I Mondiali 2018 hanno offerto grandi emozioni e alcuni momenti destinati a entrare nell’immaginario collettivo, vediamoli
Come avevamo promesso, eccoci a parlare del Mondiale. La più importante competizione calcistica è terminata giusto una settimana nella maniera in cui sette italiani su dieci non avrebbero voluto, ossia con la vittoria della Francia (i restanti tre su dieci, invece, vorrebbero direttamente la squalifica della nazionale francese per abuso della nota sostanza dopante che risponde al nome di melanina, la restituzione della Gioconda – un tormentone che non passa mai di moda, purtroppo – e filo spinato e cecchini a Ventimiglia).
L’edizione del Campionato del Mondo che si è appena conclusa, nonostante l’assenza dell’Italia dal lotto delle contendenti, è stata una delle più emozionanti degli ultimi anni. Vero è che la qualità tecnico-tattica messa in campo da alcune squadre non è stata all’altezza delle aspettative – Germania coff, coff – e alcune squadre siano state difficili da digerire calcisticamente – qui i colpi di tosse non basterebbero – ma le partite alle quali abbiamo assistito sono state tutte coinvolgenti quantomeno dal lato emotivo e agonistico (qualcuno amante di calcio sudamericano parlerebbe di “garra charrúa”).
Sono in molti a lamentarsi dello scarso livello delle squadre che hanno preso parte ai Mondiali, eppure offrire calcio-champagne non è mai stata la priorità di una Coppa del Mondo: i giocatori non sono abituati a giocare insieme, entrano in meccanismi diversi da quelli del proprio club e difficilmente risultano un insieme omogeneo di superstar, come spesso accade nelle migliori società calcistiche del mondo. In questo contesto – parere personale – escono fuori i grandi giocatori, i veri trascinatori: quelli che riescono a rendere grandi anche squadre mediocri o con limiti strutturali. Chi, parlando di un Mondiale, dice che non ha apprezzato la competizione perché i terzini di squadre come Iran o Panama sbagliano le diagonali in maniera dilettantesca (e lo fanno) probabilmente non ha capito lo spirito di questo torneo.
Proprio perché i Mondiali vanno oltre questa visione del calcio, parlando di quello che ha lasciato Russia 2018, non metteremo l’accento sulle migliori giocate del torneo, ma anche e soprattutto sulle cose più divertenti ed iconiche che hanno segnato questo Mondiale.
La rimessa laterale di Milan Mohammadi
Probabilmente a pochi il nome Risto Kallaste dirà qualcosa. Molto più facile, invece, che sia capitato almeno una volta di aver visto il gesto tecnico che è diventato il marchio di fabbrica di questo ex difensore estone: la rimessa laterale preceduta da una capriola, acrobazia che permetteva di aumentare la gittata del lancio di palla.
Il gesto divenne celebre durante questo Italia-Estonia giocato a Trieste nel 1993 (partita di qualificazione ai Mondiali di Usa ’94). La nostra Nazionale, all’epoca ancora in grado di qualificarsi ad un Campionato Mondiale, vinse quella partita per 2-0.
Non sappiamo se il difensore iraniano Milan Mohammadi sia cresciuto nel mito di Risto Kallaste o più semplicemente si sia imbattuto in un recente video in cui, in una partita di calcio femminile negli Stati Uniti, una giocatrice forniva un assist proprio grazie ad una rimessa à la Kallaste. Sta di fatto che Milan ha in mano l’ultima rimessa laterale della partita durante la sfida con la Spagna, una partita nella quale l’Iran non ha affatto demeritato (come in tutto il Mondiale, d’altronde) ma che lo vede sotto 1-0.
Deve buttarla direttamente nell’area avversaria per cercare la spizzata vincente, non c’è tempo per iniziare una manovra offensiva più elaborata. Mentre si concentra per prendere la rincorsa probabilmente deve aver capito che era il momento in cui rischiare come solo gli audaci sanno fare; era il momento di fare la storia, di lasciare il segno. Così decide di provare la Kallaste, forse peccando un pochino di convinzione. Il risultato è il seguente.
Il rapporto fra la suspense del momento e l’imbarazzo del gesto dà vita al mio momento preferito di questi Mondiali. Un giorno dovranno chiedere al coraggioso (ma neanche troppo) Milan cosa passava per la sua testa, se l’avesse mai provata e da cosa sia dipeso il suo ripensamento. Nel frattempo non possiamo che continuare ad ammirare incessantemente il miglior gesto tecnico di Russia 2018.
Le simulazioni di Neymar
Prima di ogni Mondiale addetti ai lavori e tifosi sentenziano: “Questo deve essere il Mondiale di X!” Sostituite X con un qualunque grande giocatore che avrebbe dovuto trascinare la propria Nazionale alla vittoria ed il gioco è fatto. Quest’anno sarebbe dovuto essere il Mondiale di Messi, Cavani, Griezmann, Hazard, Kroos, Cristiano Ronaldo e tanti altri. Fra questi, ovviamente, non poteva mancare Neymar, che a 26 anni ed in una squadra di grande valore sembrava potesse ergersi sul tetto del mondo. Così non è stato e il brasiliano ha anzi disputato dei Mondiali deludenti, complici anche i problemi fisici che lo hanno tenuto fuori nei mesi precedenti il torneo. Eppure Neymar può dire che questi sono stati anche i suoi Mondiali, peccato non nel senso in cui avrebbe voluto lui: il n.10 della Seleçao verrà ricordato in Russia come l’uomo delle simulazioni e dei rotolamenti a terra (per le capriole, invece, Mohammadi rimane inarrivabile). L’arte del simulare è divenuta talmente imprescindibile nel bagaglio tecnico di Neymar che ad un certo punto si è voluto calcolare quanto tempo ha passato a terra (fino agli ottavi di finale erano circa 13:50 minuti!).
