Sesto appuntamento con la rubrica “Bellezza e cosmesi nella storia”, dedicato al Rinascimento. Se la morale medievale considerava il corpo femminile fonte di peccato, durante questo periodo si afferma un particolare interesse per la bellezza esteriore, nuovo oggetto di riflessioni, teorie e trattati.
La bellezza nel Rinascimento
Il Rinascimento fu una rivoluzione culturale che nel 1400, da Firenze, si diffuse in tutta Italia e nel resto d’Europa. Il suo cuore pulsante era la filosofia dell’Umanesimo, che cercava di far risorgere ed emulare la letteratura e l’arte degli antichi Greci e Romani; infatti gli artisti, che in precedenza realizzavano solo l’iconografia religiosa, col Rinascimento iniziarono a riprodurre dipinti classici e copiare le statue antiche che erano state riscoperte di recente.
Durante il Medioevo, il corpo della donna era sempre nascosto, in quanto considerato fonte di peccato che avrebbe impedito all’uomo di ottenere la salvezza eterna, e per questo era diffuso lo stereotipo della donna acqua e sapone, dal fisico adolescenziale, sottile, con i fianchi stretti e il seno piccolo.
Con la riscoperta delle opere classiche, si tornò al modello di bellezza delle Veneri greche, dalle forme rotondeggianti, fianchi larghi, ventre pronunciato, seno abbondante e incarnato pallido. La percezione della bellezza degli artisti rinascimentali fu quindi influenzata dall’ambiente filosofico, dall’esperienza visiva, dalle esigenze dei committenti e dai tentativi di migliorare il proprio status professionale nella società, ponendosi alla pari con quello dei poeti e degli architetti.
I canoni estetici rinascimentali
L’immagine di Venere ritratta da Botticelli rappresenta appieno l’idealizzazione della bellezza nella Firenze del Rinascimento, ma anche Agnolo Fiorenzuola, monaco di Vallombrosa, nel suo trattato “Sopra la bellezza della donna” la descrive in modo molto chiaro:
“La donna, per essere definita bella, deve avere: capelli folti, lunghi e di un biondo caldo che si avvicini al bruno; la pelle deve essere lucente e chiara, gli occhi scuri, grandi ed espressivi, con un tocco di azzurro nel bianco della cornea; il naso non aquilino; bocca piccola, ma carnosa; mento rotondo con la fossetta; collo tornito e piuttosto lungo; spalle larghe, petto turgido dalle linee delicate; mani grandi, grassocce e morbide; gambe lunghe e piedi piccoli”.
Non è chiaro come questo monaco abbia potuto conciliare queste sue conoscenze così dettagliate con il suo stato di religioso, ma resta il fatto che egli aveva idee molto chiare su questo argomento.
Purtroppo non tutte le donne potevano vantare i requisiti indicati: i capelli biondi, in Italia, erano quasi sempre una rarità e la pelle quasi mai liscia e “lucente” per colpa di un’alimentazione difettosa e della scarsa pulizia.
I segreti di bellezza nel Rinascimento
Al nuovo ideale cinquecentesco, che proponeva una donna in carne e formosa, corrispose la diffusione di nuove abitudini alimentari, ricche di grassi e di zuccheri, come si deduce dai libri di cucina del tempo.
Si passò quindi a un ideale di donna grassoccia, con i fianchi larghi ed il seno procace, che si distingueva nettamente dalle emaciate e denutrite donne delle classi subalterne. La sporcizia, invece, dilagava ovunque in quell’epoca e non risparmiava né le classi più povere, né quelle più elevate.
Nel ‘400, dunque, non mancavano le ricette per necessari restauri miracolosi, come quelle dettate dai consigli di Caterina Sforza Riario:
- per imbiondire i capelli, li si lavava con acqua di cenere oppure con acqua di cinapro, zolfo e zafferano bollito;
- invece, per ammorbidire la pelle del viso ruvida e arrossata, si faceva una miscela con biacca di piombo, olio di viola, e lo si applicava sul volto;
- infine, per rendere il viso bello e sensuale, ci si lavava la faccia con un distillato derivato dal miscuglio di bicarbonato di piombo, bicarbonato di potassio e argento in polvere, fatto cuocere dentro il ventre di un piccione di razza pisana bollito.
La cura dei capelli nel Rinascimento
All’epoca del Magnifico, le nobildonne si rasavano la fronte per ampliarne le dimensioni: infatti la fronte alta era sinonimo di intelligenza. Lo strumento di depilazione era la fiamma di una candela, il procedimento lungo e non propriamente piacevole. I capelli retrostanti venivano poi raccolti in complesse acconciature «a sella», impreziosite da nastri e perle.
Spesso la decolorazione dei capelli portava a una calvizie inarrestabile, che le donne nascondevano mostrandosi unicamente al buio e illuminate solo da una torcia, così come i mercanti mostravano la loro merce nei luoghi poco sicuri.
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Mi chiamo Alessandra Leo, sono laureata in Scienze della Comunicazione e pubblicista.
Adoro il mondo beauty, in particolare il make-up e la skincare, ma un’altra mia passione è l’esoterismo e tutto ciò che riguarda streghe e magia.