La recensione del film cult anni ’80
Il decennio degli anni ’80 ci ha regalato un considerevole numero di pellicole divenute ben presto grandi cult della cinematografia, a cui film e serie tv recenti strizzano sempre più spesso l’occhio, facendo breccia facilmente nel cuore dei nostalgici come me (adorate anche voi Stranger Things e il suo fascino citazionista, vero?). Ho amato e continuo ad amare follemente tantissimi titoli di quel periodo (confesso: alcuni molto, ma molto, discutibili); sono le storie che mi hanno conquistata da bambina, i primi veri approcci al concetto di cinema dopo l’obbligatoria fase Disney. Tra i vari film indimenticabili di questo decennio per me magico, ce n’è uno, promosso a pieni voti da critica e pubblico, che mette d’accordo veramente tutti: Stand by me – Ricordo di un’estate.
Film del 1986, diretto da Rob Reiner, tratto dal racconto The body, scritto dallo sfruttatissimo (cinematograficamente parlando) Stephen King; Stand by me è senza dubbio tra le più significative pellicole degli anni ’80 sull’adolescenza. La trama è un concentrato di ricordi d’infanzia che si intrecciano con i vari traumi piccoli e grandi subiti dai giovani protagonisti. Una storia malinconica e intensa.
La trama di Stand by me
Quattro dodicenni annoiati alla ricerca di emozioni e di attenzioni, situazioni familiari complesse, una calda estate nella profonda provincia americana sul finire degli anni ’50, una banda di giovani bulletti di paese e un cadavere da ritrovare. Sono questi gli elementi cardine di un’avventura estiva senza precedenti.
“Non avevo ancora 13 anni la prima volta che vidi un essere umano morto, fu nell’estate del 1959, molto tempo fa… ma solo misurando il tempo in termini di anni. Vivevo a Castle Rock, una piccola città dell’Oregon, c’erano solo 1281 abitanti, ma per me era il mondo intero”.
Con queste parole ha inizio il racconto di quella torbida estate dalla viva voce di Gordie Lachance, uno dei quattro protagonisti. Gordie, ora adulto, ha una famiglia e ha coronato il suo sogno di diventare uno scrittore; venuto a conoscenza della sfortunata morte dell’amico d’infanzia Chris Chambers (morto cercando di sedare una lite in un fast food), decide di raccontare la macabra avventura che li vide protagonisti da ragazzini, in un libro. Di pari passo alla stesura del libro la sua voce fuori campo guida lo spettatore alla scoperta di questa storia drammatica e avvincente.
Il sensibile e talentuoso creatore di storie Gordie (da bambino interpretato da Wil Wheaton), il carismatico capo del gruppo Chris (il rimpianto River Phoenix), il folle e occhialuto Teddy Duchamp (Corey Feldman, meraviglioso anche ne I Goonies) passano le loro giornate in una casetta malconcia posizionata su un albero (un grande classico americano che ho sempre invidiato!), fumano sigarette e giocano a carte passando il tempo a sfottersi a vicenda, quando vengono raggiunti dall’immancabile amico cicciottello e imbranato, Vern Tessio (Jerry O’Connell), quarto e ultimo componente di questo piccolo clan. Vern ha grandi notizie: è venuto a sapere, ascoltando una conversazione tra suo fratello maggiore e un componente della sua banda, che il corpo senza vita di un ragazzino giace abbandonato in una zona boschiva fuori città.
Il malcapitato non poteva che essere Ray Brower, un loro coetaneo di Castle Rock di cui si erano perse le tracce pochi giorni prima. I quattro, pieni di entusiasmo ed eccitati dall’idea di diventare degli eroi agli occhi dei loro concittadini, decidono di organizzarsi e partire alla ricerca del corpo. Tutti vivono situazioni molto difficili, e sperano con questo gesto di riscattarsi in qualche modo da condizioni familiari e sociali disastrate. Gordie viene costantemente ignorato dai genitori e si sente colpevole di essere sopravvissuto al fratello maggiore morto in un incidente stradale; Chris viene da una famiglia con una pessima reputazione e il fratello più grande è un noto delinquente; Teddy è stato gravemente maltrattato dal padre, veterano di guerra, con gravi problemi psicologici; e l’immaturo Vern è il classico ragazzino grassottello e scoordinato preso di mira un po’ da tutti, compresi i suoi stessi amici.
L’avventura ha inizio.
Chris, Gordie, Teddy e Vern più decisi che mai si mettono in viaggio percorrendo i binari, li aspettano molti ostacoli: circa cinquanta chilometri a piedi, il sole cocente, incomprensioni e litigi, cancelli da scavalcare, un leggendario cane feroce (poi non così feroce) da seminare, treni da evitare, riflessioni amare sulle loro giovani vite, pochi spicci con cui arrangiarsi e la banda dei bulli della città pronta a dargli filo da torcere. Il tutto condito da una perfetta ambientazione anni ’50, con una colonna sonora curata e avvolgente, grande complice, insieme alla voce fuori campo, dell’irresistibile atmosfera nostalgica sempre presente nel film. Dopo mille peripezie, il gruppo arriverà finalmente a trovare il cadavere, ma a causa di tutti gli avvenimenti, con uno stato d’animo completamente differente da quello iniziale, tanto da decidere di rinunciare a prendersi il merito del ritrovamento, optando per una chiamata anonima alla polizia.
Gordie dopo aver raccontato tutta la storia di quell’estate del ’59, svelerà anche il destino adulto dei suoi tre amici; un destino fittizio che in qualche modo sembra richiamare il reale futuro dei giovani attori, una beffarda coincidenza che ha alimentato in piccola parte il fascino del film. Chris, che da grande diviene avvocato in barba ai pregidizi sulla sua famiglia, come sappiamo sin dall’inizio della storia, muore tragicamente; Teddy cercherà invano di arruolarsi nell’esercito e dopo aver passato vari anni in carcere finirà per fare lavori saltuari e Vern avrà un lavoro stabile, una moglie e ben quattro figli.
Il libro di Lachence si conclude con questa frase, che suggella anche il finale del film:
“Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a dodici anni. Gesù, ma chi li ha?”
Una conclusione malinconica su cui, ahimè, non si può che essere d’accordo.
Considerazioni finali
Stand by me, il cui titolo prende il nome dall’omonima bellissima canzone di Ben E. King, non si limita a raccontare le vicende di quella estate, ma racconta il passaggio dei quattro protagonisti dal mondo infantile al mondo adulto. Sarà proprio il percorso intrapreso alla ricerca del corpo, a dare il via a una incredibile crescita interiore per tutti i personaggi.
Lo spettatore ha modo di rivivere attraverso la storia di Gordie, Chris, Teddy e Vern sensazioni che tutti nella propria esistenza hanno provato, come la paura di crescere, del mondo dei grandi, delle responsabilità imminenti e la nostalgia per i giorni spensierati dell’infanzia.
Se da bambina guardavo a Stand by me come a un film avventuroso ed emozionante, da adulta ne ho apprezzato e gustato a fondo tutte le sfumature più drammatiche, come è giusto che sia. Forse è proprio questo uno dei motivi per cui amo tanto i film degli anni ’80, avendoli visti per la prima volta nell’infanzia ti danno modo di riscoprirli e riapprezzarli, da grande, su piani completamente differenti.
E voi che ne pensate? Vi piacciono i film anni ’80? E soprattutto, avete già visto Stand by me?
Nata nel pieno dei fantastici anni ’80 tra gli argentei ulivi pugliesi. Vedo più film e serie tv che persone! Per questo ho scelto di parlarne su Inchiostro Virtuale.