Disforia di genere - nascere uomo o donna e sentirsi del genere opposto

La disforia di genere è la sensazione di angoscia che si manifesta, fin dalla più tenera età, quando la propria identità di genere – cioè il percepirsi come uomo, donna o altro – non corrisponde al sesso biologico alla nascita.

Nell’articolo vedremo come viene diagnosticata e gestita, le possibili cause e la diffusione tra i giovani e gli adulti. Prima di scendere nei dettagli, però, ci sembra doveroso introdurre alcuni concetti di base per capire appieno la questione. Approfondiamoli nel box!

Sesso biologico

È il sesso alla nascita ed è deciso da genitali, cromosomi e ormoni sessuali (estrogeni o androgeni). Più precisamente:

  • un “maschio assegnato” è una persona con attributi maschili e cromosomi sessuali XY;
  • viceversa, una “femmina assegnata” è una persona con attributi femminili e una coppia di cromosmi X (XX);
  • gli “intersessuali”, invece, non hanno cromosomi sessuali, genitali e/o altri caratteri sessuali esclusivamente maschili o femminili. Il loro sesso, in parole povere, è una via di mezzo tra maschile e femminile.

Identità di genere

Secondo Stoller (1964), è la percezione di sé come uomo, donna o genere alternativo (genderqueer), che inizia a strutturarsi a 3-4 anni per poi stabilizzarsi verso i 6-7 (SIAMS).

Nella disforia di genere, dunque, può capitare che maschi assegnati si sentano donne, femmine assegnate si sentano uomini, etc.

Ruolo di genere

È come ci percepiscono gli altri – in base a come appariamo e ci comportiamo – ed è legato al contesto sociale e al periodo storico in cui viviamo.

Secondo gli stereotipi della società, ad esempio, le bambine dovrebbero giocare con le bambole perché è “da femmine”, mentre i bambini dovrebbero giocare con i modellini perché è “da maschi”.

Così come l’identità, tuttavia, anche il ruolo può divergere da quello attribuito ai sessi dalla società.

Ora che conosciamo le differenze tra sesso, identità e ruolo di genere, ci sono tutti gli elementi per proseguire. Seguiteci!

Disforia di genere: i criteri secondo il DSM-5

Nonostante sia inclusa nel DSM – Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentalila disforia di genere non è una malattia mentale. Dopo le esortazioni della World Professional Association for Transgender Health (WPATH), infatti, nel 2013 l’espressione “disforia di genere” ha sostituito quella di “disturbo dell’identità di genere” ed è stata inserita in una sezione a sé del DSM-5.

Ma su quali elementi si basa la diagnosi? Nella sezione apposita del DSM-5 – che trovate qui – sono elencati i criteri diagnostici per bambini, adolescenti e adulti. Vediamoli separatamente!

I criteri diagnostici in adulti e adolescenti

Il DSM-5 prevede due criteri principali: A (incongruenza tra sesso e genere) e B (sofferenza associata all’incongruenza). Vediamoli!

Criterio A

Incongruenza tra identità di genere e sesso biologico che dura da almeno 6 mesi e si manifesta con almeno due dei seguenti criteri:

  1. incongruenza tra identità di genere e caratteri sessuali primari e/o secondari;
  2. volontà di liberarsi dei caratteri sessuali primari e/o secondari;
  3. brama per i caratteri sessuali primari e/o secondari del genere opposto;
  4. desiderio di essere trattato come membro del genere opposto o di uno alternativo;
  5. convinzione di avere le reazioni e i sentimenti tipici del genere opposto o di uno alternativo.
Criterio B

Sofferenza clinicamente significativa, che può compromettere le relazioni e le attività quotidiane.

