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Dopo essere andati alla scoperta (in alcuni casi letteralmente) dei ponti naturali, eccoci a parlare di quelli progettati e realizzati dall’uomo.

Si ipotizza che i primi “ponti artificiali” furono dei semplici tronchi d’albero, caduti in modo da permettere l’attraversamento di un corso d’acqua. Da quel momento in avanti l’uomo non ha fatto altro che migliorare l’idea e progettare strutture che diventassero sicure e stabili, oltre che consentire di oltrepassare ostacoli sempre più grandi.


La storia, benché incompleta, dell’evoluzione architettonica del ponte artificiale è presente su Wikipedia.


Come nel precedente articolo, non è umanamente possibile elencare tutti i ponti esistenti, per cui mi limiterò a quelli che più mi hanno interessato, per storia, struttura e/o… “grandiosità”.

Ponti artificiali Romani

I costruttori dei più grandi ponti dell’antichità furono, manco a dirlo, i Romani, le cui realizzazioni ancora oggi vengono utilizzate o, comunque, si trovano in buona condizione strutturale.

Costruivano principalmente ponti in muratura, in blocchi di pietra o in laterizio, ed acquedotti, ma si trovano diversi esemplari di ponti interamente in legno, oppure con arcate in legno su piloni in calcestruzzo, rivestito in pietra, affiancati spesso da ponti di barche e/o pontoni (barche legate insieme con la prua diretta verso la corrente, utilizzati per il traffico di civili da una sponda all’altra in alternativa al traghetto).

ponti artificiali Verona ponte pietra
Ponte Pietra, Verona

I Romani prediligevano la struttura ad arco, sebbene conoscessero la tecnica di superare i vuoti attraverso grandi lastre di pietra poggiate sui piloni, ed utilizzavano anche il cemento, che riduceva la variazione di resistenza della pietra naturale. Un tipico “impasto” di cemento, chiamato pozzolana, era composto da acqua, calce, sabbia e roccia vulcanica.

Per darvi un’idea della laboriosità ingegneristica romana, l’ingegnere statunitense Colin O’Connor nel libro “Roman Bridges” ha stilato un elenco che comprende 330 ponti in pietra, 34 ponti in legname e 54 ponti acquedotto.
La lista supera le 900 unità se si contano strutture che abbiano conservato archi, piloni o fondamenta di epoca romana, oppure rifatte sullo stesso luogo con materiali di reimpiego dal precedente ponte romano, o per le quali si conosce dalle iscrizioni l’esistenza di un ponte romano ora scomparso (dati raccolti da Vittorio Galliazzo, 1995).

Ponte romano di Cordova

Costruito dai romani nei primi anni del I secolo a.C. sul fiume Guadalquivir, forse in sostituzione di uno precedente in legno (pratica assai diffusa tra i Romani), vi passava la Via Augusta tra Roma e Cadice e, per ben due millenni, è stato l’unico ponte cittadino. Restaurato e rinnovato più volte, ha 16 arcate (in origine 17), è lungo 247 metri e largo circa 9 metri. È esclusivamente pedonale dal 2004 e fa parte del centro storico di Cordova, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1984.

La Torre di Calahorra e la Puerta del puente, edificazioni difensive poste alle due estremità del ponte, risalgono all’epoca della dominazione musulmana. L’attuale Puerta del puente è però un rifacimento realizzato dall’architetto Hernán Ruiz II nel 1572. Al centro del ponte è stata posta, nel 1651, una statua di San Raffaele, opera dello scultore Bernabé Gómez del Río.

Ponte romano di Cordova ponti artificiali
Ponte romano di Cordova

Nel corso della sua storia il ponte ha subito numerosi restauri e ricostruzioni. Tali interventi, più di carattere estetico che strutturale, sono stati così importanti che ad oggi solo gli archi 14 e 15 sono del tutto originali. In particolare, l’ultimo restauro, avvenuto tra il 2006 e il 2008, ha dato adito ad alcune polemiche per il suo carattere radicale.

