La Memoria storica è un bisogno e un dovere per prendere coscienza, capire e quindi non commettere gli stessi errori
Il tema del mese scelto dalla redazione di Inchiostro Virtuale (e iniziato lunedì dalla mia collega Annalisa con il cimitero ebraico di Praga) aveva lo scopo di dare a ogni autore la possibilità di trattare un tema così importante e delicato in modo personale, particolare e da angolazioni molto differenti. Visto che quella di oggi è considerata una data-simbolo a livello internazionale, vorrei portare la vostra attenzione sull’importanza della memoria storica e su cosa dovrebbe rappresentare per tutti noi.
Il 27 gennaio è la Giornata della Memoria
Il 27 gennaio è la data scelta nel 2005 dall’Assemblea delle Nazioni Unite per celebrare la Giornata della Memoria, in occasione del 60° anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti. Si scelse proprio il 27 gennaio perché in quel giorno, nel 1945, le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, che per la prima volta mise il mondo di fronte all’orrore del genocidio nazista, quella che viene riconosciuta come la più grande tragedia dei nostri tempi: infatti, nonostante i sovietici avessero già liberato diversi campi di sterminio lungo il cammino verso la Germania, non avevano ancora compreso il disegno e la cruda realtà che si celava dietro quelli di concentramento.
La Giornata della Memoria in Italia
In Italia, la Giornata della Memoria è stata formalmente istituita alcuni anni prima della risoluzione delle Nazioni Unite. Inizialmente erano state avanzate due opzioni: il 16 ottobre, data del rastrellamento del ghetto di Roma, e il 5 Maggio, data della liberazione di Mauthausen, ma si scelse il 27 gennaio per la portata evocativa che la liberazione del campo di Auschwitz rappresentava in tutta Europa.
Gli articoli della legge 211/2000 spiegano l’importanza dell’istituzione della Giornata della memoria:
- “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”;
- “In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere”.
Gli obiettivi della Giornata della Memoria
Serve davvero un giorno per commemorare le 15 milioni di vittime dell’Olocausto? La domanda potrà sembrarvi retorica, ma ahimè non lo è affatto. Questa giornata serve per interrogarsi sul perché della Shoah, del genocidio, del disegno di cancellare un intero popolo, su ciò che poteva essere fatto ma non lo è stato e su quale sia la lezione che tutti noi dovremmo imparare e tramandare.
Conoscere per capire. Capire per prendere coscienza. Prendere coscienza per fare del passato un monito affinché queste cose non accadano più.
È un obbligo per ogni uomo ricordare la responsabilità della sua Nazione, della sua indifferenza di fronte a uno dei crimini più feroci della storia dell’umanità. Gli ebrei non avevano uno Stato di appartenenza che potesse proteggerli, ma ogni Stato che avrebbe potuto fare qualcosa invece restò a guardare.
La giornata della Memoria, oggi più che mai, in un momento di grande fermento internazionale, serve soprattutto per ricordare che esistono tante forme di discriminazione verso chi ci sembra diverso da noi, di cui ci rendiamo autori, spesso anche senza rendercene conto, per opportunismo, per comodità, per paura o per futili luoghi comuni. Quegli stessi luoghi comuni che ritroviamo alla base dei Protocolli dei Savi di Sion (*), utilizzati dalla propaganda nazista per giustificare la persecuzione degli ebrei nonostante fossero stati riconosciuti come falso documentale creato per diffondere il disprezzo proprio verso gli ebrei, come provano gli articoli pubblicati dal Times nel 1921, e che inspiegabilmente continuano a essere utilizzati, in particolare in ambienti islamici, per inculcare l’odio antisemita.
Ogni volta che ci rendiamo protagonisti o complici di una discriminazione lasciando vincere l’indifferenza, non siamo migliori dei nostri predecessori. La discriminazione, così come la generalizzazione, disumanizza coloro che ne sono vittime.
La paura del diverso e l’antisemitismo sono germi facili da seminare e soprattutto difficili da estirpare: se ci guardiamo intorno, sempre nel particolare momento che stiamo vivendo, possiamo rendercene conto. Lungi da me il paragonare la situazione storica e il disegno scientificamente studiato per perpetrare l’Olocausto con l’attuale crisi che viviamo a livello internazionale su diversi fronti, ma attenzione: perché la degenerazione del punto di partenza non è da sottovalutare.
