Di calcolatrici elettroniche ne ho avute diverse nella mia vita, a partire da una SR-50, mentre completavo il percorso universitario, per poi passare a una TI 30; poi varie Casio e qualche giocattolo da fustino di detersivo, ma a energia solare. E anche una SHARP, programmabile in Basic. In quasi mezzo secolo, nessuna HP.
Qualche giorno fa una pubblicità di Amazon mi ha proposto una calcolatrice elettronica grafica HP PRIME, al prezzo non particolarmente economico di quasi 150€.
Ho smesso di usare calcolatrici da una decina d’anni, un po’ perché con lo smartphone hai in tasca sia una calcolatrice semplice semplice, sia una scientifica (basta girare lo smartphone). Un po’ perché cerco di conservare agile la mente facendo calcoli e stime a mente, fa niente se ne sbaglio un po’. Ma una HP, ragazzi, penso che la rifiuterei anche come regalo, ricordo ancora la famigerata RPN, la Reverse Polish Notation.
Gli inizi delle calcolatrici elettroniche
Comincio l’università ancora diciottenne, nell’autunno del 1970. Per i primi due anni ingegneria ti alimenta con integrali, derivate, limiti, geometria, tutta roba di passaggi matematici, ma niente calcoli numerici. Le uniche deviazioni pratiche sono disegno meccanico e chimica, e naturalmente fisica, con cui si comincia a calcolare, ma con carta e penna.
Il diritto ad utilizzare uno strumento di calcolo serio matura con il terzo anno: elettrotecnica e fisica tecnica richiedono l’utilizzo di un regolo calcolatore. Comincio quindi ad esercitarmi con il mio Electro della tedesca KOH-I-NOOR. Precisione richiesta: tre cifre significative, quindi se deve venire 1,23 x 10vattelapesca, deve essere proprio 1,23 e non 1,22 o 1,24. Facendo attenzione a tutte le potenze di 10 che si accumulano o si lasciano per strada.
Poi, dev’essere il 1974, mio padre compra una costosissima calcolatrice elettronica SR-50 della Texas Instrument (TI), e scopro il concetto di time-sharing, nel senso che la uso quando non serve a lui (in realtà mi lascia tutto lo spazio che voglio). Ho un ricordo sfumato, ma dev’essere costata ben più di 100.000 Lire. Tre anni più tardi, il mio primo stipendio netto in Olivetti sarebbe stato di 395.000 Lire.
Poco prima di laurearmi mi regalo l’autonomia di calcolo, ormai sono quasi un ingegnere ed i prezzi delle calcolatrici elettroniche sono in rapida discesa. Metto così le mani su una TI 30, sempre Texas Instruments, di cui mio padre invidia subito la durata delle batterie (la storia si ripete, eh?).
Lascio la mia Caserta prima per il servizio militare, subito dopo per Ivrea e l’Olivetti: il 30 ottobre del 1977 varco per la prima volta la mitica portineria del Pino.
Arrivano le calcolatrici elettroniche programmabili
Quando la Texas Instruments comincia a proporre modelli programmabili, mio padre si lascia sedurre, anche se, più o meno negli stessi anni, arriva il Commodore 64. Nel frattempo io ho scoperto il P6060 dell’Olivetti, che non sarà portatile, ma ha un Basic fantastico. A casa, ovviamente, il Commodore 64.
Negli anni utilizzerò diverse calcolatrici elettroniche, qualcuna acquistata negli US, dove la tecnologia costava meno che da noi. Un caro ricordo va ad una Sharp, dovrebbe essere una PC-1211: poco più grande di un regolo calcolatore, è stato un compagno di lavoro prezioso, con il suo Basic rudimentale ma efficace.
Se in tutto questo tempo mio padre ed io abbiamo evitato con cura le calcolatrici HP, che negli anni ’70 – inizi ’80 hanno rappresentato l’altra metà del cielo, è tutta colpa della Reverse Polish Notation, anche nota come RPN.
Un passo indietro nella storia della matematica
Polonia, anni ’20 del secolo scorso. Tra Leopoli e Varsavia si sviluppa la scuola logico-filosofica che proprio da queste due città prende il nome. Esponente della scuola di Leopoli-Varsavia è Jan Łukasiewicz, che intorno al 1924 raggiunge un importante traguardo nella teoria della formulazione di espressioni matematiche.
Consideriamo l’espressione:
3 x (4 + 5)
Contiene due operatori (moltiplicazione e addizione) e degli elementi separatori, le parentesi. Gli operatori sono evidentemente essenziali nel descrivere cosa si vuol calcolare, ma è proprio necessario utilizzare le parentesi, o esiste un modo per rappresentare quel calcolo facendone a meno?
Bene, nel 1924 Łukasiewicz pubblica una sua particolare notazione matematica, con la quale si può fare a meno delle parentesi. Basta che di ogni operatore si conosca la sua arietà. Detto in parole commestibili, basta sapere su quanti operandi lavora ciascun operatore.
Nel nostro esempio, sia la moltiplicazione che la divisione sono operatori bin-ari, hanno cioè arietà pari a 2. Utilizzando la notazione di Łukasiewicz, nota come notazione polacca, posso riscrivere l’espressione così:
x + 4 5 3
Al momento di eseguire il calcolo, il primo operatore ad avere disponibili i suoi operandi è il “+“, quindi “+ 4 5” lascia il posto a “9“. Adesso anche il “x” ha pronti i suoi due operandi, e si può eseguire: “x 9 3” viene sostituito da “27“.
