La musica sveglia il tempo

“Questo non è un libro per musicisti o per non-musicisti: è piuttosto un libro per le menti curiose di scoprire le corrispondenze fra musica e vita, e la saggezza che diventa comprensibile all’orecchio pensante. […] In musica, come nella vita, possiamo parlare davvero solo delle nostre reazioni e delle nostre percezioni. E se provo a parlare della musica, è perché l’impossibile mi ha sempre attratto più del difficile”.
Baremboim su La musica sveglia il tempo

La musica sveglia il tempo, preludio

Ci sono testi che andrebbero resi obbligatori nelle scuole. Mi riferisco, per esempio, alle poesie di Fabrizio De André e alle opere di Dario Fo, ma anche a La musica sveglia il tempo, di Daniel Barenboim, pianista e direttore d’orchestra argentino-israeliano.

Si tratta di una lettura che vale davvero la pena di avere come punto di riferimento, in quanto molto stimolante sul piano umano, storico, morale, sociologico, politico e filosofico, oltre che musicale. La musica sveglia il tempo è un libro che invita al rispetto e va letto per comprendere come costruire la pace, partendo dal proprio vissuto.
Barenboim ci invita a un viaggio dove il filo conduttore è la musica con il suo potere unico di aprire tutte le porte e abbattere le frontiere geografiche e politiche.

Possiamo suddividere La musica sveglia il tempo in due parti: la prima, parla di come la cultura e la musica siano in grado di dare un senso alle nostre vite, e viceversa; nella seconda parte, abbiamo la prova delle suddette affermazioni che Barenboim dimostra con la fondazione della sua orchestra – la West-Eastern Divan Orchestra – formata da musicisti palestinesi, israeliani, giordani, egiziani e siriani.

Suono e pensiero

Che cos’è la musica? È probabilmente impossibile rispondere in modo univoco, poiché ogni definizione data sarà il risultato di una reazione soggettiva alla musica stessa.
Ferruccio Busoni la definisce “aria sonora”; Arthur Schopenhauer, in essa, vede un’idea del mondo; John Locke ne scrive nel suo Pensieri sull’educazione; Aristotele, quasi duemila anni prima di Locke, aveva un’altissima considerazione della musica, giudicandola un contributo prezioso all’educazione dei giovani (“la musica può esercitare un qualche influsso sul carattere dell’anima e, se può far questo, è chiaro che bisogna accostarle i giovani ed educarli a essa.”).

La musica si esprime attraverso il suono, ma il suono in sé non è ancora musica; è solo un mezzo tramite il quale ci viene trasmesso il messaggio della musica, ovvero il suo contenuto.

Il suono, di per sé, non è un fenomeno indipendente ma è in costante e imprescindibile relazione con il silenzio. In questo contesto, la prima nota non rappresenta l’inizio perché essa proviene dal silenzio che la precede. La relazione tra suono e silenzio è analoga a quella fra un oggetto e la forza di gravità: se un suono non è sostenuto, precipita nel silenzio. In pratica, il musicista che produce un suono lo porta in senso stretto nel mondo fisico e ogni singola nota ha un suo tempo di vita che non è infinito. La dissolvenza del suono in silenzio è la definizione stessa del suo limite spazio-temporale.

Ma l’ultimo suono non è il termine della musica. Se la prima nota è collegata al silenzio che la precede, allora l’ultima deve essere collegata al silenzio che la segue. Per questo è così sgradevole quando un pubblico entusiasta applaude prima che si sia spento l’ultimo suono, perché c’è un ultimo momento di espressività, che consiste nel rapporto tra la fine del suono e l’inizio del silenzio che lo segue.
Sotto questo aspetto, la musica è lo specchio della vita: entrambe cominciano dal nulla e finiscono nel nulla.

Il contenuto della musica si può articolare solo attraverso il suono e non può essere tradotto in parole perché, così facendo, avremmo solo delle reazioni soggettive. La musica, come il suo contenuto, ha a che fare con la condizione umana, poiché essa è scritta ed eseguita da esseri umani che esprimono i loro più intimi pensieri, sentimenti, impressioni e osservazioni.

Sergiu Celibidache disse che la musica non diventa qualcosa, bensì che qualcosa può diventare musica. Intendeva dire che la differenza fra suono e musica sta nel fatto che, quando si fa musica, tutti gli elementi vanno integrati in un insieme organico. Non esistono elementi indipendenti, e per comprendere questa interdipendenza, occorre capire il rapporto tra spazio e tempo (soggetto-materia-velocità).

Benché Friedrich Nietzsche sostenesse che “non ci sono fatti ma solo interpretazioni”, la musica non richiede interpretazioni. Richiede l’osservazione del testo, il controllo della sua realizzazione e la capacità del musicista di diventare tutt’uno con l’opera di un altro.
Niente esiste fuori dal tempo: nella musica, come nella vita, c’è un collegamento invisibile fra velocità e sostanza. Tutto deve essere costantemente interconnesso: fare musica significa integrare fra loro tutti gli elementi inerenti la musica stessa.