I criteri diagnostici nei bambini

Per quanto riguarda i più piccoli, invece, il discorso si complica. Oltre ai criteri A e B visti in precedenza, infatti, dovrebbero essere presenti almeno sei tra i seguenti criteri, di cui uno dev’essere necessariamente il primo:

  1. incongruenza tra identità di genere e caratteri sessuali;
  2. voler indossare i vestiti del genere opposto;
  3. preferire i ruoli stereotipicamente attribuiti al genere opposto, quando si gioca “a fare finta di”;
  4. prediligere giochi stereotipicamente associati al genere opposto;
  5. forte rifiuto per giochi stereotipicamente associati al genere assegnato;
  6. preferire la compagnia degli amici di genere opposto;
  7. avversione marcata verso la propria anatomia sessuale;
  8. desiderare fortemente le caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie del genere opposto.

A tal riguardo, è noto il caso della figlia naturale di Angelina Jolie e Brad Pitt, all’anagrafe Shiloh Jolie-Pitt.

Il caso di Shiloh Jolie-Pitt

Classe 2006, Shiloh si sente un ragazzo, come ha affermato la stessa Jolie in un’intervista del 2010:

Mia figlia si sente un ragazzo. Per questo le abbiamo tagliato i capelli. Ama vestirsi da uomo, vuole essere come i suoi fratelli.

E ancora, il padre:

Finora l’avevo sempre chiamata “Shi”, ma lei continuava a interrompermi e a chiedermi di chiamarla John.

Disforia di Genere - A sinistra John, all'anagrafe Shiloh Nouvel, Jolie-Pitt insieme alla madre Angelina e alla sorella.
Da sinistra: John Jolie-Pitt, all’anagrafe Shiloh Nouvel, insieme alla madre Angelina e alla sorella Zahara.

Ma come mai alcune persone non si sentono a proprio agio col sesso biologico? È possibile stimare il problema? La risposta a questi, e altri interrogativi, nel prossimo paragrafo!

Cause e diffusione del fenomeno

Diciamo subito che le conoscenze al tal proposito sono molto limitate. Ad oggi, infatti, non si conoscono le cause né la prevalenza del fenomeno, ma si possono fare solo ipotesi e stime approssimative in base ai dati raccolti dai pochi studi a disposizione.

Disforia di genere: le cause ipotetiche

Secondo l’ipotesi più accreditata, i soggetti esposti a livelli alterati di testosterone – prima e dopo la nascita – avrebbero maggiori probabilità di sviluppare la D.d.G, come suggerisce uno studio sulle femmine di ratto.

Le evidenze sugli umani, tuttavia, sono troppo limitate per confermare questa ipotesi e non derivano da persone sane, ma da quelle esposte a livelli ormonali alterati per via di malattie congenite.

Diffusione della disforia di genere tra gli adulti

Nonostante siano stati condotti diversi studi epidemiologici, la diffusione della D.d.G. è difficile da stimare per via delle differenze culturali presenti tra i vari Paesi. Gli studi tendono a sottostimarla, perché considerano solamente le persone che si rivolgono ai centri e alle strutture specializzati nella gestione della D.d.G.: i transessuali (WPATH).

Nella realtà dei fatti, quindi, le persone coinvolte sono molte di più, ma non tutte intraprendono un percorso di transizione fisico – da maschio a femmina (MtF) o viceversa (FtM) – e ad esse si fa riferimento col termine transgender.

Ma chi sono i transgender?

Sono persone che rifiutano gli stereotipi – imposti dalla società – riguardanti il sesso e il genere, ovvero:

  • transessuali MtF e FtM;
  • intersessuali;
  • chiunque s’identifichi al di fuori del binarismo d’identità e ruolo di genere.

A tal proposito citiamo l’esperienza di Ruby Rose, star della serie televisiva “Orange is the new black“, che in un’intervista per Cosmopolitan ha dichiarato:

Per un sacco di tempo avrei voluto essere un ragazzo. Non sapevo che la neutralità e la fluidità di genere fossero una possibilità esistente. Mi vesto da ragazzo anche se sono una donna, senza problemi. E adesso sono davvero a mio agio nella mia pelle e affronto tutti con coraggio.