Un risultato certamente brillante, in matematica è eliminando il superfluo che emergono purezza e bellezza. Dal punto di vista pratico, però, quale delle due notazioni è più leggibile, 3 x (4 + 5) o x + 4 5 3 ?
Un salto di trent’anni, e la notazione polacca si inverte
A metà degli anni ’50, il matematico australiano Charles Leonard Hamblin si pone il problema di semplificare gli algoritmi di calcolo utilizzando le cosiddette “zero-address memory“. Un esempio è una memoria FIFO (First-In-First-Out), anche nota come “Stack“, ovvero “pila”, “mucchio”. Le due operazioni consentite con una memoria FIFO sono: inserire un elemento nella pila, estrarre l’elemento in cima.
L’intuizione di Hamblin sta nel rovesciare la notazione di Łukasiewicz. In sostanza si introducono gli operandi uno dopo l’altro nell’ordine giusto, e quando si propone un operatore, questo consuma gli ultimi operandi introdotti, in funzione della sua arietà. Non è necessaria nessuna parentesi!
Nel nostrio esempio, si opererebbe così:
3 4 5 + x
Quindi si infila nel sacco il 3, poi il 4 e a seguire il 5. L’operatore “+”, che è binario, sfilerà dal sacco gli ultimi due numeri introdotti (5 e 4, sostituendoli con 9). Poi l’operatore “x” consumerà 9 e 3, lasciando il risultato finale, 27. Nasce la Notazione Polacca Inversa, o Reverse Polish Notation.
Ancora vent’anni, ed ecco le calcolatrici elettroniche!
A metà degli anni ’70 la tecnologia rende fattibile un mercato di massa per il calcolo portatile, su cui si lanciano due colossi americani: La texana Texas Instruments (TI) e la californiana Hewlett & Packard (HP).
L’approccio della prima è di offrire un’operatività il più possibile naturale. Sulla tastiera ecco quindi le parentesi che rendono intuitiva l’introduzione di espressioni, che possono essere passate alla calcolatrice elettronica esattamente come si scriverebbero su carta.
La HP, dal suo canto, sposa la notazione che rende più semplice l’elaborazione dell’algoritmo che esegue l’espressione, quindi sceglie la Notazione Polacca Inversa.
Agli inizi degli anni ’90 arrivò il ciclone della Business Process Reengineering: riprogettare i processi aziendali per recuperare efficienza. Effetti collaterali: drastica riduzione e riqualificazione del personale.
Un brillante consulente belga mi regalò una metafora che mi è tornata spesso utile nella vita lavorativa. “Tu – mi disse – sei tra il Prodotto e il Cliente. Non c’è modo che tu possa guardare entrambi. Se sei un tecnico, allora guardi il Prodotto e rivolgi il culo al Cliente. Se invece fai Marketing, allora guardi il Cliente, ma rivolgi il culo al Prodotto.“
A fronte di decisioni da prendere sul prodotto mi sono spesso fermato a chiedermi: da quale lato sono rivolto? Sto perfezionando il mio amato Prodotto, o sto soddisfacendo un bisogno reale del Cliente?
Bene, per come la vedo io, la TI guardava al Cliente, la HP al Prodotto.
HP ha un Marketing formidabile
Non a caso HP è ancora viva e vegeta oggi, in un settore che ha visto stelle di prima grandezza dissolversi nel nulla (la Digital Equipment Corporation (DEC) ai millennials non dirà nulla, ma per noi anziani sembrava un mito intramontabile, per fare un esempio). In quegli anni ’70 il Marketing HP seppe convincere molti dell’efficacia della RPN e della superiorità delle sue calcolatrici rispetto a quelle della rivale TI.
Si battono meno tasti, si argomentava. Neanche ricordo più se fosse (sempre) vero, ma, almeno questo era il mio punto di vista, con le TI potevo utilizzare la notazione che mi era naturale, non era la calcolatrice ad impormi la sua notazione.
Le calcolatrici elettroniche dei fustini di detersivo hanno fatto pulizia sul mercato. Destinate a un pubblico “semplice”, con volumi e tecnologia che riducevano il costo dell’elettronica ai minimi termini, credo che nella loro progettazione l’RPN nemmeno sia mai stata presa in considerazione.
Mai dire mai
La pubblicità Amazon della HP Prime ha in verità risvegliato qualcosa nel mio interesse. La possibilità di graficare una funzione è qualcosa che mi è sempre mancato nelle calcolatrici elettroniche che ho utilizzato. Anche la SHARP produceva solo testo.
Però, francamente, 150€ non si spendono così, al volo, prima bisogna rendersi conto di cosa si può fare.
Googlando sono incappato in questo simulatore della calcolatrice HP Prime. Il software, prodotto dalla stessa HP, si installa facilmente su Windows, e poi si può provare l’ebbrezza di provare. La simulazione su schermo non è semplicissima, ma provare è gratis, ergo si può fare.
La RPN è opzionale, ma la proverò. Chissà che non mi venga voglia di acquistarne una HP Prime.
Ah, servono i manuali. Buon divertimento!
Mi chiamo Pasquale Petrosino, radici campane, da alcuni anni sulle rive del lago di Lecco, dopo aver lungamente vissuto a Ivrea.
Ho attraversato 40 anni di tecnologia informatica, da quando progettavo hardware maneggiando i primi microprocessori, la memoria si misurava in kByte, e Ethernet era una novità fresca fresca, fino alla comparsa ed esplosione di Internet.
Tre passioni: la Tecnologia, la Matematica per diletto e le mie tre donne: la piccola Luna, Orsella e Valentina.
Potete contattarmi scrivendo a: p.petrosino@inchiostrovirtuale.it