La sensibilità musicale potrebbe essere definita come un’inclinazione istintiva o intuitiva al suono come mezzo di espressione. Da sola è insufficiente, a meno che non sia unita al pensiero. In musica è impossibile provare emozioni senza comprensione intellettuale, così come è impossibile essere razionali senza le emozioni. Come nella vita!

La musica non è separata dal mondo: può aiutarci a dimenticarci di noi e al tempo stesso a capirci. Infatti, in un dialogo tra due persone, si aspetta che l’altro abbia finito di parlare prima di intervenire. In musica, due voci dialogano simultaneamente, ognuna si esprime nella forma più piena e al tempo stesso ascolta l’altra. Da ciò nasce la possibilità di imparare non la musica ma dalla musica.

Così come una sinfonia è sempre preceduta e seguita dal silenzio in maniera viscerale e inscindibile, anche la musica è un legato tra passato, presente e futuro. Trascende il suono e diventa vita, ma bisogna saperne cogliere gli aspetti più nascosti e carpirne gli effetti. Bisogna volerlo, prima di tutto. Attraverso di essa si possono leggere, come sopra uno spartito, le nostre paure, le nostre gioie e i nostri dubbi, l’amore, la vita e la morte della vita.

Dentro un notturno di Fryderyk F. Chopin, una sonata di Wolfgang A. Mozart o una sinfonia di Ludwig van Beethoven ci sono emozioni, pensieri, suoni costantemente interconnessi.
La musica può molto di più. La musica suggerisce soluzioni, intermediazioni, compromessi vivibili e sostenibili, laddove l’incapace e infruttuosa ostinazione dell’uomo non sa e non vuole arrivare.

Ascoltare e sentire

In principio era il suono e l’importanza del rapporto tra l’orecchio e gli altri organi del corpo.
L’orecchio percepisce le vibrazioni fisiche e le converte in segnali che, poi, nel cervello diventano sensazioni sonore; l’occhio coglie le forme della luce e le converte in segnali che nel cervello diventano immagini visive.

Nel cervello, il sistema uditivo occupa uno spazio più piccolo di quello usato dal sistema visivo. Tuttavia, Antonio Damasio sostiene che il sistema uditivo è fisicamente più vicino alle parti del cervello che regolano la vita (e questo spiegherebbe l’intelligenza dell’orecchio); in queste aree si sviluppano le sensazioni di dolore, piacere, gli impulsi e altre emozioni basilari. Le vibrazioni fisiche che si risolvono in sensazioni sonore sono, tra l’altro, una variazione del senso del tatto.
L’essere umano può chiudere gli occhi, se vuole, ma non le orecchie. Il suono penetra nel corpo umano e, quindi, è collegato a esso in maniera più diretta; in effetti, il suono ha una forza di penetrazione fisica sulla quale l’essere umano non ha alcun controllo.

L’orecchio ha, inoltre, non solo un collegamento essenziale con la memoria ma ci costringe anche a usare il pensiero. Il ricordo è, difatti, memoria accompagnata dal pensiero.
La musica si muove nel tempo – quindi in avanti – ma, parallelamente e contemporaneamente a tale progresso, l’orecchio ricorda anche ciò che ha già percepito – quindi torna indietro, o meglio, ha al contempo coscienza sia del presente che del passato. Non possiamo avere memoria di un suono alla prima nota, ma già alla seconda prendiamo coscienza del suo rapporto con la prima, perché l’orecchio la ricorda.

Richard Wagner comprese la fenomenologia del suono e l’importanza dell’udito al punto che progettò un teatro, il Festspielhaus di Bayreuth, dove l’orchestra è “sprofondata così in basso da sfuggire allo sguardo dello spettatore”. Egli intendeva rendere invisibile l’orchestra perché considerava “la costante visibilità del meccanismo per la produzione del tono una molestia offensiva”. In altre parole, Wagner voleva anche separare l’udito dalla vista, impedendo che l’occhio sapesse quando stava per cominciare la musica, data l’impossibilità di vedere l’orchestra o il direttore.

L’educazione musicale deve iniziare a un’età molto precoce per potersi sviluppare organicamente, esattamente come accade per la comprensione del linguaggio vocale. Dalla musica si può apprendere un’incredibile quantità di cose utili per la vita, eppure il nostro attuale sistema di istruzione trascura del tutto questo campo.

L’educazione all’ascolto è molto più importante di quello che possiamo immaginare, non solo per lo sviluppo dell’individuo, ma anche per il funzionamento della società e dei governi. Troppo spesso la musica è confinata nella funzione di intrattenimento quando questa potrebbe formare essere umani più adatti ad ascoltare e a comprendere punti di vista diversi fra loro, a valutare il proprio posto nella società e nella storia, a cogliere non le differenze fra loro ma le somiglianze fra tutti.

