La lunga strada verso l’autodeterminazione femminile
Questo mese ho avuto più di una difficoltà a buttare giù il pezzo e non solo a livello logistico-organizzativo. Il fatto è che questo sui diritti delle donne è un articolo che ti chiede prepotentemente di essere scritto. Il discorso è già bello e pronto in testa, ma quando provi a metterlo nero su bianco ti ritrovi a combattere con un senso di disagio, di fastidio, che ti induce a rimandare, ma più rimandi più l’urgenza di prendere posizione si fa pressante.
Maledetta costola!
Diciamoci la verità, questa storia della costola ci ha creato numerose difficoltà. Per noi che abbiamo radici cristiane, il racconto biblico della creazione dell’uomo e della donna doveva essere la genesi di due esseri con la stessa carne e lo stesso sangue, profondamente uniti e complementari. Gli uomini, però, l’hanno convenientemente interpretata come legittimazione di una presunta superiorità di genere.
Non che in altre religioni vada meglio. Probabilmente, l’idea atavica che l’uomo, superiore per forza fisica, vada a caccia mentre la donna si dedica alla raccolta o alla prima agricoltura e alla cura dei figli è stata dura da scalzare.
In ogni caso, per far comprender che uomini e donne sono sullo stesso piano, ci sono voluti secoli e qualcuno fa ancora finta di non capire. La storia comincia ai giorni nostri.
Lotte moderne per i diritti delle donne
Poco più di venti giorni fa, l’attivista politica curda Hevrin Kalaf è stata barbaramente uccisa in un’imboscata. Certo, Harvin si trovava in un crocevia molto pericoloso: sosteneva la possibilità di convivere pacificamente e, dall’interno di una minoranza discriminata, difendeva i diritti delle donne.
Chi ha ucciso Harvin ha voluto eliminarla come donna, prima ancora che come politica. Da quanto riporta la stampa, l’uccisione è avvenuta dopo stupri, torture e umiliazioni per annientare il suo spirito, per rimetterla al “suo posto” come donna e ucciderla moralmente prima che fisicamente.
Questa cosa mi ha turbata profondamente e mi ha fatto riflettere una volta di più su come si diano per scontati diritti che sono invece frutto di anni di lotta.
Donne, a noi!
Per molti della mia generazione la lotta per l’emancipazione femminile è veicolata dall’immagine dell’impero Disney. Se parliamo di suffragette, la prima cosa che ci viene in mente è l’immagine di Mrs Banks, madre dei teneri pargoletti di Mary Poppins.
Ce la presentano appena rientrata da una manifestazione per il diritto di voto. Trascina, con l’euforia del racconto della giornata appena trascorsa, anche la servitù di casa, salvo interrompere e chiedere alla governante di nascondere tutte le tracce della protesta (coccarde e fasce) perché è tornato il marito, Mr Banks, e “queste cose“ lo innervosiscono.
La verità è che quanto narrato è una versione edulcorata (ma non poteva essere altrimenti!) di ciò che è accaduto non solo in Inghilterra, ma un po’ in tutta Europa, a partire dalla fine del Settecento.
La prima richiesta di riconoscimento dei diritti delle donne
La prima richiesta formale per il riconoscimento dei diritti delle donne risale al 1789, quando vennero presentati all’Assemblea rivoluzionaria i Cahier de doléances des femmes.
In quegli anni, Olympe de Gouges (pseudonimo di Marie Gouze, drammaturga e attivista francese) pubblicò la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, in cui dichiarava l’uguaglianza politica e sociale tra uomo e donna.
Nel 1892 fu ghigliottinata per essersi opposta alla decapitazione di Luigi XVI e, molto più probabilmente, per avere criticato la deriva liberticida che stava prendendo la repubblica. Salendo sul patibolo ribadì ciò che aveva già sostenuto nei suoi testi:
Come la donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere altresì il diritto di salire alle più alte cariche.
Dopo la morte, il procuratore l’accusò di aver “dimenticato le virtù che convenivano al suo sesso”.
Diritti delle donne d’Oltremanica
Nello stesso periodo, nel Regno Unito si pubblicarono libri, tra cui A vindication of the right of women (1792) di Mary Wollstonecraft, sulla parità dei diritti, in cui sosteneva che:
Le donne non sono inferiori per natura agli uomini, anche se la diversa educazione a loro riservata nella società le pone in una condizione di inferiorità e di subordinazione.
Solo con le leggi del 1832 e con la legge comunale Corporations act del 1835, alle donne fu concesso il diritto di voto alle elezioni locali, mentre quelle nazionali restavano ancora precluse.
Si deve attendere il 1869 per parlare ufficialmente di suffragette, anche se il movimento nazionale venne riconosciuto solo nel 1897 con la formazione del National Union of Women’s Suffrage. Ma la lotta sarà ancora lunga.