La cosa, ovviamente, non poteva non essere oggetto di scherno sul web.
Non solo videomaker, ma Neymar è stato preso in giro anche da pubblicità ed ex giocatori di un certo peso.
Finora insomma, nonostante l’enorme talento, l’impronta che il n.10 brasiliano ha lasciato nel mondo del calcio riguarda soprattutto la sua capacità di portare ad un livello superiore l’arte della commedia sui campi di gioco.
Il disperato tentativo di Panama…
Durante questi Mondiali, dopo la spettacolare partita fra Portogallo e Spagna terminata 3-3, si è acceso un dibattito su una presunta regola che permetterebbe alla squadra che ha subìto gol di riprendere il gioco velocemente se tutti i giocatori avversari siano usciti dal rettangolo di gioco. Questo perché dopo il pareggio di Cristiano Ronaldo, il difensore José Fonte si è fermato prima di uscire dal campo ed unirsi ai festeggiamenti dei compagni. Al di là della discussione a proposito di questa bizzarra regola (qui potete leggerne di più), bisogna valutare l’eco mediatica di questa storia.
Tale è stata la risonanza che qualcuno ha cercato di applicare questa regola alla lettera. Nella partita fra Inghiterra e Panama, dominata dai britannici, durante l’esultanza degli inglesi a seguito dell’ennesimo gol di Kane, i panamensi si sono buttati a capofitto nella metà campo avversaria vuota alla ricerca del primo gol della loro squadra in un Mondiale, rete che avrebbe avuto un significato particolare (e che successivamente sarebbe arrivata). Il risultato di questo goffo tentativo (che sostanzialmente smentisce la regola di cui si è parlato) è tragicomico.
… e quello inglese!
Già, perché nella semifinale persa contro la Croazia, gli inglesi hanno cercato in maniera poco british di emulare con maggior successo i maestri panamensi, credendo forse di essere più furbi e capaci di loro o magari di essere speciali ed avere la benedizione della FIFA e della Regina per poter applicare la regola indisturbati e permettere al calcio di “tornare a casa“. Peccato che il calcio sia scappato da casa ormai da una cinquantina d’anni e non sembra intenzionato ad attraversare la Manica per almeno i prossimi quattro anni. Evidentemente non deve piacergli il fish and chips o guidare a destra.
Lloris e la libellula
Durante il match fra Uruguay e Francia il portiere transalpino Hugo Lloris ha rischiato di ingerire quella che sembrerebbe una libellula.
Questo episodio non fa neanche ridere, in particolare pensando a come il giocatore francese avrebbe potuto rischiare il soffocamento se accidentalmente avesse ingerito la libellula. Forse proprio per questo l’immagine è diventata virale ed è stata così condivisa sui social. PS: il timore di soffocarsi con qualunque cose mi è sorto da quella volta che il Presidente degli Stati Uniti rischiò di morire a causa di un mini-pretzel.
Il cappello di Brozovic
Da pochi minuti è iniziato il secondo tempo della finale dei Mondiali. Il punteggio è ancora di 2-1 in favore della Francia, con la Croazia che però non vuole sprecare la possibilità di fare la storia del proprio giovane paese. Ad un certo punto, però, vi è un’invasione di campo (che più tardi sarà rivendicata dal collettivo delle Pussy Riot) in segno di protesta contro Putin. Il gesto è stato compiuto in memoria del poeta dissidente Dmitri Prigov, morto nel 2007. Gli invasori erano vestiti da poliziotti per citare un’opera di Prigov a proposito di un “poliziotto celeste” che, a differenza del c.d. “poliziotto terrestre”, non perseguita i prigionieri politici.
Al di là del dato politico, quello che qui conta è altro. In questo contesto estremamente teso, fra una finale mondiale da giocarsi ed una protesta politica, ad uno dei contestatori cade il cappello. In quel momento, il centrocampista dell’Inter Marcelo Brozovic decide di prendere il cappello ed indossarlo. Anche qui, fino a quando nessuno chiederà a Brozovic il motivo di tale gesto sarà bello fantasticarci su, immaginando un Brozovic che protesta anche lui contro il regime di Putin, contro i poteri forti o contro la violenza. In realtà, probabimente, si è trattato della volontà di fare il cazzone nonostante il momento particolare, cosa che denota personalità o – più semplicemente – stravaganza.
Le migliori esultanze del Mondiale
Chiudiamo con le esultanze migliori del torneo. Le due che abbiamo scelto meritano una menzione per motivi completamente opposti. La prima è quella di Batshuayi, che dopo un gol del Belgio voleva scaraventare con violenza la palla in porta ma il risultato è stato questo.
Batshuayi stesso l’ha presa con grande autoironia, prendendosi in giro e chiedendo che la sua celebrazione sia inserita fra quelle disponibili nel prossimo capitolo del videogioco calcistico FIFA.
La seconda scelta riguarda invece la tenacia di Oscar Tabarez, storico commissario tecnico dell’Uruguay. Tabarez è affetto dalla sindrome di Guillain-Barré, una forma di neuropatia che può portare alla paralisi o, peggio, alla morte. Nonostante i problemi fisici derivati dalla malattia, l’allenatore non ha rinunciato ad esultare con i propri giocatori quando ne ha avuto la possibilità, mostrando una volta di più il suo spirito da condottiero.
Consigli di lettura
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Avvocato e pubblicista, non giudicatemi male. Per deformazione professionale seguo qualunque fatto d’attualità. Non sono malato di sport, mi limito a scandire i periodi dell’anno in base agli eventi sportivi. Ogni tanto provo a fare il nerd, con risultati alterni.
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