Gli appassionati della serie TV Games of Thrones lo avranno senz’altro riconosciuto per essere stato utilizzato come location in alcune scene della V stagione (diventando il ponte di Volantis, N.d.A.).

L’acquedotto di Pont d’Ael

In prossimità del villaggio di Pont d’Ael, sulla strada che da Aymavilles conduce a Cogne (conosciuta purtroppo per ben altri motivi), sorge una costruzione di epoca romana, sul torrente Grand-Eyvia. Si tratta di una grandiosa opera in muratura e blocchi di pietra da taglio, alta circa 56 metri e lunga più di 50, avente funzione di ponte-acquedotto.

Si presenta, infatti, suddiviso in due livelli: un condotto superiore, pavimentato in grosse lastre litiche squadrate (lo specus) e originariamente impermeabilizzato da apposita malta idraulica, consentiva il passaggio dell’acqua, mentre un camminamento inferiore, largo circa un metro e opportunamente aerato ed illuminato, consentiva il transito di uomini e animali.

Un’iscrizione sul fronte nord consente la datazione all’anno 3 a.C. e ne ricorda il promotore e proprietario: Caius Avillius Caimus, originario di Patavium (Padova). Esponente di una facoltosa gens di imprenditori (gli Avilli), possedeva tutti i requisiti sociali ed economici per ambire alla gestione delle locali cave di marmo e per investire in un’attività estrattiva, che gli avrebbe dato visibilità e guadagno nell’ambito della colonia di Augusta Praetoria.

Pont d'Aël - ponti artificiali

A differenza di quasi tutti gli acquedotti privati, solitamente collegati ad una villa o ad un possedimento terriero, Pont d’Ael si evidenzia infatti proprio per l’utilizzo a scopo “industriale“, fornendo l’acqua necessaria all’estrazione e alla lavorazione del marmo bardiglio, le cui cave sono state individuate più a valle. Questo tipo di marmo presenta un colore che va dal grigio-azzurro al grigio-perla venato e non è difficile ritrovarlo in gran parte dei monumenti pubblici e privati di Aosta romana.

Recenti lavori di ricerca, restauro e valorizzazione nel sito hanno condotto al completo restauro conservativo del ponte-acquedotto, alla realizzazione di un percorso di visita ed al recupero di un fabbricato adiacente.

Ponti di Barche

Questa particolare tipologia, ideata e realizzata dai cinesi fin dall’antichità ed utilizzata poi da persiani, greci e romani, ha delle particolari caratteristiche di versatilità.

È formato da barche unite tra loro, su cui viene poggiata una passerella che permette il transito a uomini e cose. In caso di necessità, guerre, invasioni, calamità, è di facile rimozione ma, terminata l’eventuale emergenza, si può riposizionare rapidamente. Non può inoltre essere sommerso da inondazioni perché, se si alza il livello dell’acqua, si alza anche il ponte.

Bereguardo e i Visconti

Il parco del Ticino, in cui si trova uno di questi esemplari, è l’ultimo lembo dell’antica foresta planiziare che un tempo copriva l’Europa, per questo è uno dei 610 ecosistemi esistenti al mondo sotto la tutela integrale dell’UNESCO.

I territori circostanti, ricchi di folte foreste popolate di animali di ogni specie, erano prediletti dai signori di Milano per le loro battute di caccia. La necessità di passare rapidamente da una sponda all’altra per l’inseguimento della selvaggina fu una delle ragioni per cui venne costruito il ponte, posizionato dai Visconti nel 1374 per collegare le due sponde del Ticino.