L’industrializzazione stava cambiando radicalmente la vita delle donne, diede nuovo vigore al movimento e ai primi del 1900 le suffragette attuarono azioni di protesta dimostrative anche curiose.
La suffragetta Emily Davison, durante la notte del 2 aprile 1911, in occasione del censimento si nascose in un armadio del Palazzo di Westminster, in modo da poter legittimamente indicare sul modulo che la sua residenza, quella notte, era stata la Camera dei Comuni. Emily, poi, morirà nei disordini del Derby di Epsom del giugno 1913.
Nel 1918 il parlamento del Regno Unito aprì al voto politico, ma solo per le mogli dei capifamiglia con certi requisiti di età sopra ai 30 anni. Il suffragio universale femminile arrivò solo nel 1928.
“Io sono mia”
Le donne rivendicano quella che per me oggi, a questa latitudine, è un’ovvietà: pari diritti civili e diritto di voto, in una parola autodeterminazione. Le rivendicazioni, benché possano sembrare tante, sono alla base di una società che si vuol definire civile.
Diritto all’integrità e all’autonomia corporea, di essere liberi dalla paura della violenza sessuale, di avere gli stessi diritti familiari e riproduttivi.
Diritto di poter reggere pubblici uffici, di stipulare contratti legali, di poter svolgere le stesse professioni degli uomini e ottenere una retribuzione equa e uguale a quella maschile, di possedere proprietà e infine di avere accesso all’istruzione.
Come ben individuato da Mary Wollstonecraft è la società che ha messo la donna nelle condizioni di contare solo in quanto figlia, madre, sorella o moglie di qualcuno. Ora, ripercorrere l’evoluzione della condizione della donna in varie epoche e in varie latitudini è lungo e complicato e meriterebbe un ampio discorso a parte.
Ciò che tengo a sottolineare è che l’attuale condizione femminile non è scontata e purtroppo non è ancora per tutte.
I diritti delle donne in Italia
Rispetto ad altri Paesi arriviamo dopo, in parte anche per il fatto che, fino al 1861, eravamo impegnati a diventare una nazione.
Nel diritto di famiglia, disciplinato dal 1865 dal Codice Pisanelli, si preclude alle donne ogni decisione giuridica o commerciale, sottoponendola alla richiesta dell’autorizzazione maritale.
La neonata nazione italiana adottò il Codice Penale del 1859 del Regno di Sardegna. Il diritto di famiglia, ad esempio, prevedeva una pena detentiva da tre mesi a due anni per la donna adultera, mentre puniva il marito solo in caso di concubinato.
La prima proposta di legge per il suffragio femminile fu bocciata nel 1867. Nel 1874 le donne potevano accedere ai licei e alle università, anche se in realtà molte scuole continuavano a respingere le iscrizioni femminili.
Tra il 1887 e il 1890 furono circa una ventina le donne che conseguirono la laurea, anche se le professioni restarono precluse. Ad esempio, Lidia Poët, nell’agosto del 1883, fu la prima donna Avvocato ma l’iscrizione all’Ordine fu revocata per ordine della magistratura e riammessa solo nel 1920.
Primi del ‘900
I cambiamenti legislativi sono molto lenti e i progressi migliori sono ottenuti laddove lo sfruttamento e la presenza femminile sono maggiori. Nel 1902 fu approvata una prima legge per proteggere le donne e i bambini, che vietava loro di lavorare in miniera e limitava a 12 le ore giornaliere.
Un’altra proposta di voto alle donne arrivò nel maggio 1912, durante la discussione del progetto di legge della riforma elettorale, che avrebbe esteso il voto anche agli analfabeti maschi. Alcuni deputati, tra cui Filippo Turati, proposero un emendamento per concedere il voto anche alle donne. Giolitti si oppose definendolo “un salto nel buio” e rimandò il tutto a un’apposita connessione, così la proposta venne accantonata.
Le donne raggiunsero l’emancipazione giuridica solo nel 1919. Fu solo nel febbraio del 1945 che il consiglio dei ministri approvò, in un’Italia ancora in guerra, l’estensione del diritto di voto a tutti gli italiani che avessero 21 anni compiuti.
Le donne poterono così votare per la prima volta alle elezioni amministrative della primavera 1946, nonché nel successivo referendum del 2 giugno per l’elezione dell’Assemblea costituente e per il Referendum per la scelta tra monarchia e repubblica.
Fine Anni ’60
Raggiunto il traguardo del suffragio universale, restava ancora molto da fare e le lotte ripresero alla fine degli Anni ’60 anche in Italia, sulla scia dei movimenti mondiali.