Disforia di genere - La foto ritrae Ruby Rose, modella, attrice e disk jockey australiana.
Ruby Rose, nata a Melbourne il 20 marzo 1986, è una modella, dj e attrice australiana. Diventata celebre con la serie Orange is the new black, l’attrice si dichiara gender fluid.
Ma ora vediamo un po’ di numeri!

Nel sito ufficiale della SIAMS, che trovate qui, si stima una prevalenza della D.d.G. pari a:

  • 1:11.000 – 1:45.000 per le MtF;
  • 1:30.400 – 1:200.000 per gli FtM.

Questi dati si riferiscono alla popolazione adulta. Ma qual è la diffusione tra i più giovani?

Diffusione nell’infanzia e nell’adolescenza

Nei giovani la situazione è differente da quella degli adulti a causa del processo di sviluppo fisico, psicologico e sessuale, più rapido e marcato. Ed è diverso persino tra bambini e adolescenti, come ci apprestiamo a descrivere.

Differenze in base all’età e al sesso assegnato

Una prima differenza riguarda la prevalenza tra i sessi assegnati (WPATH):

  • nei bambini è da 3 a 6 volte più frequente nei maschi assegnati;
  • negli adolescenti non esistono differenze tra i sessi.
Differenze di persistenza in età adulta

Una seconda differenza riguarda la persistenza della D.d.G. in età adulta (WPATH):

  • 6-23% nei maschi assegnati;
  • 12-27% nelle femmine assegnate.

Percentuali più alte tra gli adolescenti, come evidenziato da uno studio nel quale tutti i 70 partecipanti hanno intrapreso il percorso di transizione.

Gestione della disforia di genere

Nonostante la complessità della D.d.G., rivolgersi ai centri e alle strutture specializzati dà ottime probabilità di uscirne vincenti. Nella penisola, infatti, sono presenti centri e strutture pubbliche che prendono in carico gli assistiti dall’inizio alla fine del percorso.

Queste strutture, in cui operano psicologi, endocrinologi e chirurghi, adottano i protocolli dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (ONIG) basati sulle Linee Guida della WPATH – la più importante società scientifica del settore.

Attraverso una combinazione di psicoterapia, farmacoterapia e chirurgia, dunque, gli specialisti mirano a ridurre l’angoscia, tratto distintivo e altamente disfunzionale della disforia di genere. Il trattamento è altamente personalizzato, perché ciò che può andar bene a uno può non andar bene a un altro.

Ci sono persone che hanno bisogno degli ormoni e della chirurgia per stare bene, alcune l’una o l’altra; per altre, invece, è sufficiente cambiare il ruolo di genere, come nel caso succitato di Ruby Rose. Detto ciò, vediamo in maniera più dettagliata le varie terapie!

Psicoterapia

Oltre a supportare gli assistiti e le famiglie durante la transizione, ha l’obiettivo di ridurre lo stress a cui sono cronicamente esposti i transgender e la possibilità di sviluppare malattie psichiatriche, ovvero:

Effettuata prima, durante e dopo la transizione, ne aumenta le probabilità di successo.

Terapia ormonale

L’assunzione di ormoni possiede scopi differenti in base all’età, infatti:

  • nei preadolescenti ritarda la pubertà, che riprenderà il suo corso una volta sospesa l’assunzione;
  • nei maggiorenni, invece, femminilizza o mascolinizza il corpo, producendo cambiamenti non sempre reversibili.

Dopo questa premessa, dunque, vediamo in maggior dettaglio le due tipologie di terapia!

Sospensione della pubertà nei preadolescenti

È necessaria sia per far riflettere più a lungo i piccoli pazienti sulla loro non conformità di genere, sia per interrompere lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, come seno e barba, facilitando la transizione qualora si prosegua il percorso.

Chi è il candidato ideale per il trattamento?

Il preadolescente (12-13 anni) perché che si trova nel periodo in cui iniziano i cambiamenti fisici. Nei più piccoli la terapia ormonale è sconsigliata, perché non esistono dati riguardanti la sicurezza e l’efficacia sotto i 12 anni.

Quali farmaci si usano?

