“Sei andato via solo oggi e i posti in cui siamo stati insieme sono già pieni di bellezza e di significato.”
È pensabile poter cominciare a singhiozzare alla seconda pagina di un fumetto? La risposta, nel caso di Addio, Chunky Rice, è decisamente positiva. Tremendamente positiva. In modo devastante. Dolcemente devastante.
La dolcezza, quella più autentica, risiede nelle cose piccole ed essenziali, nel riuscire a meravigliarsi e intenerirsi davanti agli eventi cui la vita ci sottopone. Questo vale per incontri, scontri, disillusioni, amori e conoscenze che, giorno dopo giorno, rendono ognuno di noi un essere unico, irripetibile e con un bagaglio esperienziale di cui usufruire tutte le volte che se ne presenti l’occasione. Senza girarci troppo intorno, la dolcezza sta nella semplicità.
È anche vero, però, che non è semplice descrivere questa stessa dolcezza con la medesima semplicità, come riteneva Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane. Sei proposte per il nuovo Millennio. Troppo di frequente (e nella produzione letteraria ne abbiamo diversi esempi), tale intuizione ci viene restituita con un senso di pesantezza, narrando di delusioni ed emozioni che sconvolgono, inquietano e rendono estremamente introspettivo riscoprirne il sapore più genuino.
Non è il caso, questo, di Craig Thompson, fumettista statunitense autore dei più famosi Blankets (2003) e Habibi (2011), che con il suo Addio, Chunky Rice ci regala una pennellata di una dolcezza semplice e autentica, senza calcare la mano, senza fronzoli, sbattendoci, però, in faccia la nuda realtà di un amore forse ingenuo, forse puerile, ma proprio per questo motivo non meno emozionante.
Addio, Chunky Rice è un graphic novel semi-autobiografico del 1999, fumetto d’esordio di Thompson e vincitore degli Harvey Awards per la migliore opera prima, oltre ad aver ricevuto anche una nomination agli Ignatz Awards nella categoria degli artisti emergenti.
Il fumetto, originariamente pubblicato per la versione italiana dalla bolognese Black Velvet nel 2004, è stato ristampato da Rizzoli Lizard nel 2012, offrendo ai propri lettori una versione impreziosita di contenuti inediti, una postfazione dell’autore, le prime strisce con il personaggio di Chunky, diversi layout, studi dei personaggi, bozzetti e illustrazioni, tra cui quella scelta per la copertina della precedente edizione.
Scopriamone di più.
“Come puoi volerti lasciare alle spalle tutto questo?”
Cosa significa doversi separare e dire addio al proprio amico? Quanto è complicato scegliere le parole e il momento più adeguato per farlo? La parola addio è la più giusta, oppure è solo quella più arrendevole?
Questa è la sinossi del nostro delicatissimo Addio, Chunky Rice, storia in cui vengono impilati i primi mattoni che andranno, poi, a costituire quel gargantuesco e stupendo capolavoro che è Blankets.
Il fumetto ha come protagonisti Chunky Rice, un tartarughino con due occhioni di una tenerezza sconfinata, e Dandel, una dolce topolina. I due sono legati da una toccante amicizia (forse da altro… non si capisce bene, ma poco importa) e trascorrono molto tempo insieme. Amano accamparsi sulla spiaggia, giocare con la sabbia, bere tè, dormire nella tenda e contemplare l’immensità del mare.
Per Chunky arriverà il momento in cui dovrà fare i conti con il desiderio irrefrenabile di partire per un lungo viaggio alla scoperta di sé solcando il mare. Nonostante i numerosi dubbi, quella di Chunky è una pulsione incontenibile, talmente potente da persuaderlo a lasciarsi alle spalle il suo mondo di sempre, tanto sicuro quanto opprimente, e la relazione con Dandel per intraprendere un cammino ignoto e misterioso.
Anche se Chunky è una tartaruga e il suo guscio è la sua casa, sente che qualcosa manca, come un luogo che possa considerare ugualmente casa (lui le sussurrerà nel sonno: “Dandel. Sono una tartaruga. Casa mia è il mio guscio. E tuttavia ho la sensazione che la casa più vera che mai avrò è il punto in cui le nostre strade si sono unite e hanno corso insieme per un po’. Probabilmente sbaglio ad andarmene.”).