Libertà di pensiero e interpretazione

Barenboim si confronta con il pensiero sull’essenza della musica di diversi filosofi e musicisti, ma è nell’Etica di Baruch Spinoza che trova i fondamenti di una radicale libertà di pensiero, su cui basa la sua idea esistenziale ed estetica della musica. Libertà contro dogmatismi e fondamentalismi, ma anche contro le infinite opportunità che la moderna civiltà occidentale mette a disposizione dell’individuo, impossibilitato a far fronte alle proprie idee e ai propri atti. E la musica, ragione di vita, è in questa dimensione etica, oltre che estetica. Il suo linguaggio universale e metafisico esige equilibrio fra intelletto ed emozione e sempre un atteggiamento appassionato.

Il fatto che l’interprete di un pezzo musicale debba avere una strategia, “una personale realizzazione fisica dello spartito”, in cui la spontaneità e la flessibilità non equivalgano appunto a mancanza di pensiero strategico (ma ciò si può applicare anche al lavoro del compositore), è come l’attività del politico, che deve anch’egli ricorrere alla strategia per modificare lo stato delle cose, senza rinunciare a spontaneità e flessibilità. Inoltre, come in un’orchestra o in un gruppo musicale, ognuno deve esprimersi ma anche ascoltare, così dovrebbe succedere tra individui, popoli e nazioni (sembra banale ma è tremendamente difficile).

Il compito di un musicista che esegue un brano non è quello di esprimere o interpretare la musica in quanto tale, ma di puntare a diventarne parte. Ciò che è essenziale in un’esecuzione musicale, e che è difficile raggiungere nella vita, è la capacità di ripartire sempre da zero. Ogni volta che si esegue un brano, è necessario farlo con la freschezza del primo incontro e l’intensità dell’ultimo. È difficile avere il coraggio e la forza di partire dal nulla, analizzando le esperienze fatte nel passato per poi ripensare tutto daccapo, in maniera diversa. Così come è altrettanto difficile infondere a una nuova esperienza la facilità, la naturalezza di ciò che ci è già familiare.

L’orchestra della speranza

La capacità della musica di unire i popoli è l’altro pilastro del pensiero di Barenboim, che dedica la seconda parte di La musica sveglia il tempo proprio alla narrazione della nascita della sua West-Eastern Divan Orchestra. Creata insieme a Edward Saïd nel 1999, questa orchestra compie il miracolo di far suonare insieme musicisti israeliani, palestinesi e di altri paesi arabi, di far eseguire musiche di Richard Wagner ad un festival a Gerusalemme (per dei musicisti israeliani non è cosa da poco), di portare musicisti israeliani a Ramallah in Palestina, di abbattere secoli di conflitti grazie alla musica.
Daniel Barenboim, ambasciatore di pace per le Nazioni Unite, ci consegna un’opera che non si attesta sulla mera teoria, sullo scandagliare, ad esempio, il complesso pensiero filosofico di Spinoza, l’architettura delle forme e dell’idea musicale di Johann S. Bach, ma rende piuttosto tangibile come quel pensiero sia attuabile in qualcosa di reale.

La nascita di questa orchestra è una conferma che la cultura incoraggia i contatti fra le persone e le avvicina, promuovendone i processi di inclusione e di reciproco, vero, rispetto. Di fronte ai venti di guerra di questi giorni, tutti dovremmo ripensare a questo aspetto. Il rispetto e la pace contrapposti all’intolleranza ed alle guerre, in tutte le parti del mondo.

Si intrecciano le storie individuali di ragazzi che, attraverso la musica, superano i conflitti con i vicini di casa e si aprono al mondo. Il mondo non può vivere e basarsi sullo scontro di civiltà: le civiltà sono tali se vivono e convivono in armonia fra di loro.

Attraverso la musica, è stato possibile far coesistere senza problemi culture differenti ed è stata la dimostrazione di come, con la cultura e con l’educazione, sia possibile unire più popoli.
Barenboim alimenta un sogno, la soluzione non militare al conflitto tra arabi ed ebrei. Una soluzione ispirata e guidata dalla musica, dalle sue armonie, dai suoi ritmi e dalle sue melodie che – pura politica – sanno guardare al passato senza rallentare il passo verso un futuro condivisibile.

Se ti va di approfondire l’esperienza di Barenboim e della sua orchestra, guarda questo video.


Compra La musica sveglia il tempo.
Rilassati, medita, riparti da zero e sorridi di più.

Scritto da:

Annamaria Marraffa

Hai presente quelle tipe total black, dai capelli rossi? Immaginami estasiata tra dischi, fumetti, film, serie TV, libri, violoncelli. Tra citazioni e suoni, ti farò compagnia, con una tavola di Magnus e una canzone di Fiumani.