Samantha Morton nel ruolo di Maria Stuarda, nel film "Elizabeth, the golden age"

È l’alba dell’ 8 febbraio del 1587, quando Maria Stuarda sale i gradini del palco di esecuzione accompagnata dalle sue due cameriere personali, Jane Kennedy ed Elizabeth Curle.
Sul palco l’attendono il boia con il suo aiutante e i testimoni dell’esecuzione, i conti di Shrewsbury e di Kent.
Anche in questi ultimi istanti di vita Maria conserva la sua austera bellezza, erigendosi in tutto il suo metro e ottanta di altezza, i capelli castano-dorati raccolti in due trecce.
Tolto il vestito con l’aiuto delle sue cameriere e del boia, Maria rimane in una sottoveste cremisi scuro, il colore del martirio per i cattolici, e un corsetto nero. Il boia si inginocchia davanti a lei per chiedere il suo perdono, come vuole il cerimoniale di esecuzione. Maria replica calma: “Vi perdono con tutto il mio cuore, perché spero che ora porrete fine a tutte le mie angustie”.

Jane Kennedy la benda con un velo bianco ricamato in oro, quindi Maria si inginocchia, appoggia la testa sul ceppo e distende le braccia. “In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum”, le sue ultime parole (nell’immagine di apertura: l’attrice Samantha Morton nel ruolo di Maria Stuarda, nel film Elizabeth: The Golden Age).
Il primo colpo d’ascia è impreciso, la colpisce sulle spalle; il secondo è quello decisivo e recide la testa quasi completamente. A tenerla ancora attaccata al tronco rimane un tendine, che il boia taglia con la lama dell’ascia.

E ora l’affronto: il boia alza per i capelli la testa recisa per mostrarla al pubblico. La capigliatura si rivela essere una parrucca, e la testa cade a terra, mostrando i corti capelli grigi della regina.

Maria Stuarda ha 44 anni. Perde la vita per volontà dell’élite protestante inglese e di sua cugina Elisabetta I, che si libera così di una pericolosa pretendente al trono, oltretutto cattolica. A incastrarla materialmente è stato Sir Francis Walsingham, capo dei servizi segreti di Elisabetta, utilizzando una trappola che suona decisamente attuale ai tempi di Internet: la violazione di una crittografia debole e l’uso di un attacco Man on the Middle.
Ripercorriamo la vicenda attraverso i suoi protagonisti.


Maria Stuarda, regina di Scozia

Maria Stuarda ritratta da François Clouet
Maria Stuarda.

Maria Stuarda nasce l’8 dicembre del 1542 e sei giorni dopo è già regina di Scozia.

Suo padre, Giacomo V, muore infatti senza lasciare eredi maschi il 14 dicembre di quell’anno. A stroncarlo è il colera, o forse la collera per essere appena stato sconfitto dagli inglesi nella battaglia di Solway Moss.
Con reggenze varie, Maria rimarrà regina di Scozia fino al 1560.

Le tensioni e gli scontri con gli inglesi sono continui, e questo spinge sua madre, la duchessa francese Maria di Guisa, a rafforzare i legami con la Francia. Quando Maria Stuarda ha solo 5 anni viene combinato il suo matrimonio con il neonato Francesco, figlio del nuovo re francese, Enrico II.
La piccola Maria si trasferisce in Francia, dove cresce in attesa del matrimonio con il delfino Francesco, che si celebra nell’aprile del 1558.

Matrimonio brevissimo, durato appena due anni. Nel 1560 Maria Stuarda, rimasta vedova, deve far ritorno in Scozia, per difenderne l’indipendenza dall’Inghilterra.

