Matria. Storia della Sardegna, episodio 3
Abbiamo concluso il racconto nell’episodio precedente (Sardegna preistorica: dal Neolitico ai metalli) con uno scenario d’incertezza. La presenza di muri e muraglie megalitiche, ancora visibili in diverse zone dell’isola, testimonia il desiderio degli antichi abitanti di sentirsi più sicuri. Questa tendenza difensiva non si esaurisce col passare dei secoli, piuttosto si specializza creando il fenomeno culturale più celebre della Sardegna: l’età nuragica.
L’età nuragica della Sardegna vista da fuori
“Passava sorridendo tra i giovani, dando talvolta leggere manate sulla nuca dei guerrieri, sotto l’elmo di cuoio e bronzo. Li aveva addestrati uno per uno in vista della lunga e incerta spedizione, e adesso erano al loro primo vero scontro…”
[Antonello Pellegrino – Dalla scura terra]
Raggruppare interi secoli sotto un nome o un’etichetta è utile per semplificare e mettere ordine in un oceano di informazioni storiografiche. Se ci pensi, il Medioevo, l’antichità o l’età moderna sono tutte etichette e spesso non rendono l’idea delle sfumature che hanno caratterizzato una singola epoca.
Questa premessa era necessaria per farti avvicinare alla Sardegna dell’età nuragica con il giusto spirito. Perché il primo impulso è quello di pensare a dei protosardi immobili dentro ai loro nuraghi, fino al suono della campanella che sancisce l’inizio dell’epoca successiva.
Si è trattato in realtà di un periodo di tempo lunghissimo: l’età nuragica include tutta l’età del bronzo e continua nell’età del ferro e oltre, più di mille anni di avvenimenti. E la cosiddetta civiltà nuragica non era qualcosa di statico, ma nei secoli ha trasformato se stessa e i suoi prodotti culturali, anche per mezzo dei contatti con antichi Greci, Etruschi, Fenici, Cartaginesi e Romani.
Lo sviluppo della civiltà nuragica in Sardegna è suddiviso per comodità in 4 tappe cronologiche:
- Nuragico arcaico, o protonuragico, che comincia nel II millennio a.C.;
- Medio Nuragico;
- Tardo Nuragico;
- Nuragico di sopravvivenza, che termina per convenzione nel 238 a.C. con la conquista romana della Sardegna.
Nuragico arcaico. L’alba riflessa nel bronzo
L’ipotesi più convincente sulla nascita della civiltà nuragica è quella di un’origine autoctona, a partire dal crogiolo di esperienze culturali che avevano caratterizzato il Neolitico e l’età del rame e sullo sfondo del megalitismo occidentale.
Gli albori si fanno risalire tra il 1800 e il 1600 a.C., durante la cultura di Bonnanaro, un orizzonte testimoniato da un’ottantina di località sparse nell’isola.
I resti umani risalenti a quest’epoca hanno due caratteristiche interessanti.
Per cominciare mostrano segni di trapanazione cranica, verosimilmente usata a scopo terapeutico; inoltre recano segni di stadi malarici. Per chi è vissuto in Sardegna a partire dal secondo dopoguerra è difficile immaginarsi il tormento della malaria, che ha accompagnato gli abitanti dell’isola fin dalla remota antichità.
Ma perché adesso ho messo in mezzo la cultura di Bonnanaro se stiamo parlando di civiltà nuragica? Ti starai chiedendo. Il punto è che non posso farne a meno: in questo momento preistorico si accende la scintilla di un fenomeno originale e grandioso.
Il protonuragico della cultura di Bonnanaro
Queste comunità iniziano a erigere costruzioni megalitiche dalla forma tozza e irregolare. Si tratta dei protonuraghi, di cui sono sopravvissuti circa 300 esemplari, dislocati soprattutto nella parte centro-occidentale dell’isola. Stando alle analisi al carbonio-14 il più antico sarebbe il protonuraghe Brunku Màdugui di Gesturi, risalente al XVIII secolo a.C.
I protonuraghi hanno fatto discutere a lungo gli esperti sulla loro funzione. È possibile che fossero edifici a carattere civile-militare.