Lui ci prova a portarla con sé:
Dandel: “Sei come una piantina diventata troppo grande per il suo vaso… e che ha bisogno di essere trapiantata per continuare a crescere. Ho ragione?”
Chunky: “Sì. Ma io non voglio lasciarti. Voglio portarti con me. Vieni via con me!”
Dandel: “Non posso. La mia casa è qui. Anche tu dovresti trovare la tua.”
Dunque, se da un lato abbiamo Chunky, animale anfibio, che intende tornare dove probabilmente è nato, dall’altro abbiamo Dandel, animale terrestre, che non può lasciare il proprio habitat, pur volendo.
Grazie all’aiuto dello sgrammaticato, stravagante e sensibilissimo Solomon, vicino di casa, Chunky riuscirà a salire sulla barca del capitano Charles, il quale, con la scusa che non è possibile portare con sé troppi bagagli, farà abbandonare al nostro tartarughino quasi tutti i suoi averi.
Chunky si ritroverà, con lo stretto indispensabile costituito da bei ricordi, uno zainetto e una bussola, a camminare accanto a surreali e variopinti personaggi, tutti divisi tra infanzie tormentate ed esperienze devastanti. Come l’animaletto, tutti meditano sul significato dell’amicizia, tutti vivono momenti di solitudine, tra ricordi malinconici e scenette tra il bizzarro e il volgare.
Il viaggio sarà chiaramente costellato di accadimenti e sarà intervallato dalla struggente e romantica ostinazione da parte di Dandel che continua imperterrita a mandare messaggi nella bottiglia indirizzati a Chunky, i quali affida all’oceano smisurato che li separa.
Come andranno le cose per Chunky, Dandel e il resto della ciurma? Come finirà? Finirà?
“A pensarci bene, il mondo che mi circonda non è pieno di significato, è vuoto.”
Il tono fiabesco, il distacco dal mondo sicuro e ovattato costruito con fatica nell’arco di anni e le prove da superare durante il viaggio rimandano immediatamente a Vladimir Propp.
Le atmosfere di Addio, Chunky Rice, con questo villaggio rotondeggiante in riva al mare abitato da animali e umani, evocano la forma delle bolle di sapone che fuoriescono dai cilindri magici dei prestigiatori per mezzo della sola forza di un soffio e, simbolicamente, la fragilità di tutte quelle realtà in via di creazione/estinzione contenute in questi elementi sferici, mondi immaginari e transitori accomunabili, forse, soltanto alle scene delle sfere di cristallo natalizie.
E poi c’è il valore dell’acqua del mare… una figura immensa, distruttrice quanto purificatrice, e senza limiti capace di sminuire il restante facendo apparire ogni cosa sempre meno concreta, meno tangibile.
Thompson, fin dalla prima pagina, dà prova di essere un fine narratore che per interagire col lettore si serve non solo di una composizione dinamica delle tavole e di una regia attenta ed efficace, ma anche di un segno espressivo, soave e modulato, che insieme al gioco dei bianchi e dei neri dona tridimensionalità ai disegni e ai loro intenti.
È proprio il fondo nero delle tavole che contribuisce a creare un’atmosfera ovattata, a tratti malinconica, che impregna di sé l’intera storia, prendendo per mano il lettore e accompagnandolo nel mondo dell’amicizia profonda che muove la narrazione, nel passato come nel presente.
Il disegno, puro e privo di inutili orpelli, enfatizza l’importanza delle emozioni a scapito delle cose terrene e il ritmo del fumetto viene scandito con maestria da siparietti vivaci e leggeri alternati ad attimi di immensa riflessione introspettiva, che concedono al lettore la possibilità di scegliere se immedesimarsi o se prendere le distanze.
I piccoli gesti, i silenzi calibrati e i dialoghi commoventi, ma mai banali, perfezionano questo gioiello di poesia a fumetti, per una storia che sa essere anche ironica e spiritosa, oltre a colpire dritto al cuore, causandovi non pochi vuoti nella regione del miocardio.
