveva preceduta lo aveva vinto nel 1963, voleva dire che stavano parlando del Nobel per la fisica, vinto per la prima volta da Marie Curie.
Non so dirvi per quale ragione, ma la storia di questa donna mi ha sempre affascinata. Così, mentre i miei compagni preparavano tesine – che ai miei tempi si chiamavano ricerche – sul ciclo dell’acqua o sui mammiferi, io per l’esame di quinta elementare portai Maria Curie e la scoperta del radio.
Passai ovviamente per fanatica, ma poco m’importava. Marie Curie aveva avuto una storia e dei successi che, ai miei occhi di bambina, la collocavano a tutti gli effetti sull’Olimpo delle principesse Disney. Qui vi racconto la sua storia.
I primi anni di Marie Curie
Nata a Varsavia, nel 1867, Marie Curie era l’ultima di cinque figli e studiò da autodidatta assieme al padre, insegnante di matematica e fisica. Nella Polonia della seconda metà dell’Ottocento, controllata dalla Russia, era quasi impossibile per le ragazze accedere a un’istruzione superiore.
Le morti ravvicinate della mamma e della sorella maggiore a causa del tifo la segneranno profondamente e la legheranno in maniera indissolubile con la sorella Bronya, di tre anni più grande, con la quale trascorrerà tutta la vita. Le sorelle decisero così di prendersi cura l’una dell’altra e, proprio per mantenere gli studi alla sorella, Marie lavorò alcuni anni come governante. Solo a 24 anni poté finalmente riprendere gli studi, raggiungendo la sorella a Parigi e iscrivendosi alla Sorbona.
La scelta di studiare a Parigi fu quasi obbligata, visto che all’ateneo di Varsavia le donne non erano ammesse. L’idea era quella di laurearsi per poi tornare in Polonia a fare l’insegnante; perciò Marie s’impegnò con tutte le sue forze nello studio. Quando non era all’università viveva in un misero appartamento del quartiere latino. La casa era fredda e senza riscaldamento, Marie si nutriva di frutta, pane e cioccolata, ma il suo impegno la ripagò e in tre anni si laureò in matematica e fisica.
Il magnetico Pierre
Grazie al suo impegno, Marie riuscì a ottenere una borsa di studio per tracciare le proprietà magnetiche dei metalli, ma il materiale per gli esperimenti era ingombrante; così qualcuno le suggerì di rivolgersi a Pierre Curie, fisico esperto che si guadagnava da vivere come capo di laboratorio della Scuola di Fisica e Chimica industriale di Parigi.
Pierre era un tipo strano, più interessato alla ricerca che ai titoli e alla mondanità; insieme al fratello aveva scoperto il piezoelettrico, cioè il potenziale elettrico che si sprigiona comprimendo i cristalli, consentendo a noi, oggi, di accendere il piano cottura con un tasto. Inutile dire che questo incontro cambiò la vita di entrambi.
Gli sposini Pierre e Marie Curie
Pierre ebbe il suo bel daffare per conquistare Marie, che da donna di carattere qual era non aveva intenzione di lasciare che l’amore cambiasse i suoi piani. Solo l’intenzione di volerla seguire anche a Varsavia ottenne l’effetto sperato e così i due convolarono a nozze nel 1895 a Sceaux. Come dono di nozze ricevettero due biciclette, con le quali viaggiarono per l’Europa nei tre mesi successivi.
Vita di coppia, tra figli ed esperimenti
Entrambi amanti della solitudine, Pierre e Marie passavano le giornate chiusi in laboratorio e conducevano una vita di lavoro in simbiosi. Fu così che nel 1897 nacque Irène, la cui crescita venne seguita segnando scrupolosamente ogni dato e progresso.
Già da un anno Marie Curie si era concentrata sullo studio della fosforescenza nei sali di uranio, quindi lasciò la cura della bambina al nonno paterno e tornò a tuffarsi nel suo lavoro.
Effettuò l’analisi utilizzando l’elettrometro, strumento messo a punto da Pierre, capace di misurare le correnti elettriche deboli e grazie al quale arrivò alla conclusione che a emettere radiazioni fosse una proprietà atomica dell’elemento uranio – la radioattività – immutabile chimicamente. Questa ipotesi portò alla deduzione che l’atomo non potesse essere indivisibile, smontando così d’un colpo secoli di convinzioni.
La pechblenda
Grazie a queste misurazioni i Curie scoprirono che anche i composti dell’uranio erano radioattivi. Si concentrarono in particolar modo sulla pechblenda, un minerale noto da tempo ai minatori tedeschi, più radioattivo di quanto ci si sarebbe aspettato in base alle quantità di uranio e torio in esso contenute. Questo indicava chiaramente la presenza di un altro componente radioattivo ancora sconosciuto.
Analizzarono così tonnellate di pechblenda, riuscendo, nel luglio del 1898, a isolare un nuovo elemento trecento volte più radioattivo dell’uranio a cui venne dato il nome di polonio. A dicembre dello stesso anno venne annunciata la scoperta di una sostanza novecento volte più radioattiva dell’uranio: avevano scoperto il radio!
Dopo quattro anni di lavoro massacrante, Marie arrivò finalmente a definire e a presentare il peso atomico del radio (226). Nel 1903 queste scoperte divennero la tesi di dottorato di Marie, che fu la prima donna a ottenere questo titolo di studio.
Il Nobel, la sperimentazione medica e l’assenza di brevetto
La ricerca sui fenomeni radioattivi porterà, sempre nel 1903, all’assegnazione del Nobel condiviso con Becquerel. La notorietà dei coniugi Curie era alle stelle e ciò era in contrasto con la loro visione dello scienziato eremita concentrato solo sul proprio lavoro. Nello stesso periodo Pierre, che come la moglie girava con le provette di uranio in tasca, cominciò a intuirne gli effetti in campo medico ma non li ricollegò ai forti dolori alle ossa di cui aveva iniziato a soffrire.