Nel 1378 in occasione di guerre di confine fu fortificato e nel 1449 gli Sforza lo fecero sostituire da un ponte di chiatte stabile.

ponti artificiali bereguardo
Bereguardo: ponte di barche

Prima dell’unità d’Italia le sue estremità segnavano il confine tra il Piemonte e l’Impero Austro-Ungarico, ed era presidiato ad ogni capo da soldati e doganieri. Nell’anno 1859, nel corso della seconda guerra d’indipendenza, gli austriaci sfondarono a Bereguardo dilagando nella Lomellina, minacciando Torino.
Nel corso dei secoli fu ripristinato più volte, l’ultima nel 1913 quando furono posizionate le chiatte in cemento.

Oggi il suo destino è molto incerto. A causa dei depositi di ghiaia e sabbia, le chiatte non poggiano nell’acqua ma su questi detriti e, non avendo più l’ammortizzazione adeguata, il ponte è in condizione disastrose e fortemente a rischio.
Un vero peccato, se si pensa che la località particolarmente suggestiva e l’eccezionalità di questa opera hanno fatto in modo che molte scene di importanti film italiani e stranieri fossero girate, anche recentemente, in questo luogo.

Angeli e Diavoli

Leggende, religioni, santi, angeli e diavoli… ogni ponte ha la sua storia. Per celebrare al meglio questa dicotomia, ecco un paio di esempi davvero spettacolari e significativi!

Ponte Elio

Meglio conosciuto come Ponte Sant’Angelo, a Roma, venne commissionato dall’imperatore Publio Elio Adriano, che lo fece costruire tra il 130 ed il 135 d.C. dall’architetto Demetriano come viale d’accesso al suo Mausoleo (attuale Castel Sant’Angelo), partendo dalla riva sinistra del Tevere.

Anche se, nel tempo, ha subìto varie modifiche e adattamenti, la base di questo ponte non è mai crollata, anzi, resiste da circa 2000 anni. Durante una delle ultime variazioni, nel 1892, che servì per aggiungere i muraglioni, fu necessario portare la larghezza del fiume fino a cento metri, per cui il ponte subì una grossa trasformazione ed assunse l’aspetto attuale. Il Ponte Elio, rivestito di travertino, oggi misura 130 metri in lunghezza, 9 in larghezza ed ha cinque arcate in muratura, al posto delle tre della prima versione.

Ponte Sant'Angelo - ponti artificiali

La storia

Durante il Medioevo il nome fu mutato in “ponte San Pietro” in quanto rappresentava l’unico accesso diretto per giungere alla Basilica Vaticana dalla città.

Ponte Sant’Angelo fu, per tanti anni, luogo di esecuzione della pena capitale e di esposizione dei corpi dei condannati a morte. La prima esposizione risale all’anno santo del 1500 e si tramanda che ben 18 impiccati furono appesi sul ponte, nove per ogni ingresso. Negli anni seguenti furono talmente numerose le impiccagioni che in seno al popolo nacque il commento proverbiale: “Ce sò più teste mozze su le spallette che meloni al mercato“.

Nel 1533 Clemente VII ordinò la demolizione delle cappelline situate all’ingresso del ponte, rovinate durante il Sacco di Roma, facendole sostituire con le attuali statue di San Paolo e San Pietro, tuttora esistenti, opere rispettivamente di Paolo Taccone e del Lorenzetto.

Nel 1536, in occasione della venuta a Roma dell’imperatore Carlo V di Spagna, Paolo III affidò a Raffaello da Montelupo l’incarico di ornare il ponte con otto statue di stucco, raffiguranti i quattro evangelisti ed i quattro patriarchi, Adamo, Noè, Abramo e Mosè.

Un restauro generale del ponte fu curato infine da Gian Lorenzo Bernini per volontà di Clemente IX negli anni 1668-1669. I parapetti chiusi furono sostituiti da balaustrate di pietra e cancellate di ferro; le statue di stucco, ormai pesantemente rovinate, furono rimosse e sostituite da dieci statue raffiguranti gli angeli della Passione, che portano gli oggetti simbolo della Passione di Cristo. Il progetto è opera di Bernini, ma le statue sono state scolpite da allievi del maestro (tranne un paio, realizzate in cooperazione).

