Il procuratore generale saudita, in una nota d’ufficio, ammette che quello di Jamal Khashoggi è stato un omicidio premeditato. Ma gli interrogativi senza risposta restano ancora troppi.
Partiamo dall’inizio.
Chi era Jamal Khashoggi?
Khashoggi proveniva da un’importante famiglia saudita di origini turche. Nato a Medina, studia ideologia islamica e sposa idee liberali. Sostenitore della famiglia reale saudita, dopo la laurea inizia a lavorare per quotidiani sauditi, tra cui la Saudi Gazette e Al-Sharq al-Awsat, ma le autorità arrivano a considerarlo troppo progressista ed è costretto a dimettersi da redattore capo del quotidiano saudita Al-Watan nel 2003.
Khashoggi aveva deciso di autoesiliarsi negli Stati Uniti nel 2017 per timore di un possibile arresto, dopo aver criticato alcune decisioni del principe ereditario saudita, nonché ministro della Difesa, Mohammed bin Salman.
Negli USA Khashoggi collaborava al Washington Post come editorialista e aveva più volte denunciato intimidazioni, arresti e attacchi subiti da giornalisti, intellettuali e leader religiosi non allineati con la famiglia reale saudita. In un articolo pubblicato lo scorso anno, Khashoggi aveva sottolineato come, sotto il principe Mohammed, l’Arabia Saudita stesse entrando in una nuova era di paura e sosteneva che:
La cosa di cui ha più bisogno il mondo arabo è la libertà di stampa, perché a causa dell’assenza di libertà di stampa, la maggior parte degli arabi non è informata o riceve informazioni scorrette.
Cosa è successo il 2 ottobre?
Khashoggi era stato richiamato al consolato saudita di Istanbul per definire il suo divorzio, dopo essere stato informato il venerdì precedente, che alcuni suoi documenti presentati non erano in regola.
Alle 13.14, Khashoggi è entrato nel consolato senza farne più ritorno. A dare l’allarme è stata la fidanzata, Hatize Cengiz, che lo ha atteso per 11 ore fuori dal consolato, ammonita dallo stesso Khashoggi di avvisare un consigliere del presidente turco Erdogan, se non avesse fatto ritorno.
Le prime ricostruzioni e i sospetti
I principali sospettati per il presunto omicidio del giornalista saudita sono caduti su 15 funzionari arrivati a Istanbul il 2 ottobre e rimasti nel Paese solo per poche ore. Le autorità turche hanno rilasciato nomi e fotografie dei membri del gruppo riprese poi dai media internazionali.
Secondo quanto ha rivelato il Washington Post, prima della scomparsa del giornalista saudita, l’intelligence degli Stati Uniti aveva intercettato alcune comunicazioni tra agenti dell’Arabia Saudita in cui si prospettava un piano per il sequestro di Khashoggi.
La fonte citata dal giornale ha rivelato che gli agenti sauditi avevano intenzione di rapire Khashoggi e riportarlo in Arabia Saudita. Non è chiaro, però, se gli agenti intendessero arrestare il giornalista per interrogarlo oppure per ucciderlo, né se le autorità statunitensi abbiano o meno avvertito lo stesso del pericolo che correva.
Le reazioni internazionali
L’omicidio del giornalista saudita ha principalmente inasprito i rapporti, già tesi, tra Ankara e Riad. Sulla vicenda si sono poi espressi i governi internazionali.
Il presidente Trump, alleato dell’Arabia Saudita, si è detto “preoccupato” per la scomparsa del giornalista. Così come “gravemente preoccupati” si sono detti i governi di Regno Unito, Francia e Germania, i quali hanno subito chiesto l’apertura di una indagine per fare chiarezza sull’accaduto.
Anche il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha chiesto alla Turchia e all’Arabia Saudita di aprire un’indagine sulla scomparsa di Khashoggi.
La vicenda è stata commentata anche dal Presidente russo Vladimir Putin, il quale ha attribuito una responsabilità in capo agli Stati Uniti, in quanto Paese di residenza del giornalista.
Le accuse di Erdogan
Con un editoriale sul Washington Post il presidente turco Erdogan ha puntato il dito sul governo saudita, nel contempo escludendo un coinvolgimento del re Salman.
Non credo che re Salman, il guardiano delle sante moschee, abbia ordinato il colpo contro Khashoggi, ma l’ordine è venuto dai livelli più alti del governo saudita.
Lasciando così intendere un coinvolgimento del principe ereditario Mohammed Bin Salman.
Nell’ultimo mese la Turchia ha fatto di tutto per gettare luce su tutti gli aspetti di questo caso. Questi sforzi hanno rivelato che Khashoggi è stato ucciso a sangue freddo da una squadra della morte ed è stato stabilito che il suo assassinio è stato premeditato. Ci sono ancora domande importanti alle quali le autorità saudite devono rispondere. In particolare, riguardo a dove si trovi il corpo del giornalista.
Secondo Yasin Aktay, stretto collaboratore del presidente turco Erdogan ed amico di Khashoggi, l’ipotesi più plausibile è che il corpo sia stato sciolto nell’acido per non lasciare alcuna traccia.
Tra le contrastanti ammissioni di Riad, le accuse di Erdogan e l’intervento internazionale degli alleati, che tengono però a non rompere i precari equilibri che li legano all’Arabia Saudita, viene da chiedersi, quale verità e quale giustizia saremo in grado di dare all’omicidio di Khashoggi.
Avvocato e redattrice, nonché co-fondatrice di Inchiostro Virtuale.
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