Sempre in questo periodo partirono anche alcune sperimentazioni, che portarono a scoprire che il radio era in grado di distruggere il cancro alla pelle: dopo il trattamento, la pelle che ricresceva era sana. Per favorire il progresso scientifico, Marie decise di non depositare il brevetto dell’isolamento del radio.
Curiosità
Gli appunti di Marie Curie sono tuttora ritenuti pericolosi per la quantità di radiazioni che hanno assorbito e sono conservati in contenitori di piombo. Chiunque voglia consultarli è tenuto a indossare guanti e indumenti protettivi.
Addio a Pierre
Il 19 aprile del 1906 avvenne quello che la mia mente di bambina faticava a capire.
Pierre era a Parigi, pioveva e, mentre attraversava rue Dauphine per raggiungere l’Accademia, venne travolto da un carro e morì.
Per anni mi sono domandata come si facesse a morire sotto a un carro (tutta la mia famiglia sa che ho vissuto il lutto di Marie come se fosse stato mio) e anche ora che sono adulta, e le dinamiche mi sono più chiare, non me ne sono del tutto capacitata.
In ogni caso Marie si ritrovò vedova con due bimbe: Irène di nove anni e la piccola Ève di due. La scienziata decise di affidare le figlie al suocero, mantenendo solo la gestione dei loro studi. Accettò la cattedra alla Sorbona, che era stata del marito, e nella sua prima lezione riprese esattamente dal punto in cui egli si era interrotto.
Il secondo Nobel e le difficoltà di una donna sola
Il 1911 fu un anno difficile per Marie. In Europa soffiavano già venti di guerra, la sua origine polacca fu vista con sospetto e le malelingue insinuarono che fosse stata favorita dal prestigio del marito. In questo clima di sospetto, razzista e maschilista, la sua candidatura all’Accadémie venne rifiutata.
Il secondo Nobel, assegnatole quell’anno, fu accompagnato dalla raccomandazione di non presentarsi alla cerimonia di consegna a Stoccolma, a causa dello scandalo scoppiato per la sua relazione con il collega Longevin: fisico e matematico, ex allievo del marito, sposato e padre di quattro figli.
Marie però era una donna forte e indomita e si presentò alla premiazione pronunciando un discorso in cui rivendicò fieramente i propri traguardi, raggiunti con il prezioso contributo del marito Pierre.
Lo scandalo portò Langevin a combattere ben cinque duelli per difendere l’onore di Marie. Lo scienziato li vinse rimediando solo qualche piccola ferita mentre agli sfidanti andò peggio.
La guerra e gli ultimi anni di vita di Marie Curie
Allo scoppio della guerra, da sola, mise al sicuro le intere scorte nazionali di radio; poi, assieme alla figlia Irène (che nel frattempo aveva intrapreso lo studio della chimica) predispose venti camion per farli diventare le prime unità mobili di soccorso radiografico. Tenne inoltre personalmente dei corsi per insegnare a leggere correttamente le radiografie, cambiando radicalmente le procedure di cura e amputazione nei feriti di guerra.
Nel dopoguerra, a riabilitare il nome della Curie ci pensò la giornalista americana Missy Maloney, che organizzò per lei un tour negli USA dove venne presentata come “la studiosa che cura il cancro”. In quegli ultimi anni Marie si sentiva spesso stanca: gli effetti delle contaminazioni da radiazioni si fecero sentire, anche se lei sostenne fino alla morte di avere bisogno solo di aria fresca.
In questo periodo, però, cominciò a passare il testimone delle ricerche alla figlia Irène e al genero, Frédéric Joliot, fisico. La coppia proseguì gli studi e scoprirono la radioattività artificiale, ricerca con cui vinsero il Nobel nel 1935; tuttavia Marie Curie non poté assistere a questa ennesima conquista, perché morì nel 1934 a causa dell’anemia aplastica procuratagli dalla prolungata esposizione alle radiazioni.
Vorrei concludere il mio indegno racconto su questa donna straordinaria citando una sua frase, che mai come in questo periodo storico mi sembra adatta:
Niente nella vita va temuto, dev’essere solamente compreso. Ora è tempo di comprendere di più, così possiamo temere di meno.
Consigli di lettura
Rimanendo in tema di eminenti scienziate, leggete l’articolo dedicato a Elisabetha Koopman, astronoma.
Mi chiamo Cristina, sono nata di giovedì e sono un sagittario!
Mi piace chiacchierare, conoscere persone e sono a mio agio anche a una festa in cui non conosco nessuno. Cerco sempre il lato positivo delle cose e il mio motto è “c’è sempre una soluzione”!
Maniaca della programmazione, non posso vivere senza la mia agenda.
Ho studiato linguaggi dei media e da quasi 20 anni mi occupo di comunicazione per una grande azienda di telefonia.
Nel tempo libero mi piaceva leggere, viaggiare, guardare i film, andare a teatro. Ora invece ho due gemelle di 7 anni che, se da una parte assorbono quasi tutte le mie energie, dall’altra mi hanno donato un nuovo e divertente punto di vista.
Per tutti questi motivi vi parlerò di storie e leggende.
Ciao Monica,
Ti ringrazio. Sono contenta di essere riuscita a trasmettere l’entusiasmo che provo quando racconto la storia di questa grande donna. 🙂
Cristina
Bellissimo il tuo articolo, emozionante direi 🙂
Grazie per aver condiviso la storia di questa donna
così forte e tenace.
Molto belle anche le immagini,
ciao Monica 🙂