Pallacorda - dettaglio del Tiepolo

La pallacorda, antesignana del tennis, è stata ritratta in alcune rappresentazioni del mito della morte di Giacinto, non senza motivo

Fra i vari racconti mitologici presenti ne Le metamorfosi di Ovidio, uno dei soggetti maggiormente riprodotti è quello della morte di Giacinto, bellissimo principe spartano amante di Apollo. Secondo la versione ovidiana, la divinità e il giovane erano intenti a praticare il lancio del disco quando Zefiro, invidioso di quel rapporto, deviò con i propri venti la traiettoria dello strumento di gioco che andò a colpire proprio Giacinto, causandone la morte. Apollo decise a quel punto di trasformare il suo amante in un fiore – il giacinto, appunto – per permettere alla bellezza del ragazzo di non morire. Fra le tante rappresentazioni del mito, quella che ci interessa è La morte di Giacinto, custodita al Musée d’art Thomas Henry, Cherbourg-en-Cotentin, il cui autore è tuttora incerto.

Morte di Giacinto pallacorda
La morte di Giacinto (Musée d’art Thomas Henry, Cherbourg-en-Cotentin).

La drammaticità del momento è egregiamente riprodotta dal pittore, senonché un particolare sembra stonare non solo con il racconto di Ovidio, ma anche con l’intero contesto della vicenda: Apollo, infatti, impugna una racchetta da tennis, mentre quella dell’amante appena spirato è ai suoi piedi. In realtà la scelta non è né casuale né fuori luogo; soprattutto, come vedremo, non sarà l’unica immagine che ritrae Giacinto nelle vesti di novello McEnroe. Andiamo con ordine.

Storia della pallacorda

Il quadro risale al Seicento e in quell’epoca si erge, fra gli sport più in voga, la pallacorda, antenato dichiarato del tennis, le cui origini sono antichissime. I prodromi della disciplina sono da riscontrarsi addirittura presso gli antichi Romani: il gioco inizialmente prevedeva che la palla fosse colpita verso il campo avversario semplicemente con la mano. La racchetta sarebbe arrivata solo dopo un secolare processo evolutivo: la prima modifica fu l’aggiunta di un guanto, utile per colpire la palla, al quale successivamente furono applicate delle corde; solamente molto più tardi si inizieranno a impiegare le racchette. Nel Medioevo la pallacorda è uno sport diffuso sia fra il popolo, sia, soprattutto, fra i nobili; non a caso, negli sfarzosi palazzi nobiliari, difficilmente mancava una stanza adibita a campo di gioco.

Non sarebbe però corretto relegare la pallacorda a semplice antenato del tennis. Vero è che ha spianato la strada a quello che nascerà come lawn tennis (letteralmente “tennis da prato”) proprio in contrapposizione al tennis praticato in alcune strade e nei palazzi reali, ma la pallacorda è sopravvissuta al tennis contemporaneo. Il riferimento non è al periodo fascista, durante il quale il tennis tornò ad essere chiamato col suo antico nome di pallacorda per preservare la genuinità della lingua italiana, ma è allo sport – tuttora praticato – del real tennis (in italiano rimasto pallacorda).

Dietro questa nomenclatura, che sottolinea una sorta di purezza e di originalità rispetto al fratello più noto e più praticato, si cela un gioco che ha – quasi – le stesse regole della pallacorda antica. Come si evince dal video qui sotto, ci troviamo di fronte a un ibrido fra il paddle e il tennis con le racchette di legno.

I riferimenti artistici nelle opere del Cinquecento

Dopo questa premessa storica, quindi, non bisogna affatto meravigliarsi se già nelle opere del Cinquecento troviamo riferimenti artistici alla pallacorda. In questa prospettiva si incastra perfettamente il lavoro del poeta e letterato Giovanni Andrea dell’Anguillara che nel 1561, nella propria versione de Le metamorfosi, sarà il primo a far imbracciare ad Apollo e Giacinto racchette da pallacorda, rendendo la palla da gioco l’arma del delitto. Circostanza questa che potrebbe sembrare esagerata solamente se si pensa alle attuali palline da tennis, dolorose, ma non letali, quando centrano l’avversario. Nella pallacorda antica, invece, la pesante sfera di cuoio ha mietuto più di una vittima; quindi era circostanza più che verosimile la morte accidentale di un partecipante.