La storia del distacco di Chunky e Dandel si abbellisce di sfumature tipiche della letteratura del ‘900, ora esistenziale, ora minimalista, dove lo stare on the road della Beat Generation diventa un on the boat, ma a misura di bambino, struggente e delicato, e la circolarità della narrazione autobiografica trova un esatto corrispettivo sonoro semplicemente in un’onomatopea. Un esempio è il clunk del rumore del sassolino lanciato sul vetro della finestra per richiamare l’attenzione dell’amico del cuore, stesso rumore di quello della bottiglia piena di speranze che si scontra contro la barca.
L’edizione di Addio, Chunky Rice proposta dalla Rizzoli Lizard è molto curata sia per quanto riguarda la confezione, sia per la traduzione e l’adattamento, in particolare circa il personalissimo linguaggio di Solomon. Interessante anche la scelta del lettering, armonioso e perfettamente in linea con i toni del fumetto.
“Che cos’è la vista mozzafiato dell’oceano senza di te? Niente.”
Anche se i temi trattati in Addio, Chunky Rice sono tra i più classici, Thompson è perfettamente in grado di dare alla separazione, alla perdita e alla capacità di ritrovarsi una nuova veste, moderna ma allo stesso tempo fiabesca, dove non mancano tratti grotteschi, per un risultato dolce e nostalgico.
È una fiaba moderna, a tratti un mito, che ha il sapore primordiale della vita vissuta, in cui l’acqua marina fa da collante tra il vecchio e il nuovo cosmo e la nave è il mezzo che ci sorregge e ci permette di attraversarlo.
Quelli che parlano e interagiscono nel fumetto sono cuori spezzati che devono andare via oppure che non possono andare via, un dato di fatto, questo, che fissa in modo glaciale la natura delle cose che non possono essere modificate. Alla fine, il nocciolo della questione sta tutto qui: alcune cose non si possono cambiare… o ce ne facciamo una ragione oppure ce ne facciamo una ragione.
Però è anche vero che in queste separazioni troviamo l’essenza della speranza, dell’amore autentico e dell’opportunismo di rovescio che Chunky dovrà fronteggiare, solo e senza aiuto, in un mare simbolicamente pronto a ospitare il suo futuro e tutte le persone che dovrà in qualche maniera trovarsi di fronte senza il suo amore.
Addio, Chunky Rice è una lettura sensibile, ricca di sfumature, e dice benissimo il Publishers Weekly quando la definisce “la risposta del fumetto” a Il Piccolo Principe.
È un percorso che parte dalla ricerca di sé e del nuovo, attraverso dolori e dispiaceri, fino al ritrovarsi grazie alla relazione con gli altri, regalandoci un’agrodolce riflessione sulla solitudine e sulla crescita, sull’abbandonare e sull’essere abbandonati.
Così come molti dei quesiti non trovano risposta nel fumetto, allo stesso modo molte delle domande poste al protagonista non restituiranno nient’altro che risposte vaghe e contorte, indice, forse, che ancora molto deve essere scoperto e capito dal tartarughino nel lungo viaggio della vita.
La mia parte sognatrice, sentimentale e nomade, come mi definirebbe qualcuno, vi consiglia di appropriarvi di questo fumetto, anche e soprattutto se – beati voi! – non avete esperienza di separazioni, addii, partenze, ritorni che non arrivano, arrivi che devono ripartire e quant’altro di più triste e disperato ci possa essere. Poi non dimentichiamoci degli occhioni di Chunky che devastano e inseguono ovunque.
La mia parte razionale, nerd e statica, invece, vi rende noto che anche quel dio sceso in terra di Alan Moore ha adorato il lavoro di Thompspon, commentandolo così: “Al contempo buffa e genuinamente toccante, Addio, Chunky Rice è un’opera coinvolgente e di eccellente armonia compositiva sull’amicizia, la solitudine e la perdita. Questo libro canta e balla. Altamente raccomandato.”
Che altro aspettate?
Hai presente quelle tipe total black, dai capelli rossi? Immaginami estasiata tra dischi, fumetti, film, serie TV, libri, violoncelli. Tra citazioni e suoni, ti farò compagnia, con una tavola di Magnus e una canzone di Fiumani.