Elisabetta I, regina d’Inghilterra

In Inghilterra, intanto, alla morte di Enrico VIII nel 1547, si sono succeduti sul trono:

  • Edoardo VI d’Inghilterra, 9 anni; defunge a sedici anni, nel 1553;
  • Sarebbe in lista d’attesa la sua sorellastra Maria, cattolica; la linea dinastica viene però modificata da Edoardo, a favore di  Giovanna Grey, protestante e nipote della zia Maria Tudor, sorella del padre;
    Il regno dura 9 giorni e si chiude con l’arresto di Giovanna e di suo marito, giustiziati pochi giorni dopo;
  • La sorellastra Maria, il cui regno si riassume nel nome che la storia le ha assegnato: Maria la sanguinaria;
    Maria si dà da fare infatti nel restaurare la religione cattolica e perseguita gli eretici, inclusa la sorellastra Elisabetta, che fa rinchiudere nella Torre di Londra;
    Maria passa a miglior vita nel 1558, senza lasciare eredi;
  • Tocca a Elisabetta, anche se qualcuno fa notare che è figlia di Anna Bolena, moglie ripudiata (e mandata a morte) da Enrico VIII per presunta infedeltà;
    E la prossima in successione è proprio la nostra Maria Stuarda, che diviene quindi automaticamente il nemico numero uno di Elisabetta.

In Scozia, intanto…

Maria Stuarda, tornata in Scozia, ha bisogno di riaccasarsi. Dopo aver analizzato un paio di opzioni esterne, nel 1565 sceglie il cugino Enrico Stuart, Lord Darnley.

Non è una gran scelta, il Lord è un ambizioso, violento persino con la moglie in attesa del figlio Giacomo. Fa eliminare inoltre il consigliere personale di Maria Stuarda, Davide Rizzio.
Se tra Maria e Davide ci fosse del tenero non si sa per certo. Sta di fatto che, nel febbraio del 1567, il Lord rimane vittima di un’esplosione in giardino, e circola presto la convinzione che dietro l’esplosione ci siano la stessa Maria e la mano di James Hepburn, conte di Bothwell.
Neanche lui è quello che si definisce un animo nobile. Aspira alla mano di Maria, cercando consenso nella nobiltà scozzese. Giusto per dare una mano al destino, rapisce Maria e la violenta. La conseguente gravidanza di due gemelli non arriva a termine, ma la reputazione di Maria come regina è decisamente compromessa.

Incerta sul da farsi, tra il tornare in Francia dall’ex-suocera o affidarsi alla cugina Elisabetta, Maria Stuarda sceglie sciaguratamente la seconda.

Un’ospite scomoda

Elisabetta si ritrova tra le mani un’ospite che potrebbe diventare scomoda, risvegliando i piani di restaurazione dei cattolici. Cerca quindi di tenerla in condizione di soggezione, ricordandole i sospetti di uxoricidio (su cui ordina anche un’inchiesta) e promiscuità con il Bothwell, e la confina in località che diventano progressivamente più restrittive.

I nobili cattolici inglesi non stanno intanto con le mani in mano, e vengono imbastiti diversi complotti per liberare Maria Stuarda e porla sul trono dell’usurpatrice Elisabetta. Terminano tutti in maniera tragica per i complottisti, ma a carico di Maria non emerge mai nulla.

Il punto è che Maria Stuarda è molto attenta a non compromettersi con nessuno dei complottisti, mentre per processarla occorrerebbero prove solide ed evidenti della sua partecipazione a un complotto.
In più, non è una suddita inglese e ha uno status regale (per quanto appannato) e, quindi, Elisabetta ha le mani legate: o le prove sono evidenti, solide, oppure non può liberarsi della rivale.

Gli autori del complotto: Anthony Babington e John Ballard

Nel 1585 improvvisamente la strada si spiana per gli aspiranti complottisti.

Maria Stuarda viene trasferita a Chartley Hall, una residenza del conte di Essex, la sorveglianza viene allentata e può riprendere a scambiare corrispondenza.
Ne approfitta Anthony Babington, ex paggio di Maria e capo riconosciuto di un gruppo di nobili inglesi cattolici. D’accordo con il gesuita John Ballard prepara un piano per deporre Elisabetta, con l’aiuto di forze spagnole e della Santa lega Francese.