Gli analoghi del GnRH. Questi farmaci sopprimono la produzione di androgeni ed estrogeni e rappresentano la terapia di prima scelta perché sono efficaci e sicuri. Durante la loro assunzione, che può protrarsi per qualche anno, è necessario monitorare i piccoli pazienti per accorgersi di eventuali anomalie della crescita ossea.

Terapia con ormoni sessuali

Gli ormoni sessuali maschili (androgeni) e femminili (estrogeni) producono dei cambiamenti fisici parzialmente reversibili. Affinché si possano assumere, quindi, è necessario superare una visita psicologica che attesta la capacità di prendere decisioni informate.

Terapia femminilizzante

Femminilizza il corpo e prevede l’assunzione di un estrogeno (etinilestradiolo) per via orale o transdermica, combinato con un antiandrogeno (solitamente spironolattone o ciproterone acetato) per via orale, per ridurne gli effetti indesiderati.

Qui di seguito riportiamo gli effetti della terapia.

Effetti degli estrogeni. Credits: WPATH.
  • Ridistribuzione del grasso corporeo. Inizia dopo 3-6 mesi e raggiunge l’apice dopo 2-5 anni.
  • Riduzione di massa e forza muscolari. Iniziano dopo 3-6 mesi e raggiungono l’apice dopo 1-2 anni.
  • Assottigliamento della cute e ridotta secrezione sebacea. Compaiono dopo 3-6 mesi.
  • Riduzione della libido. Si manifesta dopo 1-3 mesi ed è massima dopo 1-2 anni.
  • Disfunzione erettile. Compare dopo 1-3 mesi ed è massima dopo 3-6 mesi.
  • Aumento del seno. Si manifesta dopo 3-6 mesi ed è massimo dopo 2-3 anni.
  • Riduzione del volume testicolare e della produzione di sperma. Primi effetti dopo 3-6 mesi; effetti massimi dopo 2-3 anni.
  • Assottigliamento di barba e peli corporei. Inizia dopo 6-12 mesi ed è massimo dopo 3 anni.
  • Interruzione della perdita dei capelli dopo 1-3 mesi.
Terapia mascolinizzante

Mascolinizzazione il corpo e consiste nella somministrazione di testosterone, per via intramuscolare o transdermica. Assunto per via orale, infatti, l’ormone ha dimostrato un’efficacia inferiore.

Qui di seguito riportiamo gli effetti della terapia.

Effetti degli androgeni. Credits: WPATH.
  • Aumento della secrezione sebacea. Si manifesta dopo 1-6 mesi ed è massimo dopo 1-2 anni.
  • Crescita della barba e dei peli corporei. Tali effetti si manifestano dopo 3-6 mesi e sono massimi dopo 3-5 anni.
  • Perdita dei capelli dopo 1 anno.
  • Aumento di forza e massa muscolari. Si manifesta dopo 6-12 mesi ed è massimo dopo 2-5 anni.
  • Ridistribuzione del grasso corporeo. Inizia dopo 3-6 mesi e raggiunge l’apice dopo 2-5 anni.
  • Interruzione delle mestruazioni dopo 2-6 mesi.
  • Ingrossamento del clitoride e atrofia vaginale. Si manifesta dopo 3-6 mesi e raggiunge l’apice dopo 1-2 anni.
  • Abbassamento della voce. Inizia dopo 3-12 mesi e culmina dopo 1-2 anni.
Ma le terapie con androgeni ed estrogeni sono sicure?

Come tutte le altre terapie, quelle con androgeni o estrogeni, non sono prive di rischi. Qui di seguito riportiamo quelli più probabili.

Rischi associati alle terapie ormonali. Credits: WPATH
Rischi probabilmente aumentati dalla terapia con estrogeni
  • Malattia venosa tromboembolica (soprattutto quando assunta per via orale).
  • Calcoli biliari.
  • Tossicità epatica (con aumento degli enzimi epatici nel sangue).
  • Aumento del peso corporeo.
  • Ipertrigliceridemia.
  • Patologie cardiovascolari (solo se presenti fattori di rischio).
Rischi probabilmente aumentati dalla terapia con androgeni
  • Policitemia.
  • Aumento del peso corporeo.
  • Acne.
  • Calvizie.
  • Apnea nel sonno.

