Ottava parte della rubrica “Storia della Medicina del Vecchio Mondo”, dedicata alla Medicina monastica.
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La Medicina monastica
“Umana cosa è avere compassione degli afflitti.”
[Decameron]
Possiamo affermare fin da subito che la Storia della Medicina in Occidente è legata alla Storia del Cristianesimo Cattolico, nel bene e nel male. Ma per poter spiegare la pratica medica nell’Alto Medioevo bisogna giocoforza aprire una parentesi storica.
Il lento tramonto dell’Impero Romano si svolse nel contesto di una serie di migrazioni di massa – chiamate semplicisticamente invasioni barbariche – da parte di popoli nuovi che vivevano oltre le frontiere del mondo Romano. A partire dalla deposizione di Romolo-Augustolo nel 476 d.C. le sacche di potere si condensarono nei regni Romano-Barbarici (o Romano-Germanici).
Durante la transizione furono tanti i segni della decadenza inesorabile del mondo antico. Venne meno la manutenzione della bonifica delle paludi, e questo vuol dire sciami di zanzare; e le zanzare vogliono dire la malaria, una delle tante malattie che affliggevano i popoli a quel tempo. I saccheggi e le carestie completarono il lavoro delle epidemie, ci fu un netto calo demografico, che non si limitò alla penisola, ma coinvolse il resto dell’Europa. Calo demografico vuol dire abbandono di una parte dei centri abitati, ma anche abbandono dei campi; dobbiamo fare lo sforzo – noi, abituati a un mondo urbanizzato – di immaginarci campagna, e ancora campagna, boschi e autentici muri di rovo.
C’era stata anche una regressione culturale, evidentemente. Lo capiamo dal fatto che nel V, VI e VII secolo d.C. si è scritto pochissimo; e la qualità degli scritti è, di solito, inferiore a quella del periodo precedente, gli autori peccavano molto sul ragionamento e la logica.
Vi chiederete che cosa c’entri tutto questo col Cristianesimo.
Ecco, va detto che questi re Germanici erano cristiani, e gli esponenti del mondo Cristiano furono quel cuscinetto che sopperì alla debolezza e all’incapacità delle Istituzioni di quel tempo, diventando una certezza per le persone e iniziando a mettere radici nel mondo secolare.
“Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret. Appena scesi dalla barca, la gente lo riconobbe, e accorrendo da tutta quella regione cominciarono a portargli sui lettucci quelli che stavano male, dovunque udivano che si trovasse. E dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano.” [Vangelo secondo Marco]
Il successo del Cristianesimo sta nella figura di Gesù di Nazareth, così come presentata nel Nuovo Testamento, il quale è assai poco propenso a ingraziarsi i ricchi e i superbi, protendendosi verso gli ultimi e gli oppressi.
Ne deriva che raccogliere il testimone di Gesù voleva dire dedicarsi ai poveri e ai malati, due concetti inscindibili per il pensiero Cristiano; praticare la Medicina significava amare il prossimo.
Ma praticare la scienza medica richiedeva due sforzi essenziali: il primo, riorganizzare la professione medica; il secondo, cercare di recuperare il patrimonio culturale classico. Tra le figure più rilevanti in questo senso ricordiamo quella di Cassiodoro (485-580 d.C. Circa), il quale fece carriera sotto il re degli Ostrogoti Teodorico. A un certo punto della sua vita, Cassiodoro decise di ritirarsi in campagna, con certi suoi compagni studiosi, dedicandosi tutti insieme alla copiatura di antichi testi e pare alla coltivazione dei “semplici”, cioè le erbe medicamentose.
La nascita del monachesimo
Questo bisogno di ritirarsi, di staccarsi dalle altre persone e dalle cose mondane compare precocemente nel Cristianesimo. Ci sono dei religiosi che inizialmente decidono di fare questa cosa da soli: monaco significa “colui che sta da solo”; ma siccome bastare a se stessi è molto difficile, nascono delle comunità di monaci, e il luogo in cui decidono di stabilirsi prende il nome di monastero.
Ora, una figura cruciale del monachesimo fu Benedetto da Norcia (480-547 d.C.), il quale, prima che si cominciasse a baciare le sue ossa, decise di disciplinare la vita dei monaci con la sua Regola (“Ora et labora”).
Nella Regola Benedetto esprime chiaramente il dovere da parte dei monaci di preoccuparsi degli infermi.
“La cura degli infermi sia avanti tutto e sopra tutto, affinché, come veramente a Cristo, così ad essi si serva. Sia dunque massima cura dell’abate affinché con gli infermi non sia usata negligenza. Ai fratelli infermi sia assegnata una cella particolare nonché un servitore timorato di Dio, diligente e sollecito. Sia loro apprestato il bagno ogni volta che si presenti l’occasione…”
[Benedetto da Norcia]
Il Concilio di Aquisgrana e la nascita degli ospedali monastici
Il sodalizio tra pratica religiosa e pratica medica si consolidò con il Concilio di Aquisgrana del 799 d.C., nel quale si ordinava che ogni convento si dotasse di un “ospizio” o “ospitale” per il ricovero o l’assistenza dei malati, vecchi e indigenti (che spesso erano la stessa cosa).
