Il dittatore nord-coreano Kim Jong-un e il presidente americano Donald Trump preoccupano la scena internazionale a colpi di comunicati e dichiarazioni pericolose, corredati da dimostrazioni di forza, vere o presunte; ma si tratta di una telenovela destinata a concludersi con un nulla di fatto?
Kim Jong-un, terzo della dinastia di dittatori Kim, è un soggetto molto sui generis e lo si era capito già da quando salì al potere nel 2011 alla morte del padre. Divenuto leader supremo a soli 27 anni l’attenzione mediatica sulla sua scellerata quanto bizzarra condotta non si è mai spenta, a cominciare da quell’annuncio, nel gennaio 2016, di un avvenuto test nucleare con una bomba all’idrogeno. La Corea del Nord è di fatto un paese isolato dal resto del mondo, in cui la vita e le libertà dei cittadini vengono interamente controllate dal regime, così come controllate dal regime sono anche le notizie che vengono fatte circolare all’esterno, il che le rende tutte difficilmente verificabili.
Tra le atrocità più bizzarre che il giovane dittatore si è lasciato alle spalle, almeno quelle più clamorose che si conoscono, vanno sicuramente ricordate l’uccisione dello zio, fatto sbranare da 120 cani insieme a 5 funzionari per tradimento, cosa che ha poi portato la zia in uno stato depressivo e sulla strada dell’alcolismo, l’uccisione dell’ex fidanzata e di altre 11 persone accusate di pornografia, l’architetto giustiziato perché l’aeroporto di Pyongyang non era di suo gradimento e il ministro fucilato con armi pesanti, tra cui un cannone aereo, per essersi addormentato durante una sessione del Parlamento presieduta proprio dal leader supremo.
Il più alto esempio di apertura mentale e autoironia del giovane Kim Jong-un è però da ricondurre al film “The interview” (qui potete trovare il trailer), una esilarante commedia del 2014, prodotta da Evan Goldberg e Seth Rogen, protagonista insieme a James Franco, che racconta un complotto della CIA per intervistare ed uccidere il dittatore misterioso e spietato della Corea del Nord, Kim Jong-un appunto. Il film avrebbe dovuto essere distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi il 25 Dicembre del 2014, ma, a causa della trashissima trama del film e dell’immagine del leader supremo che da questa scaturisce, nel Giugno 2014 la Corea del Nord minacciò ritorsioni contro gli Stati Uniti se non avessero impedito la distribuzione del film, considerato come un “atto di guerra”. Questo sarebbe stato anche il motivo alla base dell’attacco informatico subito dalla Sony nel successivo mese di Novembre, a seguito del quale, insieme a pesanti minacce terroristiche, l’uscita del film venne limitata a poche sale indipendenti e sulle piattaforme online.
Tornando seri, perché il mondo sembra temerlo così tanto?
Non è molto difficile capirlo in realtà. Se il leader di un Paese non si preoccupa di lasciare la maggior parte della popolazione nell’assoluta povertà, non si cura delle pesanti sanzioni che gravano sul suo Paese, giustifica i suoi crimini in nome di una visione, non è difficile immaginare che non avrà problemi a sacrificare quella stessa popolazione dando il via ad una guerra.
Ed infatti la telenovela che nell’ultimo mese ha tenuto tutti con il fiato sospeso riguarda proprio la possibilità di una terza guerra mondiale, sostenuta dai continui botta e risposta tra Pyongyang e Washington.
Dall’altra parte del Pacifico sono da poco trascorsi i primi 100 giorni di Trump al 1600 di Pennsylvania Avenue, festeggiati però a Harrisburg, in Pennsylvania, invece che alla Casa Bianca all’annuale cena con i corrispondenti per lanciare un forte segnale contro i giornalisti fabbricatori di fake news. Trump ha sensazionalmente scoperto che fare il presidente è più difficile di quello che credeva (no, non è una battuta, l’ha detto davvero). Tra le questioni più rilevanti di cui si è dovuto occupare c’è sicuramente quella della Corea del Nord, diventata una questione di sicurezza nazionale e di politica estera molto urgente. Definire la strategia internazionale del tycoon ambigua sembrerebbe un eufemismo, e le varie puntate di questa telenovela ne sono un esempio palese. Trump è passato infatti dal fare clamorosi proclami seguiti da tweet ad effetto che lasciavano presagire una guerra imminente ad annunciare che avrebbe voluto incontrare il buon Kim Jong-un.
