La serie A di calcio ripropone ogni anno insulti ed esasperazioni. Sarebbe bello, invece, che si vivesse lo sport come fece la nazionale di Tahiti nel 2013.
Sta per ricominciare il campionato italiano di calcio, eppure io ripenso con nostalgia alla nazionale di Tahiti di qualche anno fa. Se vi state chiedendo come mai, ve lo spiego subito.
Nonostante i primi incontri ricomincino solo fra qualche settimana, ci sono già stati insulti e minacce verso il calciatore reo di essere passato alla squadra rivale. Con l’inizio delle partite non mancheranno le offese agli arbitri per qualsiasi fischio. Calciatori e allenatori, idolatrati fino alla giornata precedente, verranno fischiati alla prima sconfitta. Tifosi avversari visti come acerrimi nemici. Squadre che vivranno le partite come battaglie in guerra.
Nella Confederations Cup 2013, invece, la nazionale tahitiana diede una bella lezione di sport a tutti.
Non appena seppi che Tahiti (da non confondere con Haiti) avrebbe preso parte ad una delle maggiori manifestazioni calcistiche internazionali, capii di aver trovato la mia squadra del cuore per il torneo. In genere adoro tifare per gli sfavoriti, ma quella nazionale polinesiana arrivata lì per caso, era in assoluto la meno forte che avessi mai visto.
Le squadre forti e ricche è normale che vincano, e per loro sarebbe deludente anche il secondo posto. Ma dalle underdog nessuno si aspetta nulla, sono lì per perdere, ed è questo che rende magica ogni loro vittoria.
In questo caso, però, non sono state le vittorie a rendere speciale l’avventura di Tahiti nella Confederations Cup 2013. Se vi siete persi quell’edizione, la riviviamo assieme partendo dall’origine.
Campioni d’Oceania
Alla Confederations Cup prendono parte le squadre campioni del proprio continente, la squadra campione del mondo e la squadra che ospita i mondiali successivi. Ciò significa che, come questi ultimi, si disputa ogni quattro anni.
Il posto riservato ai campioni d’Oceania è sempre stato una faccenda a due: Australia o Nuova Zelanda, le uniche squadre formate da calciatori professionisti. Dal 2006 l’affare si semplificò ulteriormente. Gli australiani, infatti, per avere più chances di qualificarsi ai mondiali, decisero di “trasferirsi” nella federazione asiatica, lasciando ai “cugini” il dominio del continente.
I neozelandesi si qualificarono persino al mondiale 2010, pareggiando anche con l’Italia. Sembrava dunque logico, data la pochezza degli avversari, l’ennesimo trionfo continentale dei Kiwis.
Ma nelle semifinali del torneo, disputato nel 2012, avvenne l’impensabile: la Nuova Zelanda perse contro i dilettanti della Nuova Caledonia. Un’occasione ghiottissima per l’altra finalista, Tahiti, che invece si preparava al ruolo di vittima predestinata.
E la sfruttò: all’11° minuto, Steevy Chong Hue segnò il gol della vittoria. Per la prima volta la nazionale tahitiana divenne campione d’Oceania, e si assicurò un posto nella Coppa delle Confederazioni dell’anno successivo.
Chi erano i giocatori tahitiani?
Marama Vahirua era l’unico calciatore professionista della formazione, avendo disputato quasi tutta la carriera nella serie A francese. In seguito alla vittoria nella competizione continentale, di cui non faceva parte, venne convocato per la prima volta in nazionale. L’attaccante trentatreenne rappresentava dunque l’unico elemento di qualità all’interno della rosa.
Per quanto riguarda il resto della squadra, vi lascio alle parole dell’allenatore dell’epoca, Eddy Etaeta, che parlò dei suoi giocatori in un’intervista.
Abbiamo ragazzi che fanno diversi lavori, ma nove di loro sono disoccupati. Alcuni sono fattorini, uno è camionista, alcuni sono insegnanti di educazione fisica e altri sono contabili.
Abbiamo anche un giocatore – Teheivarii Ludivion – che si sveglia alle 4.30 del mattino e scala le montagne tutto il giorno. Lui è uno scalatore, ma si arrampica dappertutto. Si arrampica sugli alberi di cocco, su qualsiasi cosa, e poi viene ad allenarsi.