Certo, direte voi, ora possiamo contare sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo per proteggerci da simili derive, ma è sufficiente? La crescente attenzione che in ogni parte del mondo è rivolta ai diritti umani è dovuta soprattutto allo loro sistematica violazione. Questi diritti devono essere garantiti e difesi. Difesi da cosa? Da ogni forma di potere.
L’opinione pubblica reagisce emotivamente di fronte a fatti di cui è spettatrice: il sentimento popolare, infatti, è volubile e influenzabile dalle circostanze. Per fare un esempio che ci sembra ormai lontano ma che può far riflettere, la pena di morte in Italia fu abolita nel 1928 perché inconciliabile con il sentimento nazionale, eppure pochi anni dopo il fascismo la restaurò senza troppo turbamento (o, perlomeno, nell’indifferenza dell’opinione pubblica).
L’intera storia del progresso umano è stata una serie di transizioni attraverso cui un costume o un’istituzione dopo l’altra sono passate, dall’essere presunte necessarie all’esistenza sociale, nel rango di ingiustizie universalmente condannate (John Stuart Mill).
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la politica del genocidio non è iniziata né terminata con la Seconda guerra mondiale.
Partendo dal noto genocidio dei Nativi americani, passando dal meno noto genocidio degli Aborigeni tasmaniani ad opera degli inglesi, considerato il primo genocidio moderno, fino ad arrivare a quelli più recenti, dagli armeni alle vittime dei gulag, dalle pulizie etniche in Jugoslavia e Ruanda ai curdi perseguitati da Hussein (a tal riguardo, ecco quattro libri per conoscere la questione curda). Questi sono solo alcuni esempi che dimostrano come l’assenza di democrazia, la deriva nazionalista e razziale possano facilmente riportare a galla orrori ritenuti il retaggio di un remoto passato. Riporto un esempio forse comico, forse preoccupante, di quanto sia facile non ricordare anche cose che diamo per assodate.
Qualche anno fa, nella trasmissione L’eredità, a quattro concorrenti venne posto il quesito:
Quando è stato nominato cancelliere Hitler?
Le opzioni erano: 1933, 1948, 1964, 1979.
Dovrebbe essere noto a chiunque, anche da basilari nozioni storiche, che la Seconda guerra mondiale finì nel 1945 e Hitler fu ucciso al termine della stessa, quindi la risposta ovvia era 1933. Invece, a quanto pare, l’ovvio non era così ovvio, visto che i concorrenti risposero rispettivamente 1948, 1964, 1979, fino ad arrivare all’ultima concorrente, che naturalmente diede la risposta esatta; ma, considerato che era anche l’ultima opzione rimasta, sorge spontaneo chiedersi se la sapesse davvero.
O ancora – e non per accanimento – sempre nella stessa trasmissione, un altro concorrente alla domanda “Giorno di festa per gli ebrei?” rispose “Shoah”. Incredibile? E invece no. Quello su cui sto cercando di focalizzare la vostra attenzione, al di là del lato tragicomico, grottesco e imbarazzante della situazione, è porsi la domanda: possibile che concorrenti relativamente giovani non sapessero davvero cose così importanti?
Perché ricordare, dunque?
Perché se è successo una volta può succedere ancora, perché la storia è ciclica, si ripete sempre uguale. Non possiamo rischiare di perdere la memoria dell’Olocausto, soprattutto quando i sopravvissuti ormai non ci saranno più. La nostra generazione e soprattutto quelle future rischiano, sottovalutandone l’importanza, di perdere questa memoria.
“Historia magistra vitae“, insegna Cicerone. In questo caso, la memoria storica deve essere un mezzo di continuità per avere piena coscienza di ciò che è accaduto.
Nonostante il desiderio di dimenticare ciò che è stato, è necessario ricordare: il pesante fardello del passato non deve essere vissuto come una trappola per il presente, ma anzi deve servire al presente; la memoria storica deve essere utilizzata come un “sapere” per ripercorrere il passato. Ecco la vera importanza della memoria: il motivo che porta l’uomo a interrogarsi e mettere in discussione il suo passato, cercando da questo di trarre la giusta via per un agire futuro.
La Giornata della Memoria rappresenta la nostra consapevolezza di avere un patrimonio storico da tramandare, come un’ancora di salvezza, un punto fermo da cui ripartire in caso di bisogno.
* In merito alla nascita dei Protocolli vi consiglio il libro di Umberto Eco: Il cimitero di Praga.
Avvocato e redattrice, nonché co-fondatrice di Inchiostro Virtuale.
Potete contattarmi inviando una mail a v.taddei@inchiostrovirtuale.it