Andiamo per gradi. L’amministrazione Trump ha annunciato l’invio di una portaerei al largo della penisola coreana dopo che la Corea del Nord ha continuato a testare i suoi armamenti missilistici. Ma subito è arrivata la risposta dei nordcoreani.
Una guerra nucleare potrebbe scoppiare da un momento all’altro. […] Se gli USA osano scegliere l’opzione militare la Repubblica Democratica di Corea è pronta a reagire a qualunque tipo di guerra voluta dagli Stati Uniti
così ha detto l’ambasciatore di Pyongyang all’ONU, Kim In Ryog. Ed ha poi aggiunto il Ministro degli Esteri Han Song-Ryol:
Condurremo altri test missilistici su base settimanale, mensile, annuale, combatteremo una guerra totale se gli USA saranno così sconsiderati da usare mezzi militari.
Non si è fatta attendere la replica del vicepresidente Usa, Mike Pence, il quale avvertiva che la pazienza degli Stati Uniti è finita e tutte le opzioni per contrastare il regime di Pyongyang sono sul tavolo.
Sono così partite una serie di dimostrazioni di forza da entrambe le parti: da una parte Trump ha sganciato la “madre di tutte le bombe” sull’Afghanistan e Kim Jon-un ha risposto con una imponente parata volta a mostrare che la Corea del Nord non era affatto intimidita. Praticamente una gara a chi fa pipì più lontano. Peccato che non stiamo parlando di due ragazzini ma di due (sventuratamente) leader mondiali.
Trump ha seguitato facendo leva sulla Cina per convincere la Corea del Nord ad abbandonare il programma missilistico e nucleare, ma il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, manifestando il timore di uno scontro che potrebbe esplodere da un momento all’altro, ha sottolineato che il dialogo è l’unica via. Anche dal Cremlino si sono mostrati preoccupati per le crescenti tensioni e hanno invitato alla moderazione, così come il primo ministro giapponese Shinzo Abe che ha chiesto una soluzione pacifica della controversia.
Poi all’improvviso, arrivano le shoccanti dichiarazioni di Trump, il quale in un’intervista a “Bloomberg News”, ha spiazzato tutti dicendo che sarebbe disposto ad incontrare il leader nord-coreano.
Se per me fosse appropriato incontrarlo, lo farei assolutamente, ne sarei onorato. La maggior parte dei politici non lo direbbe mai, ma io lo dico.
Continuando poi a sostenere che, nonostante la giovane età, lo reputa una persona razionale.
Ma in effetti il giovane Kim Jong-un e il non-più-giovane Donald Trump a ben vedere hanno molte cose in comune: dai parrucchieri dal gusto vagamente discutibile agli evidenti problemi di sovrappeso (che sono costati la frattura di entrambe le caviglie al primo e le pasticche per il colesterolo al secondo), dalla megalomania alle manie di persecuzione.
Insomma, potrebbero aver fatto tanto rumore per nulla. Speriamo.
Al di là della leggerezza e irriverenza con cui si è trattato qui l’argomento, la situazione di politica estera che viviamo giornalmente è tutt’altro che divertente. Considerato che non possiamo sperare di svegliarci un giorno e scoprire che siamo tutti delle comparse in missione per la CIA insieme a James Franco, io consiglierei di tenere gli occhi bene aperti e a coloro che “non può andare peggio di così”, io rispondo che può sempre andare peggio… Per esempio, i francesi domenica potrebbero eleggere Marine Le Pen.
Avvocato e redattrice, nonché co-fondatrice di Inchiostro Virtuale.
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