Cronaca di googolate a caso, ai tempi del Coronavirus.
Quando ci si ritrova a giocare a tempo pieno con la nipotina, complice la chiusura temporanea del nido milanese, rimane poco tempo per divagare, così si finisce con il chiedere a Google le cose più strane. Esempio: è vero che i produttori applicano entusiasticamente la shrinkflation, riducendo la quantità di merce senza ridurre il prezzo in proporzione? Succede per caso anche alla carta igienica, venduta ormai a strappi? Ok, ne sono pienamente consapevole, non sono questioni cruciali, ma ormai è fatta.
Quando è nato il termine shrinkflation
La nascita del termine shrinkflation è abbastanza recente ed è attribuita all’analista politico statunitense Pippa Malmgren, secondo quanto riporta il dizionario Merriam-Webster. È infatti intorno al 2015 che il fenomeno si guadagna un proprio nome, grazie a un discreto numero di casi che appaiono sul mercato.
Un esempio famoso del 2016 è riportato sul sito della BBC. A causa dell’aumento dei prezzi degli ingredienti sul mercato britannico, il Toblerone ridusse da 15 a 11 i picchi di cioccolato, ridisegnandone il profilo e distanziandoli. In questo modo il peso della confezione passò da 400 a 360 gr, senza che né il prezzo né le dimensioni esterne della confezione venissero modificate.
Operazione formalmente trasparente (la confezione riporta correttamente il nuovo peso), ma quanti leggono i dettagli?
Lo stesso articolo del sito della BBC ricorda un precedente illustre, con la barretta di Mars che nel 2013 passò da 58 a 51 gr, ancora una volta senza che il prezzo seguisse lo shrinking del prodotto.
E da noi? Nel 2018 un articolo della Stampa annuncia che “le bottigliette di una nota marca, la regina delle bibite frizzanti” stavano per passare da 50 a 45 cl. Anche stavolta senza cambiare prezzo.
Se, come osserva la Stampa, nei sei anni tra il 2012 e il momento della scrittura dell’articolo erano stati oltre 1.400 i prodotti ad adottare questa strategia, in realtà la pratica era già allora consolidata.
Ho un ricordo dell’adolescenza, ad esempio, in cui i fiammiferi da cucina in una scatola non erano 80, come oggi, ma 100. Purtroppo non ho trovato riscontro sul web a questo ricordo.
Le vie del prodotto sono infinite
Oltre a migliorare i profitti sulla singola confezione, si può anche spingere a un (inconsapevole) maggior consumo del prodotto.
Ecco un esempio, che non so quanto in realtà sia stato effettivamente messo in pratica. Quando stendete il dentifricio sullo spazzolino è probabile che vi regoliate sulla lunghezza del vermetto, più che sulla quantità di pasta stesa.
Bene, un incremento del 10% del diametro del foro di uscita passerebbe probabilmente inosservato. A quanta pasta dentifricia in più corrisponderebbe? e a quanti utilizzi in meno porterebbe? Proviamo a fare qualche conto.
Se il peso della pasta del tubetto è pari a P grammi, e ad ogni singolo utilizzo ne consumiamo V grammi, il numero di utilizzi sarà pari a N = P / V.
Portando il volume del singolo utilizzo a V1, il numero di utilizzi diverrà N1 = P / V1. Da cui segue che N1 / N = V / V1.
Ora, ad ogni utilizzo si estrae un cilindretto di pasta, di volume: V = π L D2 / 2, dove L è la lunghezza del cilindretto, D il diametro della base. Se si porta il diametro della base al valore D1, il volume varia in accordo e diventa V1.
Si vede facilmente che V / V1 = D2 / D12.
Quindi, in conclusione: N1 / N = D2 / D12.
Un esempio pratico
Se il diametro del foro di uscita del tubetto di dentifricio fosse di 0,5 cm, con un incremento del 10% diverrebbe di 0,55 cm, quindi con un incremento di 0,05 cm, cioè di mezzo millimetro. Ora:
N1 / N = D2 / D12 = 0,52 / 0,552 = 0,25 / 0,3025 = 0,826… = 1 – 17,4 %.