Quello che incuriosisce è la gestione degli spazi: all’interno dell’edificio non c’erano delle stanze, quanto piuttosto degli spazi angusti affacciati su un corridoio che attraversava la massa muraria, ragion per cui i protonuraghi sono anche detti nuraghi a corridoio. La parte più funzionale era la terrazza superiore, anche strategica visto che in origine i protonuraghi dovevano raggiungere al massimo i dieci metri d’altezza.
L’alba della civiltà nuragica vede anche l’utilizzo del bronzo nella vita quotidiana. Tra i reperti si notano strumenti da lavoro, come lesine per forare il cuoio, e ovviamente armi per la caccia e la guerra.
Il bronzo era un materiale duro e resistente, ma anche costoso: per ottenerlo bisognava miscelare il rame a opportune quantità di stagno, che non si trovava ovunque.
Ottenere i preziosi metalli era una questione di sopravvivenza per i popoli del tempo, e questo bisogno alimentò una fitta rete di commerci in seno al Mediterraneo e in Europa, rete di cui la Sardegna era parte integrante.
Medio nuragico: le alte torri di Sardegna
Tra il 1500 e il 1000 a.C. l’età nuragica vive il momento di massimo splendore, e la sua eredità è immediatamente visibile nelle torri che dominano ancora il paesaggio e l’immaginario.
I nuraghi sono edifici di forma tronco-conica costruiti a secco, nei quali la stabilità era affidata all’equilibrio dei pesi delle grosse pietre usate per erigerli. Avevano un ingresso sormontato da una finestrella di scarico e orientato a sud-est.
Nonostante siano delle costruzioni originali e uniche dell’isola, hanno dei lontani parenti sparsi per il Mediterraneo, a testimonianza di una comune matrice culturale:
- torri della Corsica;
- tholoi micenee;
- talajots delle Baleari;
- sesi di Pantelleria.
Di nuraghi propriamente detti ve ne sono circa 6.500, ma quasi sicuramente ne esistevano molti di più in antichità. Ha senso pensarlo perché, lasciando stare l’inclemenza del tempo e delle intemperie, in passato non ci si faceva problemi a smantellare il vecchio per costruire il nuovo. Sappiamo, ad esempio, che molti nuraghi vennero smantellati nell’800 per applicare la legge delle “chiudende” e per la costruzione di strade come la Carlo Felice.
Le conoscenze che abbiamo su questi monumenti derivano dagli esemplari ben conservati e dalle statuette in bronzo che li raffigurano.
Queste torri raggiungevano anche i venti metri d’altezza, e dalla terrazza si aveva una visione completa del paesaggio, ottima cosa quando vuoi difenderti dalle aggressioni. All’interno, gli ambienti erano organizzati su massimo tre piani e ogni stanza aveva una copertura a cupola, detta tholos.
La funzione era chiaramente militare, quindi di difesa del territorio e delle risorse, ma sarebbe riduttivo limitarsi a questa interpretazione. Alcuni nuraghi, per la loro ubicazione e complessità, suggeriscono anche una funzione civile, di residenza fortificata dell’autorità della regione.
Accanto ai nuraghi semplici, monotorre, con il tempo alcune costruzioni vennero ampliate fino a diventare dei bastioni: è il caso del nuraghe Santu Antine (Torralba), non per caso chiamato Sa domu ‘e su Re, oppure del complesso di Su nuraxi (Barumini), che mostra inoltre i resti dei muri delle capanne.
Ultimare delle opere di tale portata doveva richiedere una visione e uno sforzo coordinativo notevoli, che soltanto un capo poteva offrire. È plausibile che quella nuragica fosse una società di capi, con alcune famiglie divenute egemoni nel corso del tempo. Accanto al potere terreno, la vita delle comunità nuragiche era permeata da un potere religioso e spirituale.
Tombe dei giganti e acque sacre nella Sardegna nuragica
Le sepolture caratteristiche dell’età nuragica sono le tombe dei giganti, nome che deriva dalla tradizione popolare. Nello scorso episodio abbiamo incontrato le janas, donne minuscole e magiche che abitavano in casette scavate nella roccia, questa volta abbiamo a che fare con i giganti.
In realtà la tomba dei giganti era una sepoltura collettiva e, in genere, sorgeva presso un nuraghe. In tutta la Sardegna si contano circa 800 esemplari e, di questi, il meglio conservato è il sepolcro di Sa domu ‘e s’Orku (Siddi). La camera di sepoltura è lunga 15 metri e l’architettura nel complesso ricorda la testa di un toro, animale sacro.