Chirurgia ricostruttiva ed estetica

È l’ultima tappa del percorso, della quale non tutti sentono il bisogno, e determina cambiamenti irreversibili. Perciò è necessario superare una visita psicologica, attestante la capacità di prendere decisioni informate, per potervisi sottoporre.

Ma non solo: il paziente dovrà vivere per almeno un anno nel ruolo congruente all’identità di genere, per essere pienamente consapevole delle sfide e delle difficoltà sociali e individuali cui sarà continuamente sottoposto.

Detto ciò, vediamo le diverse tipologie d’intervento!

Interventi chirurgici MtF

Iniziamo dalle operazioni cui possono sottoporsi i pazienti che transitano dal sesso maschile a quello femminile.

Chirurgia del seno e del torace

Si tratta della mastoplastica additiva, cioè l’aumento del seno, che può avvenire attraverso:

  • l’impianto di protesi;
  • il lipofilling, cioè l’iniezione di grasso prelevato dallo stesso paziente.

È consigliata la terapia con estrogeni nell’anno che precede l’operazione per ottimizzare i risultati estetici.
Tra le possibili complicazioni vi sono infezioni e fibrosi.

Chirurgia genitale

Consiste nell’asportazione di pene e testicoli e nella ricostruzione di vagina, clitoride e labbra.
Tra le possibili complicazioni vi sono:

  • necrosi della neovagina e delle labbra;
  • canali di collegamento (fistole) tra vescica o intestino e neovagina;
  • restringimento (stenosi) dell’uretra;
  • neovagina troppo corta per il coito.
Altri tipi d’intervento

Si tratta d’interventi estetici volti a migliorare l’aspetto dell’assistito e, quindi, l’autostima e il benessere psicologico:

  • femminilizzazione del volto;
  • operazione alle corde vocali;
  • riduzione della cartilagine tiroidea (il pomo d’Adamo);
  • trapianto di capelli.

Interventi chirurgici FtM

Vediamo, infine, gli interventi cui si possono sottoporre i pazienti che transitano dal sesso femminile a quello maschile.

Chirurgia del seno e del torace

Si tratta della mastectomia (l’asportazione del seno e della pelle che lo riveste) e della ricostruzione del torace.
Tra le possibili complicazioni vi sono:

  • necrosi dei capezzoli;
  • irregolarità dei contorni;
  • antiestetiche cicatrici.
Chirurgia genitale

Prevede l’asportazione di utero e ovaie, seguita dalla ricostruzione di pene, testicoli e scroto, il tutto da eseguire in due fasi.
È consigliata la terapia con androgeni nell’anno precedente l’operazione per sospendere le mestruazioni.
Tra le possibili complicazioni vi sono:

  • occasionalmente necrosi del neofallo;
  • fistole e stenosi dell’uretra.
Altri tipi d’intervento

In ultimo, gli assistiti possono sottoporsi a:

  • operazione alle corde vocali (rara);
  • impianto di protesi pettorali;
  • liposuzione e lipofilling.

Per maggiori dettagli sulla riattribuzione chirurgica del sesso, vi rimandiamo al sito ufficiale della SIAMS. Le informazioni riportate hanno uno scopo puramente illustrativo. Per qualsiasi dubbio o curiosità, rivolgetevi al vostro medico o ai centri specializzati.

Bibliografia e sitografia

Per maggiori approfondimenti, vi consigliamo la lettura delle fonti utilizzate.

Scritto da:

Jessica Zanza

Giornalista pubblicista, ex collaboratrice de L'Unione Sarda.
Sono cofondatrice e caporedattrice di Inchiostro Virtuale.
Per contattarmi, inviate una mail a: j.zanza@inchiostrovirtuale.it