Pallacorda oggi pt.1: la cosa peggiore che può accadere con le attuali palline da tennis

La morte di Giacinto, di Giambattista Tiepolo

Non a caso fu proprio questo il motivo per il quale il conte Wilhelm di Schaumburg-Lippe commissionò a Giambattista Tiepolo il quadro La morte di Giacinto (1752-1753). Il nobile, con tale opera, voleva ricordare l’amante da poco scomparso, un musicista spagnolo con cui conviveva. La morte di quest’ultimo sembra fosse stata causata proprio da un incidente di gioco, in maniera analoga a quella del Giacinto narrato dal dell’Anguillara. In questo caso, quindi, la pallacorda non è solamente un elemento per legare il passato mitologico con il presente, ma è elemento necessario per rendere un giusto tributo all’amante.

Morte di Giacinto Tiepolo
La morte di Giacinto, Giambattista Tiepolo

La morte di Giacinto, Palazzo Taffini (Savigliano)

Un altro esempio che testimonia la ricorrenza di questa variazione al mito originale lo troviamo presso Palazzo Taffini d’Acceglio, a Savigliano: nella Sala degli dèi troviamo un affresco che ritrae proprio il mito di Apollo e Giacinto, rivisitato in versione proto-tennistica.

Morte di Giacinto Palazzo Taffini
La morte di Giacinto, Palazzo Taffini (Savigliano)

Il quadro esposto al Musée d’art Thomas Henry, però, potrebbe avere dietro una storia ancora più interessante. Come detto, non è possibile risalire all’identità precisa dell’autore; i nomi più accreditati sono quelli di: Francesco Boneri, allievo del Caravaggio, nonché modello del suo celebre dipinto Amor vincit omnia; Jean Ducamps, Simon Vouet o Valentin de Boulogne. Quello che senz’altro emerge, però, è l’influenza proprio del Merisi sul dipinto; non sono pochi i critici che ritengono che l’opera faccia riferimento a un episodio fondamentale della vita del Caravaggio, ossia l’assassinio di Ranuccio Tomassoni.

Caravaggio e l’assassinio di Ranuccio Tomassoni

Il delitto infatti – piuttosto noto – fu commesso proprio durante una partita di pallacorda a Roma (non a caso, in via della Pallacorda). E non solo il quadro, ma anche la vicenda stessa dell’omicidio è contornata da parecchi misteri. Ancora oggi è dibattuta la causa dell’astio fra i due contendenti: qualcuno ritiene fosse dovuto a un debito di dieci scudi che intercorreva fra i due, mentre altri sostengono che dietro il litigio ci fosse una bega amorosa che coinvolgeva Fillide Melandroni (prostituta protetta da Ranuccio) o Lavinia Giugoli (moglie del medesimo).

Inoltre, secondo le versioni più accreditate, appare pacifico che fu Caravaggio ad aggredire con la propria arma Ranuccio, mentre secondo una testimonianza – all’epoca non considerata – Caravaggio reagì per legittima difesa a un’aggressione del rivale. In entrambi i casi, sembra che Caravaggio non avesse intenzione di uccidere l’avversario, ma che volesse soltanto schernirlo e colpirlo nella zona inguinale (roba da niente, insomma); sarebbe stato quindi un errore a causare la recisione di un’arteria, causa della morte del Tomassoni. Questo elemento soggettivo, se avvalorassimo la tesi che vuole Caravaggio sotto le mentite spoglie di Apollo ne La morte di Giacinto, spiegherebbe l’espressione di dispiacere e rimorso che la divinità sembra mostrare, sentimenti non così evidenti in altre varianti del quadro, ma elementi centrali in quest’opera così dibattuta.

Insomma, rispetto ai litigi del Caravaggio e agli incidenti di Giacinto, i battibecchi del tennis contemporaneo (da McEnroe a Fognini) appaiono dei piacevoli siparietti!

Scritto da:

Lorenzo Picardi

Avvocato e pubblicista, non giudicatemi male. Per deformazione professionale seguo qualunque fatto d'attualità. Non sono malato di sport, mi limito a scandire i periodi dell'anno in base agli eventi sportivi. Ogni tanto provo a fare il nerd, con risultati alterni.
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