Com’era fatto un ospedale monastico? Una grande stanza ospitava i malati sui loro giacigli, questi disposti in maniera tale da poter assistere alla Funzione che si svolgeva nella cappella dell’ospedale. Dunque la preghiera era importante; ma alcuni monaci erano specializzati nella preparazione di unguenti, impiastri, decotti, a partire dalle erbe medicinali.
Gli amanuensi copiavano i testi, tramandando il Sapere ai posteri; ma il rovescio della medaglia fu che automaticamente i monaci non copiavano le parti che contrastavano con la propria esperienza e la loro educazione.
La figura del monacus infirmarius, praticamente il medico del monastero, a un certo punto dovette cominciare a esercitare un’attività extra moenia: non c’era abbastanza spazio per tutti i bisognosi, per curarli bisognava uscire dal monastero, un grande paradosso per chi invece aveva rinunciato ai contatti col mondo esterno.
Questa contraddizione non sfuggì ai religiosi dell’epoca, e iniziarono discussioni animate – il linguaggio dei religiosi nel Medioevo era molto diverso da quello attuale – tanto che ai tempi di Bernardo da Chiaravalle (1090-1153 d.C.) si arrivò a proibire ai monaci di avventurarsi fuori dai monasteri per assistere i laici. Però non tutti erano d’accordo con la concezione claustrale della vita monastica.
Ildegarda di Bingen e il suo contributo alla Medicina monastica
Bernardo da Chiaravalle intrattenne una corrispondenza epistolare con una donna, una badessa tedesca; Ildegarda di Bingen (1098-1179 d.C.). Ildegarda è stata una monaca benedettina, dotata di una cultura straordinaria in molti campi: nelle lettere, nella filosofia e nella musica; tuttavia, a renderla interessante sono le sue riflessioni in campo medico, raccolte nei suoi scritti, le quali lei affermava venissero direttamente da Dio. Ildegarda era infatti una profetessa: aveva delle visioni, Dio le mostrava delle cose e le parlava.
“Vidi una grande stella, quant’altre mai splendente e meravigliosa, e con essa una straordinaria moltitudine di stelle cadenti che con la stella proseguivano verso sud… E d’improvviso furono tutte annientate, trasformate in neri carboni… e scagliate nell’abisso, cosicché non le vidi più.”
[Hildegard von Bingen]
Ildegarda ci ha lasciato abbastanza materiale scritto sulle sue visioni da farci credere che fossero le manifestazioni di un’aura emicranica. Le sue intuizioni mediche le erano inviate, secondo il suo pensiero, per soccorrere i pauperes Christi – letteralmente, i poveri Cristi – la figura di Gesù si adattava molto bene agli umili e alla loro sofferenza.
L’approccio di Ildegarda alla Medicina
La badessa di Bingen ci ha lasciato diversi testi in latino: parlano di Medicina in senso stretto il “Physica” e il “Causae et curae”. Si nota un approccio “cosmico” alla Medicina: l’essere umano si trova al centro del cosmo, una ruota gigantesca che simboleggia l’amore divino; e l’uomo è sottoposto agli influssi cosmici e atmosferici. Gli umori e i temperamenti di uomini e donne sono in connessione con i quattro elementi acqua, terra, aria e fuoco.
Ildegarda fa una suddivisione ordinata tra le malattie dei cinque sensi e propone delle terapie ad hoc. Gli occhi le interessavano molto. Scrisse che esistono cinque tipi di occhi in base al colore, ai quali corrispondevano una certa indole e una suscettibilità a specifici disturbi. Per fare un esempio, gli occhi neri erano collegati con la terra e riteneva che venissero danneggiati dall’umidità, esattamente come la terra viene guastata dalle paludi. Aveva la sua idea su come proteggere gli occhi neri:
“Prendi il succo di erba ruta, e un quantitativo doppio di miele, mescolali con un po’ di buon vino puro, poi mettici dentro un pezzo di pane di frumento e lega questa compressa sugli occhi durante la notte” (Causae et curae).
Scrisse le sue teorie sugli argomenti più disparati. Interessante è la sua spiegazione dello starnuto.
“Se il sangue umano non scorre più svelto e rapido nelle vene, ma è come addormentato e se gli umori scorrono lenti, l’anima lo nota e allora scuote tutto il corpo con lo starnuto.”
Per cui starnutire era importante per purificarsi e per non marcire internamente.
Non dimentichiamo che questa donna è stata una monaca Cristiana, per cui lo squilibrio degli umori è nato col peccato originale, e per guarire bisogna adottare la moderazione e acquisire le virtù Cristiane.
Bisogna curare l’anima per prevenire le malattie. Nella sua opera, Ildegarda enumera ben 35 fattori di rischio che provocano disturbi: per esempio, la collera logora i nervi, la disperazione è alla radice della lussuria, il pessimismo è provocato dalla cupidigia.
Hildegard von Bingen è considerata una santa nel mondo Cristiano, e la prossima volta riprenderemo le fila del discorso parlando proprio del… potere curativo dei santi.
Nell’episodio 9 parleremo di come, in epoca medievale, il sacro venisse collegato allo stato di salute.
FontiGiacomo Tasca – Storia della Medicina: dalla Preistoria alla fine dell’Ottocento |
Nella vita di tutti i giorni sono una SEO Copywriter, ma qui su Inchiostro Virtuale mi dedico a qualcosa che amo molto: la storia.
Ogni soggetto può essere raccontato, se hai la pazienza di conoscerlo a fondo.