Inspiegabilmente trova anche un modo semplice per scambiare corrispondenza in segreto con Maria Stuarda.

Il doppio agente, Gilbert Gifford

Il presunto punto debole da sfruttare perché la corrispondenza eluda la sorveglianza è la fornitura di birra alla residenza di Chartley Hall. Basta nascondere le missive in entrata e in uscita sotto il tappo del barile, e nessuno si accorgerà di nulla.

Parola di Gilbert Gifford, il gestore della fornitura di birra. Cattolico si, ma giusto un pochino infame, visto che è un agente di sir Francis Walsingham.

Il capo dei servizi segreti, Sir Francis Walsingham

Eccoci alla mente organizzatrice della trappola, sir Francis Walsingham, capo dei servizi segreti di Elisabetta.

Walsingham ha intuito che, finché la custodia sarà rigida al punto di impedirle di fare alcunché, difficilmente Maria Stuarda potrà commettere un passo falso che la incrimini. Quindi la strategia corretta deve essere:

  • allentare (almeno in apparenza) la custodia di Maria; ed ecco il trasferimento a Chartley Hall;
  • offrirle una possibilità di comunicazione con i complottisti, fingendo che sia il fervente cattolico Gifford a proporla;
  • intercettare e leggere la posta in transito.

Maria Stuarda utilizza però un codice crittografico. Come aggirare questo ostacolo?

Thomas Phelippes, il re dei decifratori di codici

 

Babington postscriptWalsingham ha un asso nella manica. Per lui lavora Thomas Phelippes, uno che ci mette un attimo a smontare i codici crittografici in circolazione.

Il fatto è che, in quella fine del ‘500, i codici più utilizzati si basavano sulla sostituzione.
In sintesi estrema, i due corrispondenti condividono una tabella di sostituzione che rimpiazza ogni lettera dell’alfabeto con un’altra lettera, oppure con un simbolo.

A prima vista i testi criptati sembrano incomprensibili, ma già da un po’ gli arabi hanno dimostrato che un codice di questo tipo si attacca mediante l’analisi delle frequenze. Se, ad esempio, in un testo italiano abbastanza lungo, la frequenza della lettere “n” è pari al 6,88%, tale rimarrà la frequenza del simbolo che sostituisce la “n”.

Per attenuare il problema sono possibili alcuni accorgimenti, peraltro utilizzati anche dal codificatore di Maria Stuarda. Basta introdurre:

  • alcuni simboli “fittizi”, che non codificano nulla ma alterano le frequenze nel testo;
  • dei codici per le doppie (esempio: esattamente, assalto, …);
  • e altri codici per le parole più comuni (esempio: di, per, regina, …)

Questi accorgimenti funzionano, ma solo se di fronte non hai uno come Thomas Phelippes, per di più in grado di leggere tutta la corrispondenza in transito.

La trappola si stringe

La corrispondenza va avanti senza che né Babington né Maria Stuarda abbiano alcun sospetto.

Mentre Babington è ampiamente compromesso, Maria si è tenuta cauta, senza mai approvare o incitare all’esecuzione del piano.
A Walsingham servono però due cose: la compromissione di Maria e i nomi dei partecipanti al complotto.

Ed è qui che Babington inventa il Man in the Middle.
Visto che si può intercettare la corrispondenza, perché non modificarla a proprio tornaconto? Basterà aggiungere a una missiva in uscita da Chartley Hall una postilla di approvazione del piano e di richiesta del nome dei nobili congiurati, e la testa di Maria sarà servita.
La risposta di Babington porterà probabilmente con sé la lista. Ed anche i congiurati saranno serviti.

Il 7 luglio 1586 scatta la trappola. Non sarà nemmeno necessario attendere la risposta di Babington.

Il processo e la condanna

Elisabetta può finalmente procedere.
Il processo è presieduto da una giuria di 46 membri della nobiltà e delle chiesa inglese. A Maria Stuarda viene negato il diritto di avvalersi di un difensore, di citare testimoni, di esaminare le prove delle accuse che le vengono mosse.