Il significato del nome

Secondo la leggenda il nome attuale si ricollega alla tradizione secondo la quale, nel 590 d.C., papa Gregorio Magno, mentre attraversava il ponte durante una processione penitenziale, ebbe la visione dell’arcangelo Michele che, sulla sommità della Mole Adriana, riponeva nel fodero la spada a significare la fine della pestilenza che affliggeva Roma. Da allora la denominazione “Sant’Angelo” si estese al ponte ed al Castello, sui cui spalti venne innalzato il famoso angelo a ricordo dell’avvenimento.

Il suo significato però è ben più profondo. Roma è tagliata a metà dal Tevere: a questa suddivisione il fedele ha dato spesso un significato spirituale. Attraversare il Tevere verso il lato della Basilica di San Pietro equivaleva per il pellegrino a passare dal lato “profano” al lato “sacro” della città. Questo passaggio quindi era una sorta di un percorso di purificazione, una “via crucis” che avvicinava l’uomo alla divinità. Il ponte Sant’Angelo simboleggia proprio questa comunicazione fra uomo e Dio, di cui gli angeli del progetto del Bernini sono i testimoni e gli intermediari migliori.

Rakotz Bridge

In Europa esistono numerosi ponti del Diavolo, ma il Rakotzbrücke è probabilmente il più conosciuto e spettacolare di tutti.

Si trova nel più grande parco della Sassonia, il “Azaleen und Rhododendronpark Kromlau” (parco delle azalee e rododendri di Kromlau), a circa 120 chilometri da Dresda, sul confine con la Polonia. Il Parco fu realizzato durante il XIX secolo da Friedrich Hermann Rotschke, cavaliere di Kromlau e amante della natura ed è un bellissimo esempio di giardino inglese, con molti piccoli stagni e laghi, ma la sua peculiarità è certamente il Ponte del Diavolo.

Il ponte è solo la metà di un cerchio perfetto, l’altra metà viene realizzata dal suo riflesso nell’acqua, creando l’illusione di un tondo in pietra completo. Naturalmente, e non potrebbe essere diversamente, anche il Ponte Rakotz ha la sua leggenda legata al Diavolo, anzi, ne esistono ben tre differenti.

  1. L’architetto che progettò il ponte strinse un patto col maligno: avrebbe realizzato un ponte unico, ma la prima anima del primo essere vivente che l’avesse attraversato sarebbe finita all’inferno. L’astuto architetto raggirò Belzebù, facendo attraversare il ponte da un cane.
  2. Un’altra storia racconta che chiunque gli passerà sotto con una barca a vela durante una notte di luna piena scoprirà le abilità mistiche racchiuse dentro di sé.
  3. Altre persone sostengono che, se guardato da una certa angolatura, il Ponte sveli il volto del Diavolo, mentre altri ancora affermano che il ponte sia esso stesso un portale verso un altro mondo.

Rakotz Bridge ponti artificiali


La maggior parte dei ponti “del diavolo” europei fu costruita in epoca medievale ed immediatamente successiva, fra il 1.000 e il 1.600 circa, e nella sola Francia se ne contano 49. I Ponti del Diavolo si trovano con facilità e frequenza anche in Italia, Germania, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svizzera, Regno Unito, Estonia, Romania e Bulgaria.
Nel precedente articolo ho parlato del Podul lui Dumnezeu, il Ponte di Dio, nato proprio per… far fuggire il Diavolo!


Il Ponte… annodato

Situata in un’ansa del fiume Xiang e sede di antichi istituti culturali ed università, Changsha è la capitale della provincia di Hunan con oltre 7 milioni di abitanti. Negli ultimi anni è diventata una delle città più importanti della Cina nel campo della comunicazione e dello spettacolo con centri di produzioni televisive, teatri, fashion store.
Cospicui investimenti stanno contribuendo a rinnovare il tessuto urbano grazie ad architetti e designer di fama mondiale.

