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Lasciamo spazio a Eco Internazionale, spostando l’attenzione verso il Medio Oriente per scoprire la storia di Ahed Tamimi: giovane attivista e nuovo simbolo della resistenza palestinese. Diamo dunque la parola a Sarra Jouini che, attraverso la vicenda giudiziaria di questa giovane “ribelle”, racconta dei sempre più precari equilibri mediorientali e della schiera di minorenni palestinesi che osano sfidare la repressione delle forze occupanti. Buona lettura!
Un articolo di Sarra Jouini
Ahed Tamimi, giovane attivista e nuovo simbolo della resistenza palestinese, dal 19 dicembre è rinchiusa nella prigione israeliana di Hasharon.
La sua vicenda giudiziaria prende forma dopo l’annuncio da parte del presidente americano, Donald Trump, di volere trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo così la capitale contesa. Questa decisione, che porta i caratteri di una politica poco ponderata e che mina i fragili equilibri mediorientali, provocherà una massiccia mobilitazione internazionale. Infatti è proprio in questo contesto infuocato che si inserisce la storia di Ahed, di soli 16 anni, e dell’intera famiglia Tamimi. Durante una manifestazione a Nabi Saleh, un villaggio a nord di Ramallah, organizzata per contestare la scelta di Trump, il cugino della giovane attivista Mohammed Tamimi, viene colpito da una pallottola di gomma sparata da soldati israeliani e ferito gravemente al volto.
A Nabi Saleh non sono nuove le tensioni tra gli abitanti e l’esercito israeliano; ogni venerdì, infatti, viene organizzata una protesta contro la confisca della sorgente d’acqua da parte dei coloni vicini, una sorgente vitale per una comunità che dipende dall’agricoltura. Sia gli abitanti che gli attivisti si riuniscono al centro del villaggio e si dirigono in marcia, muniti di bandiere e striscioni, e proseguono verso la collina dove è collocata la fonte “Ein al-Qawa”, da tempo controllata dagli Halamish.
Poco dopo aver colpito Mohammed Tamimi, due soldati israeliani si presentano armati nell’abitazione di Ahed, che ancora scossa per l’attacco contro suo cugino, tenta di opporsi alla loro presenza e cerca di scacciarli via dalla sua proprietà con schiaffi e spintoni. Il video che riprende questa scena viene filmato da Nariman Tamimi, madre della ragazza, e mostra i soldati muniti di indumenti protettivi; da ciò si deduce che la giovane non poteva rappresentare una reale minaccia.
A seguito della diffusione del video, che diventa ben presto virale, nella notte del 19 dicembre la giovane viene prelevata dalle forze occupanti, ammanettata e arrestata per aggressione e incitamento. Il tribunale militare israeliano le ha rifiutato la libertà condizionale e ha anche dichiarato che non solo resterà in carcere per tutta la durata del processo, ma sarà chiamata anche a rispondere a diversi capi d’accusa tra cui «assalto e lancio di pietre». Rischia sino a 14 anni di carcere.
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