Lo scorso lunedì, nel giorno in cui si sarebbe dovuto insediare il nuovo Parlamento eletto a novembre 2020 – in concomitanza con le elezioni americane -, l’esercito ha preso il potere in Myanmar con un colpo di stato, arrestando il Consigliere di Stato Aung San Suu Kyi e i parlamentari della Lega Nazionale per la Democrazia, e proclamato lo stato di emergenza per un anno.
Centinaia di parlamentari sono stati tenuti rinchiusi per quasi due giorni in un complesso governativo della capitale Naypyitaw, mentre il Premio Nobel e leader di fatto del Myanmar Aung San Suu Kyi – che ha già trascorso 15 anni agli arresti domiciliari per il suo impegno politico per la democrazia -, asseritamente accusata di aver violato la legge per possesso di walkie-talkie importati illegalmente, è stata portata in un luogo diverso, ancora sconosciuto, e la sua detenzione è stata prolungata fino al 15 febbraio.
A guidare il golpe è stato il capo delle forze armate, generale Min Aung Hlaing, che ha poi assunto il ruolo di capo del governo, mentre l’ex generale Myint Swe, vicepresidente dal 2016, è stato nominato presidente ad interim.
Colpo di Stato in Myanmar: non un evento estemporaneo
Stando a quanto riportato dal New York Times, il colpo di stato in Myanmar non sarebbe un evento estemporaneo: già nel 2017, infatti, si parlava del piano del generale Min Aung Hlaing di diventare presidente dopo le elezioni del 2020, in vista della scadenza del suo mandato a capo delle forze armate nel 2021.
Il generale Min Aung Hlaing, nominando 11 ufficiali dell’esercito alla guida dei vari ministeri, ha affermato che la giunta militare “garantirà un autentico sistema democratico multipartitico, basato sulla disciplina“, e ha paventato la possibilità di indire nuove elezioni, senza ben specificare quando.
I militari hanno giustificato il colpo di stato richiamando gli articoli 417 e 418 della Costituzione, in base ai quali se si verifica una situazione che rischia di “disintegrare l’Unione o disintegrare la solidarietà nazionale o causare la perdita di sovranità” – che nel caso di specie sarebbe determinata dalla pandemia e dai presunti brogli elettorali del 2020 -, il Presidente deve proclamare lo stato d’emergenza, che trasferisce i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario al comandante in capo dei servizi di difesa per consentirgli di attuare le misure necessarie al ripristino dello status quo ante.
Nonostante lo scioglimento della giunta militare nel 2011, in Myanmar l’esercito ha continuato ad avere un ruolo centrale nella politica del Paese.
La stessa Costituzione del Myanmar, scritta dai militari, infatti, riserva il controllo di alcuni importanti ministeri (tra cui Sicurezza, Difesa e Affari interni, con la conseguente gestione di polizia, servizi di intelligence e frontiere) e il 25% dei seggi del Parlamento a membri non eletti, scelti dal Comandante in capo delle forze armate, oltre a un effettivo potere di veto sulle riforme, prevedendo che una riforma costituzionale deve essere votata da oltre il 75% dei deputati.
Nel marzo del 2020, la Lega Nazionale per la Democrazia aveva proposto alcuni emendamenti alla Costituzione con l’obiettivo di ridimensionare il potere dell’esercito: ridurre i seggi parlamentari a loro riservati, abbassare la maggioranza qualificata necessaria per le riforme costituzionali a due terzi e vincolare la nomina del Comandante in capo delle forze armate al sostegno di una maggioranza civile. Tuttavia, i militari hanno utilizzato il loro potere di veto.
Dopo il colpo di stato, il ministero della Comunicazione ha diffuso un comunicato nel quale si affermava che la stabilità del Paese è minacciata dalla disinformazione e dalle fake news diffuse tramite social network.
Per tale ragione, da lunedì le linee telefoniche nella capitale Naypyitaw e nella città di Yangon sono state interrotte, le trasmissioni della televisione di stato sospese ed è stato limitato l’accesso a Facebook, Instagram e WhatsApp nel tentativo di contenere il dissenso nei confronti del nuovo regime, utilizzati per organizzare proteste e azioni di disobbedienza civile.
Il 2 febbraio, in segno di protesta contro il golpe e per il rilascio di Aung San Suu Kyi, centinaia di persone, costrette al coprifuoco dai militari, alle ore 20:00 hanno iniziato a fare rumore battendo le pentole con cucchiai di legno sui balconi, come tamburi improvvisati, un gesto ritenuto simbolico perché battere i tamburi nella cultura birmana serve a scacciare i demoni e moltissimi medici che lavorano negli ospedali di tutto il Myanmar si sono impegnati a scioperare da mercoledì, unendosi al “movimento di disobbedienza civile“, dichiarando che non lavoreranno sotto un governo a guida militare.
Avvocato e redattrice, nonché co-fondatrice di Inchiostro Virtuale.
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