Altro elemento sacro per i Nuragici era l’acqua, infatti i luoghi di culto sono principalmente:
- i pozzi sacri, formati da lunghe scalinate che scendevano fino alla fonte, come il pozzo di Santa Cristina (Paulilatino);
- le fonti sacre, dove si venerava l’acqua che sgorgava a livello del suolo, come la fonte di Su tempiesu (Orune).
Ben difesi, ma non isolati
La presenza di torri a guardia di punti strategici non va interpretata come una tendenza isolazionista. Le civiltà nuragiche erano aperte alle relazioni con i popoli esterni e nel corso del medio nuragico (XIV-XIII secolo a.C.) entrarono in contatto con i Micenei. I Micenei, o Achei, erano la grande civiltà che dall’Egeo aveva iniziato a espandere la propria influenza verso oriente ma anche verso occidente.
L’estrazione e il commercio del rame, che serviva per fare il bronzo, rendeva la Sardegna un approdo attraente per i Micenei. Ci sono varie testimonianze di un contatto produttivo tra le due civiltà. In primo luogo, la presenza di una postazione micenea nel golfo di Cagliari, per la precisione sulla rocca del nuraghe Antigori. Il sito dà l’idea di una sede di rappresentanza micenea inserita in un contesto abitativo nuragico.
In secondo luogo, il ritrovamento di lingotti di rame con su incisi caratteri dell’alfabeto egeo; e poi oggetti di importazione, come le perline di pasta vitrea e maiolica, ritrovate nella tomba dei giganti di Gonnosfanadiga, oppure le ceramiche rinvenute nel complesso nuragico dell’Antigori e nel nuraghe Domu s’Orku.
Tardo nuragico. La processione degli ex-voto
Durante il periodo tardo, la società nuragica si trasforma e con essa il concetto di controllo e difesa.
In quest’epoca non si costruiscono più nuraghi, anche se è accettata l’ipotesi che le comunità abbiano continuato a usarli. Si passa da una strategia incentrata sulle torri a una difesa dei territori in campo aperto; in pratica nasce un esercito articolato in diverse specialità.
Non avendo testimonianze scritte, gli studiosi hanno trovato altrove i segni di questo cambiamento. Per fortuna ci vengono in aiuto le rappresentazioni artistiche che la civiltà nuragica ha lasciato, specialmente le statuine in bronzo e le sculture in pietra.
Bronzetti della Sardegna nuragica
Le statuine in bronzo sono qualcosa di inestricabilmente legato all’immagine della Sardegna, al pari dei nuraghi. I bronzetti erano fabbricati con la tecnica della cera persa e rappresentavano capi, figure religiose, madri, guerrieri, animali, imbarcazioni e persino nuraghi con una fattura e una quantità di dettagli eccezionale.
Al tempo il bronzo era ancora lucente e li rendeva i doni perfetti per ingraziarsi le divinità. I bronzetti sono considerati degli ex-voto, poiché molti sono stati ritrovati nei luoghi di culto.
I giganti di Mont’e Prama
Secondo l’archeologo Giovanni Lilliu, la datazione del complesso di statue di Mont’e Prama oscilla fra il XIII e il IX secolo a.C., ipotesi che renderebbe questi giganti in pietra i più antichi d’Europa e del Mediterraneo occidentale.
Le statue, rinvenute nei pressi di Cabras, sono alte circa due metri e raffigurano pugili, arcieri e guerrieri.
Al netto di tutto, resta in sospeso chi o cosa abbia provocato la trasformazione della società nuragica.
Di sicuro non si è trattato di un singolo evento scatenante: nel tardo nuragico, la Sardegna è stata frequentata da diversi popoli con grande influenza e potenza nel Mediterraneo, in maniera più o meno pacifica; era inevitabile che ci fossero delle conseguenze.
Ti parlerò delle vicende tra i Nuragici e queste genti nell’episodio 4: “Sardegna nuragica: età del ferro e guerra“.
FontiStoria della Sardegna, dalla preistoria ad oggi – A cura di Manlio Brigaglia ImmaginiLame del nuragico arcaico – Blog di Pierluigi Montalbano |
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