Questo ponte, in particolare, fa parte dello sviluppo dello spazio pubblico del parco fluviale intorno al lago Meixi ed è stato progettato dallo studio Next Architects di Amsterdam, che ha recentemente vinto il concorso internazionale per la costruzione della struttura nel distretto Dragon King Harbor River, ispirandosi al nastro di Möbius, una figura geometrica non orientabile.

In architettura un riferimento del genere sembrerebbe un paradosso, eppure i progettisti hanno trovato un legame fra le sezioni che s’intersecano ed i nodi della tradizione cinese dove due corde entrano nell’intreccio per uscirne dal basso seguendo percorsi più o meno intricati, ma quasi sempre simmetrici. Il ponte non poteva che essere rosso, colore che simboleggia fortuna e prosperità.

Ponte Changsha ponti artificiali

La struttura è composta da tre “nastri” di acciaio che si intrecciano cinque volte per una lunghezza complessiva di quasi 184 metri e con un’altezza massima di 22 metri.

E non è l’unico ponte “spettacolare” della zona!

Nella stessa provincia, nel Parco forestale nazionale Zhangjiajie, sul Grand Canyon di Changsha campeggia il ponte più alto (300 metri) e più lungo (430 metri) al mondo ad avere un fondo trasparente.
Solo pochi anni fa questa località, sebbene tra le più suggestive della Cina, era poco nota. Il suo recente successo è dovuto in gran parte al film Avatar, di James Cameron, che è stato ambientato proprio in questo parco, ed ora anche al ponte per cuori coraggiosi”.

Il più alto

Sospeso su una gola profonda 1.340 metri, il Ponte Beipanjiang è stato di recente aperto al traffico ed è diventato il ponte più alto del mondo con i suoi 565 metri di altezza. Collega due tra le province più remote della Cina, Yunnan e Guizhou, ed è costituito da quattro corsie.

Ci sono voluti tre anni per costruire l’enorme struttura, ad un costo di circa 120 milioni di euro. Il nome del ponte deriva dal vicino fiume Beipan, il corso d’acqua che attraversa la gola sottostante. La struttura ha una campata di 720 metri e costituisce una parte del Hangrui Highway, ossia 3.405 chilometri di autostrada nazionale che collegano la città di Hangzhou, in Cina del sud, con la città di Ruili, sul confine tra Cina e Myanmar.

Beipanjiang ponti artificiali

In Cina si trovano otto dei dieci ponti artificiali più alti del mondo, la maggior parte dei quali è stato realizzato in zone rurali del paese per collegare province remote. Il record mondiale, fino all’apertura di questo nuovo capolavoro di ingegneria, era stato raggiunto da un ponte sempre cinese, lo Siduhe (“solo” 560 metri di altezza).


E con questo ponte da “primato” termino anche stavolta il nostro viaggio “alla scoperta di”.

Come già detto all’inizio, sarebbe impossibile parlare di tutti i ponti artificiali esistenti al mondo, ma ammetto di averne tralasciati diversi che hanno stuzzicato la mia voglia di esplorazione, perciò… aspettatevi altri articoli sul tema!

Alla prossima!
Annalisa A.

Scritto da:

Annalisa Ardesi

Giunta qui sicuramente da un mondo parallelo e da un universo temporale alternativo, in questa vita sono una grammar nazi con la sindrome della maestrina, probabilmente nella precedente ero una signorina Rottermeier. Lettrice compulsiva, mi piace mangiare bene, sono appassionata di manga, anime e serie TV e colleziono Lego.
In rete mi identifico col nick Lunedì, perché so essere pesante come il lunedì mattina, ma anche ottimista come il “primo giorno di luce”.
In Inchiostro Virtuale vi porto a spasso, scrivendo, nel mio modo un po’ irriverente, di viaggi, reali o virtuali.
Sono inoltre co-fondatrice, insieme a Jessica e Virginia, nonché responsabile della parte tecnica e grafica del blog.
Mi potete contattare direttamente scrivendo: a.ardesi@inchiostrovirtuale.it