Insomma, una squadra di dilettanti allo sbaraglio, abituata a giocarsela con le altre squadrette dell’Oceania. Ora invece avrebbe dovuto sfidare, tra gli altri, i campioni d’Europa e del mondo nel leggendario stadio Maracanã.
La Confederations Cup
Come dicevo all’inizio, la presenza alla manifestazione della squadra polinesiana non è stata caratterizzata da alcuna vittoria. Anzi, confermò tutte le premesse della vigilia con goleade subite ad ogni partita. E allora perché la ricordo ancora con nostalgia?
Uno dei motivi che mi fece innamorare ancora di più di questa squadra, avvenne nella prima partita del girone contro i campioni d’Africa della Nigeria.
Il secondo tempo non è iniziato da molto, e i tahitiani sono già sotto 3-0. Tutto sommato, data la differenza di valori in campo, è un risultato più che dignitoso. Ma al 54° minuto avviene l’impensabile, ed è subito magia!
https://www.youtube.com/watch?v=rZ966iH-7i0
Tahiti ha segnato! Sugli sviluppi di un corner, Jonathan Tehau, di professione fattorino, salta più in alto dell’avversario e infila la palla in rete con un ottimo colpo di testa.
Le esultanze dei giocatori e dell’allenatore erano di pura gioia. Chi vedesse i soli festeggiamenti penserebbe ad una vittoria all’ultimo minuto, o addirittura alla vittoria di una coppa. E invece no, era solo il gol dell’1-3.
Una felicità che si contrappone alla tremenda umiliazione dei difensori nigeriani, impietriti davanti alla porta per lo smacco subito. La partita finì comunque 6-1.
La favola non si ripeté nelle sfide successive. Contro la Spagna persero con un rotondo 10-0. Con i campioni sudamericani dell’Uruguay arrivò invece un 8-0. In quest’ultima partita ci fu comunque la soddisfazione personale per il portiere Gilbert Meriel. Nonostante la dinamica piuttosto comica dell’intervento, riuscì infatti a parare un rigore. Anche in questo caso, nonostante il passivo di quattro reti, l’episodio venne accolto con entusiasmo.
https://www.youtube.com/watch?v=C5kJk7hgbQI
I polinesiani chiusero quindi il girone con 1 gol fatto e 24 subiti, in tre partite.
Come reagirono i tifosi, i giocatori e la federazione? Col sorriso, consapevoli di aver vissuto un sogno al di là del risultato.
Cosa dovremmo imparare dalla nazionale di Tahiti?
Innanzitutto, che le partite non sono una questione di vita o di morte. Qualche volte si vince e qualche volta si perde, non può sempre andar bene. Tahiti era felice solo per il fatto di essere lì, indipendentemente dal risultato.
Bisogna essere consapevoli dei propri limiti. Troppo spesso si vedono allenatori e giocatori di squadre mediocri alimentare false speranze parlando di scudetti e coppe varie. O viceversa sono i tifosi che pretendono che la propria squadra, costruita per non retrocedere, lotti per lo scudetto. Tahiti era ben consapevole del fatto che avrebbe preso goleade da chiunque, per cui nessuno si è lamentato né per le sconfitte né per la loro entità.
Bisogna saper gioire dei risultati positivi, anche se piccoli. Prestazioni positive non premiate dal risultato, pareggi contro squadre obiettivamente più forti o più in forma, sconfitte con uno o più gol della bandiera, sono tutte cose inconcepibili per i tifosi nostrani. Quello che importa loro è la vittoria ad ogni costo. Tahiti ha fatto un gol, quando era sotto di tre reti, e ha esultato come se avesse vinto la Coppa del Mondo.
In parole povere, bisogna vivere il calcio, e lo sport in generale, per quello che è: un’occasione di svago, di gioia e di spensieratezza. Noi non lo facciamo, Tahiti sì.
Immagine di copertina: © Getty Images in www.fifa.com
Classe 1986. All’università ho scoperto la lingua cinese ed è stato amore a prima vista, tanto che da allora ho continuato a studiarla da autodidatta.
Nel blog, oltre a parlarvi della cultura cinese, cercherò di rendervi più familiare una delle lingue più incomprensibili per antonomasia.
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