A una settimana dal Referendum sulla Giustizia ecco due dati numerici che mostrano candidamente com’è andata:
- un costo di 400 milioni di denaro pubblico per una giornata di referendum*;
- un’affluenza alle urne minore del 20 per cento.
La giornata del 12 giugno si è rivelata un autentico flop e potremmo archiviarla rispolverando l’argomento sempre caldo del senso civico, che sta venendo sempre più a mancare, mentre tra classe politica e comuni cittadini si è ormai creata una voragine.
In realtà, da questo referendum dovrebbe scaturire una riflessione forse ancora più importante.
Ma vogliamo parlartene dopo aver fatto un piccolo riepilogo su questo disastroso referendum.
Di cosa trattava il Referendum sulla Giustizia
Il referendum sulla giustizia è stato concepito come referendum abrogativo: un tipo di consultazione nella quale ai cittadini viene chiesto se vogliono che venga soppressa una legge, oppure il comma di un articolo del codice penale, in questo caso specifico.
Votando “Sì”, la legge o il comma oggetto del quesito vengono abrogati; votando “No” rimane tutto come prima.
Il 12 giugno noi cittadini siamo stati chiamati a decidere su 5 quesiti:
- il 1° quesito riguardava l’abolizione del Decreto Severino sull’incandidabilità;
- il 2° la limitazione delle custodie cautelari;
- il 3° la separazione delle funzioni dei magistrati;
- il 4° la valutazione della professionalità dei magistrati;
- il 5° l’elezione dei membri del CSM (Consiglio Superiore di Magistratura).
Forse già a questo punto hai realizzato che c’è qualcosa di strano, ma andiamo avanti.
1. Il quesito sul Decreto Severino e l’incandidabilità
Il primo quesito era incentrato sull’incandidabilità e il divieto di ricoprire – o mantenere – le cariche elettive dopo una sentenza definitiva di condanna per reati non colposi.
Si doveva votare “Sì” per l’abrogazione della legge. In caso di condanna sarebbe diventata discrezionale l’interdizione dai pubblici uffici, cioè avrebbe dovuto decidere il giudice caso per caso.
Di conseguenza, sarebbe stato possibile per un politico condannato per alcuni reati candidarsi a diventare ministro o sindaco.
2. La questione della limitazione delle custodie cautelari
Il secondo quesito riguardava la limitazione delle custodie cautelari.
Attualmente, il codice penale prevede per un certo numero di reati la custodia cautelare, con tre scopi diversi:
- impedire la ripetizione del reato;
- evitare il rischio di inquinamento delle prove;
- ridurre il pericolo di fuga.
Si doveva votare “Sì” per eliminare la custodia cautelare disposta per evitare la reiterazione del reato, mantenendo solo le altre due possibilità.
3. La separazione delle funzioni dei magistrati
Il terzo quesito si occupava della separazione delle carriere tra i magistrati.
Al momento presente, un magistrato può passare per 4 volte nel corso della sua carriera da giudice a PM (Pubblico Ministero) e viceversa.
Il giudice ha la funzione giudicante all’interno di un processo, mentre il PM quella requirente, cioè esercita l’azione penale.
Si doveva votare “Sì” per sopprimere questa possibilità e fare in modo che il magistrato decidesse quale tipo di carriera svolgere per l’intera vita lavorativa: o giudice o pubblico ministero.
4. Il quesito sulla valutazione della professionalità dei magistrati
Il quarto quesito si occupava delle figure che dovrebbero valutare la professionalità dei magistrati.
In pratica, i magistrati vengono valutati ogni 4 anni sulla base di pareri motivati forniti dai Consigli Giudiziari. Questi organi sono composti da:
- magistrati;
- avvocati;
- professori universitari di diritto;
ma di queste categorie solo i magistrati possono votare nelle valutazioni professionali degli altri magistrati.
Si doveva votare “Sì” per abrogare questa legge e consentire anche ai membri laici – cioè avvocati e professori universitari di diritto – di valutare professionalmente i magistrati.
5. L’elezione dei membri del CSM
Il quinto e ultimo quesito si focalizzava sull’elezione dei membri del Consiglio Superiore di Magistratura.
Attualmente esiste un obbligo, imposto al magistrato, di raccogliere dalle 25 alle 50 firme per candidarsi al CSM.
Si doveva votare “Sì” per consentire ai magistrati di presentare la candidatura al CSM senza procurarsi le suddette firme.
Il grosso problema di questo Referendum
Ti facciamo una domanda:
Secondo te, ha senso sottoporre domande così specialistiche ai comuni cittadini, quesiti tecnici sui quali non è praticamente stata fatta pubblicità e informazione (se escludiamo i social)?
Quello che è accaduto lo scorso 12 giugno è surreale.
I quesiti che riguardano strettamente materie giuridiche non dovrebbero essere oggetto di referendum.
Banalmente perché alle urne vengono chiamati circa 50 milioni di cittadini e la maggior parte non ha gli strumenti per approcciarsi a quesiti in materia giuridica.
Lo diciamo senza giudizi di valore, perché ognuno ha le sue conoscenze e competenze.
Un referendum ha veramente significato quando propone quesiti su un argomento di massa, su temi comprensibili e molto sentiti dalla società: citiamo esempi come il Ddl Zan contro l’omotransfobia, la cannabis legale, l’eutanasia.
È possibile che la ragione di un’affluenza così bassa alle urne sia da imputare all’eccessiva complessità dei quesiti, e non allo scarso senso civico dei cittadini.
Complessità eccessiva quando non aperta mancanza di senso.
A tal proposito ritorniamo al secondo quesito, incentrato sulla limitazione delle custodie cautelari: il quesito chiedeva solo se si volesse l’abrogazione della custodia cautelare per il pericolo di ripetizione del reato, ma questa domanda è inutile senza avere sotto mano l’elenco dei reati per cui da codice è prevista la custodia cautelare.
E questi reati li sa citare a memoria solo chi ha studiato il codice penale.
Che cosa ci insegna il Referendum sulla Giustizia?
È vero che le questioni della separazione delle carriere, della valutazione dei magistrati, dell’interdizione dai pubblici uffici e le leggi del Codice Penale hanno bisogno di essere riviste.
Quanto meno per rimediare ad articoli del codice che aprono delle zone d’ombra in cui non è facile giudicare gli imputati.
Sono delle decisioni importanti da prendere con competenza, il Governo ha il compito e la responsabilità di rivolgersi a professionisti che maneggiano il Diritto.
Non si può scaricare la responsabilità della legislazione sui cittadini, è per questo che esiste la democrazia rappresentativa.
Piuttosto che delegare aspetti così delicati della vita sociale alla gente comune, forse per dare la parvenza che i cittadini abbiano una qualche voce in capitolo, bisognerebbe chiamarci alle urne per decidere su tematiche che la società sa capire e che non possono più essere procrastinate, se vogliamo vivere in un Paese più giusto e che segua lo spirito del tempo.
Articolo redatto con la collaborazione di Virginia Taddei, avvocato.
*Non vogliamo dire che i referendum e i soldi spesi per questi siano denaro buttato. Ma far riflettere sul fatto che dei soldi pubblici, tanti soldi, siano stati spesi in una materia che non è pane per i cittadini, ma per i legislatori che devono prendersi delle responsabilità.
Nella vita di tutti i giorni sono una SEO Copywriter, ma qui su Inchiostro Virtuale mi dedico a qualcosa che amo molto: la storia.
Ogni soggetto può essere raccontato, se hai la pazienza di conoscerlo a fondo.