Rischia di essere giustiziato, dopo una condanna a morte da parte delle autorità di Teheran, che lo accusano di essere una spia, lo scienziato Ahmadreza Djalali, specializzato in medicina dei disastri.
Chi è Ahmadreza Djalali?
Ahmadreza Djalali, scienziato di origini iraniane, residente in Svezia, è medico e docente al Karolinska Institute di Stoccolma. Nel 2013, dopo aver completato il dottorato in Medicina dei disastri in Svezia, si è trasferito a Novara con un assegno di ricerca, dove ha lavorato su diversi progetti europei nell’ambito della preparazione ospedaliera ai disastri.
Circostanze dell’arresto e detenzione
Ahmadreza Djalali è stato arrestato nel 2016 dai servizi segreti iraniani dopo essere tornato nel Paese d’origine su invito delle Università di Teheran e Shiraz per partecipare a una serie di seminari.
Per oltre 10 giorni la famiglia non ha avuto informazioni sul luogo in cui il ricercatore fosse detenuto. È poi emerso che Djalali era stato portato in una località sconosciuta per una settimana prima di essere trasferito nella prigione di Evin, a Teheran, dove ha trascorso tre mesi in isolamento.
Lo stesso Djalali ha affermato che, durante i mesi trascorsi in isolamento, gli è stata negata la possibilità di parlare con un avvocato ed è stato sottoposto a torture e maltrattamenti di ogni genere.
Ha anche affermato di essere stato costretto, intimidito dalle minacce di morte rivolte tanto alla famiglia d’origine in Iran quanto alla moglie e ai figli che si trovano, invece, in Svezia, a registrare, davanti a una videocamera, delle dichiarazioni autoaccusatorie preparate ad hoc.
La lettera dell’interno del carcere
Nell’agosto del 2017 Djalali ha scritto una lettera dal carcere nella quale ha negato tutte le accuse mosse contro di lui e sostenuto che le autorità iraniane nel 2014 gli avessero chiesto di collaborare con il governo, utilizzando le sue relazioni accademiche con le istituzioni europee per raccogliere informazioni utili. Collaborazione declinata dallo scienziato.
Di cosa è accusato Djalali?
Stando a quanto riportato dalla procura di Teheran, Djalali avrebbe fornito ai servizi segreti di Israele informazioni su due responsabili del programma nucleare iraniano, Massoud Ali Mohammadi e Majid Shahriari, poi uccisi tra il 2010 e il 2012.
Per questo, il ricercatore è stato condannato a morte dalla Corte Rivoluzionaria di Teheran, dopo un processo che Amnesty International ha definito “gravemente iniquo”.
Secondo Amnesty International, infatti, la sentenza che ha riconosciuto Djalali colpevole di spionaggio a favore di un governo ostile trarrebbe fondamento esclusivamente sulle presunte confessioni registrate in carcere. Peraltro, in occasione della sentenza, il giudice convocò uno degli avvocati per leggere il provvedimento in tribunale, senza fornire una copia dello stesso.
Il 24 ottobre 2017, durante una conferenza stampa, il procuratore generale di Teheran, Abbas Ja’fari Dolat Abadi, ha affermato che il ricercatore forniva al Mossad informazioni sensibili su siti militari e nucleari iraniani in cambio di soldi e della residenza in Svezia.
Le preoccupazioni per la salute del ricercatore
La famiglia ha espresso forti preoccupazioni per la salute dello scienziato, che dal momento dell’arresto ha perso 24 kg. Infatti, diversi esami del sangue hanno evidenziato un numero basso di globuli bianchi e il medico che lo ha visitato in carcere all’inizio del 2019 ha manifestato la necessità che Djalali venga visitato da medici specializzati in ematologia e oncologia. Per ben due volte, però, le autorità carcerarie hanno annullato il suo trasferimento in ospedale.
Amnesty International ha denunciato i trattamenti crudeli, inumani e degradanti ai quali da quattro anni è sottoposto Djalali e che violano palesemente il diritto internazionale e i diritti umani.
L’esecuzione rinviata
Il 1° dicembre il ricercatore è stato trasferito dalla prigione di Evin a quella di Rajai Shahr, dove solitamente vengono eseguite le esecuzioni, per essere giustiziato il giorno seguente, come confermato dalla moglie, Vida Mehrannia, e dall’avvocato Haleh Mousavian.
Iran Human Rights, organizzazione con sede a Oslo che si batte contro la pena di morte in Iran, è stata la prima a rendere nota la notizia che l’esecuzione della sentenza di condanna a morte dello scienziato Ahmadreza Djalali è stata rinviata di qualche giorno e ha dichiarato:
Ahmadreza Djalali è a rischio di esecuzione imminente e solo una reazione forte e urgente da parte della comunità internazionale può salvargli la vita.
La mobilitazione internazionale
Sin dal momento in cui è stato reso noto l’arresto, numerose associazioni umanitarie si sono mobilitate per chiedere alle autorità iraniane la scarcerazione di Ahmadreza Djalali, ma anche tutta la comunità scientifica, inclusa l’Università del Piemonte Orientale di Novara, dove il ricercatore aveva lavorato.
La notizia è orribile: le autorità iraniane intendono eseguire la condanna a morte di Djalali entro una settimana. Nonostante i ripetuti appelli degli esperti delle Nazioni Unite per l’annullamento della condanna a morte e la scarcerazione, si va avanti verso questo irreversibile atto di ingiustizia. Chiediamo al governo iraniano di fermarsi e agli stati della comunità internazionale di intervenire attraverso le loro ambasciate a Teheran – Diana Eltahawy, vicedirettrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.
Il mese scorso 153 premi Nobel hanno firmato una lettera indirizzata al leader supremo dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, chiedendo il rilascio di Djalali.
Un gruppo di europarlamentari ha fatto appello all’Alto Rappresentante Josep Borrell per un intervento immediato dell’Unione Europea e dei suoi Stati Membri a favore di Ahmadreza Djalali.
Si è mobilitata anche l’Università di Padova, che fa parte di Scholars at Risk (SAR), un network di oltre 500 università distribuite in 40 Paesi che sostiene e incentiva il valore della libertà accademica:
La difesa dei diritti accademici e, prima ancora, umani di un ricercatore è la difesa dei diritti per tutti, nello spirito della Patavina libertas che dura da 800 anni. L’ampia mobilitazione delle coscienze suscitata da questo caso è un messaggio e un’opportunità di riflettere per il suo Paese, e non solo: un popolo di antica civiltà e patria di antica scienza non può sentirsi così minacciato da uno studioso da doverne fermare per sempre il pensiero – Alessandro Paccagnella, Prorettore alle relazioni internazionali dell’Università di Padova.
Avvocato e redattrice, nonché co-fondatrice di Inchiostro Virtuale.
Potete contattarmi inviando una mail a v.taddei@inchiostrovirtuale.it