Si rivendicava l’applicazione dei principi costituzionali di eguaglianza e la libertà di decisione sui diritti specificamente femminili, quali l’aborto, la contraccezione e il divorzio (quest’ultimo legalizzato nel 1970).
Nel 1975 fu istituito il nuovo Codice del diritto di famiglia, con il quale si garantiva per la prima volta la parità legale fra i coniugi e la possibilità della comunione dei beni. Nel 1977, fu sancità la parità di trattamento fra uomo e donna sul posto di lavoro e su questo mi permetto di dire che resta ancora molto da fare.
L’aborto diventò legale solo nel 1978, confermato dal referendum del maggio 1981. Comunque la si pensi, è importante che le donne possano scegliere ciò che ritengono meglio per loro senza rischiare la vita!
Il diritto di dire no: il caso di Franca Viola
Filippo Melodia rapì la diciasettenne Franca Viola nel dicembre del 1965, dopo essere irrotto nella sua abitazione. La violentò, la malmenò e la tenne segregata per otto giorni. A Capodanno i parenti di Melodia chiamarono il padre della ragazza per accordarsi su un matrimonio riparatore.
Secondo la morale del tempo, Franca non avrebbe avuto altra possibilità se non quella di sposare il suo stupratore, salvando così l’onore suo e della famiglia; l’alternativa era restare zitella ed essere additata come svergognata.
Quest’assurda situazione era persino regolamentata dalla legge: infatti, secondo l’art. 544 del Codice Penale, le accuse sarebbero decadute se il reo e la vittima si fossero sposati. Se il matrimonio fosse avvenuto con la sentenza passata in giudicato i giudici avrebbero annullato la pena; ciò valeva anche per i complici. Franca però decise di andare a processo, ricevendo altro fango dall’accusa che la voleva consenziente, vincendolo.
La norma che rendeva valido il matrimonio riparatore fu abrogata nel 1986, mentre lo stupro divenne finalmente un reato contro la persona e non più contro la morale solo nel 1996. Come dire, ieri mattina!
Scarpette rosse: il diritto di vivere
Nonostante i progressi giuridici e culturali, alcuni uomini non ammettono che le donne siano autonome nel prendere decisioni. I femminicidi in Italia, seppur stabili negli ultimi anni, superano abbondantemente quota cento ogni anno.
Questi crimini sono commessi nella quasi totalità dei casi da ex compagni, mariti, amanti che non accettano la fine della relazione e si armano perché considerano la donna una proprietà o per lavare l’onta dell’abbandono.
Negli ultimi anni si sono moltiplicate le iniziative sia civili sia parlamentari per cercare di aumentare la sicurezza.
Nella foto Zapatos rojos di Elina Chauvet, realizzata per la prima volta nel 2009 a Ciudad Juárez, la città di frontiera nel Messico del nord dove è nato il termine femminicidio. Là, a partire dal 1993, bande di delinquenti hanno rapito, stuprato e ucciso donne nella totale impunità.
Sarà l’età, sarà che sono madre di due bambine ma ogni volta che ne ho l’occasione difendo la libertà di scelta delle donne.
Ritengo che oggi, forse più di ieri, ogni donna debba essere femminista, magari non facendo barricate o bruciando reggiseni, ma vigilando e tutelando il proprio diritto all’indipendenza. La perdita dei diritti acquisiti è qualcosa che va scongiurato.
Sui diritti delle donne non si fanno sconti! Questo dev’essere insegnato alle nuove generazioni, perché educando i più giovani noi plasmiamo il futuro: vediamo di farlo bello ed equo per tutti!
Certo non è facile spiegare questi grandi temi a dei bambini. Per il momento, quindi, mi limiterò a far sentire alle mie figlie la signora Banks che canta “suffragette a noi!” (se volete risentirlo anche voi potete cliccare qui), preparandomi a rispondere alle domande che sono certa arriveranno.
Consigli di lettura
Se l’articolo vi è piaciuto, leggete quello dedicato alla violenza sulle donne: l’arte come mezzo di denuncia.
Mi chiamo Cristina, sono nata di giovedì e sono un sagittario!
Mi piace chiacchierare, conoscere persone e sono a mio agio anche a una festa in cui non conosco nessuno. Cerco sempre il lato positivo delle cose e il mio motto è “c’è sempre una soluzione”!
Maniaca della programmazione, non posso vivere senza la mia agenda.
Ho studiato linguaggi dei media e da quasi 20 anni mi occupo di comunicazione per una grande azienda di telefonia.
Nel tempo libero mi piaceva leggere, viaggiare, guardare i film, andare a teatro. Ora invece ho due gemelle di 7 anni che, se da una parte assorbono quasi tutte le mie energie, dall’altra mi hanno donato un nuovo e divertente punto di vista.
Per tutti questi motivi vi parlerò di storie e leggende.