L’aumento di mezzo millimetro del diametro porterebbe a ridurre del 17% la durata del tubetto.
Il caso più recente di shrinkflation, le bollette telefoniche
Tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 i principali operatori telefonici del paese, tutti insieme appassionatamente, portarono le fatturazione dei servizi telefonici da una cadenza mensile a un passo di 4 settimane, cioè di 28 giorni. E senza adeguare in modo proporzionale i costi fissi della bolletta. La storia esemplare del braccio di ferro tra compagnie telefoniche da un lato e consumatori dall’altro è ben riportata sul sito Consumatori.it.
E la carta igienica?
Ero partito da lì, dalla carta igienica. Bene, in un momento di posata riflessione mi sono ritrovato uno strappo in mano, e mi è venuto da chiedermi se anche da lì fosse passata la shrinkflation. Ecco, la scena era più o meno questa:
Doppio decimetro alla mano, il campione di strappo estratto dalla scorta familiare, prodotto con label di una grande catena di supermercati diffusa nel nord Italia, misura 9,3 x 12,4 cm. Il sito Wikipedia mi dà, come dimensioni standard del prodotto 9,7 x 12,6 cm.
Ne segue che l’area della carta utilizzata è di 115 cm2, contro i 123 cm2 dello strappo standard, per cui da un metro quadro di carta si ottengono 86 strappi invece di 81. Balla quasi un 7% di differenza.
L’operazione è peraltro completamente trasparente, visto che sulla confezione un riquadro riporta il numero di strappi ma anche la lunghezza della carta srotolata e il peso del singolo rotolo. Il fatto è, però, che la scelta del prodotto da portare a casa non è sempre scientificamente analitica, spesso ci facciamo guidare da un solo aspetto, quello che più ci colpisce. Del prodotto in questione, ad esempio, si esaltano le dimensioni di ingombro ridotto (salvaspazio = i rotoli sono schiacciati, eliminando gran parte del vuoto al centro del rotolo). E, almeno per me, questo elemento risulta decisivo.
È un caso di shrinkflation? Per affermarlo dovrei avere memoria del momento del lancio del prodotto e della relativa politica di prezzo. Mi viene però da fornire un suggerimento: perché non rendere esplicito il risparmio di carta? Potrebbe essere un buon selling point, vista la crescente attenzione sull’utilizzo delle risorse naturali.
Una ricerca più approfondita
Come sono messi gli anglosassoni, con il loro sistema di misura? Il sito in lingua inglese di Wikipedia riporta:
Manufactured toilet paper sheet in the United States was sized 4 1/2” × 4 1/2“.Since 1999 the size of a sheet has been shrinking; Kimberly-Clark reduced the length of a sheet to 4.1”. Scott, in 2006, reduced the length of their product to 3.7″. The width of sheets was later reduced giving a general sheet size of 3.7″ long and 4.1″ wide. Larger sizes remain available.
Quindi le dimensioni attuali dovrebbero essere di 3.7 per 4.1 pollici, pari a 9,4 x 10,4 cm, che fanno 98 cm2. Da noi c’è evidentemente spazio per ulteriori diminuzioni. Speriamo bene.
Foto di StockSnap da Pixabay.
Mi chiamo Pasquale Petrosino, radici campane, da alcuni anni sulle rive del lago di Lecco, dopo aver lungamente vissuto a Ivrea.
Ho attraversato 40 anni di tecnologia informatica, da quando progettavo hardware maneggiando i primi microprocessori, la memoria si misurava in kByte, e Ethernet era una novità fresca fresca, fino alla comparsa ed esplosione di Internet.
Tre passioni: la Tecnologia, la Matematica per diletto e le mie tre donne: la piccola Luna, Orsella e Valentina.
Potete contattarmi scrivendo a: p.petrosino@inchiostrovirtuale.it