Maria si difende, negando di aver scritto quel passaggio della lettera. Il suo segretario, pressato, confessa invece che è stata lei ad inserirlo nella lettera da criptare. Ovviamente  Walsingham e Phelippes negano qualunque alterazione della lettera, che è il cardine dell’accusa.

Non c’è certezza. Personalmente propendo per l’innocenza di Maria, anche sulla base dell’ambigua affermazione di Walsingham:

Dio mi è testimone che da privato non ho fatto nulla di indegno per un uomo onesto, e come segretario di Stato nulla al di sotto del mio dovere.

Sta di fatto che il processo si chiude con una condanna: 45 voti contro 1.

L’esecuzione

Elisabetta ha ottenuto quanto voleva, ma adesso c’è da gestire la reazione popolare all’esecuzione di Maria.

Prima prova a convincere il custode di Maria, Amyas Paulet, a farla sparire simulando un incidente. Niente da fare, Paulet dice che la coscienza non gli consente di fare una cosa simile e di lasciare poi una tale macchia sulla sua povera posterità.

Elisabetta allora si decide a firmare la condanna a morte e l’affida a uno dei consiglieri di stato, William Davison, raccomandando di procedere all’esecuzione.
Davison non vuole gestire da solo il cerino acceso, e  così convoca altri nove consiglieri con cui condivide la responsabilità di procedere.
Appena messa in moto la macchina, Elisabetta, con una buona dose di ipocrisia richiama Davison: no, non doveva far partire nulla, lei era ancora indecisa.

L’8 febbraio del 1587 la testa di Maria Stuarda viene recisa.
Solo Davison paga per il presunto disguido: una multa salatissima che non può pagare, per cui si fa un po’ di prigione, poi l’interdizione a vita dai pubblici uffici, e un vitalizio.

Dopo Elisabetta I, Giacomo

Elisabetta I muore senza eredi, la dinastia dei Tudor si chiude, e si riparte con gli Stuart. Sul trono d’Inghilterra sale Giacomo, il figlio di Maria Stuarda e Lord Darnley.
Strappato alla madre in tenera età ha ricevuto un’educazione protestante e gli hanno insegnato a disprezzare la madre.

Missione compiuta per Elisabetta I.

Se solo Maria avesse scelto la tecnologia più adatta!

L’errore di Maria Stuarda è stato sicuramente quello di affidarsi a una tecnologia di sicurezza matura e ormai non più affidabile.

Un’alternativa migliore era stata presentata pochi anni prima, nel 1553, da Giovan Battista Bellaso nel suo libro: La cifra del Sig. Giovan Battista Bellaso.
Proprio negli anni finali della vita di Maria Stuarda, Blaise de Vigenère pubblicò un metodo di criptazione sostanzialmente identico al metodo di Bellaso, che sarebbe rimasto inattaccabile per quasi trecento anni.

Il metodo di Bellaso/Vigenère si basa sull’utilizzo di diversi alfabeti di sostituzione, che rende infattibile l’analisi delle frequenze. La nostra “n” dell’esempio precedente sarà codificata con simboli o lettere diverse all’interno dello stesso messaggio.

Per farlo, occorre che i due corrispondenti condividano una parola chiave, ad esempio: sghembo.
A questo punto la prima lettera da codificare utilizzerà lo schema di sostituzione associato alla “s“, la seconda lo schema associato alla “g”, la terza lo schema associato alla “h“, e così via. La parola chiave viene riutilizzata di seguito, una volta esaurite le sue lettere.

Non è nemmeno necessario che gli alfabeti di sostituzione siano complessi. Anzi, si utilizzano dei semplici scorrimenti dell’alfabeto di una, due, tre, … 25 posizioni. Questo fa si che i due corrispondenti debbano condividere solo la parola chiave.

Sarà Charles Babbage, il precursore dei calcolatori moderni, a risolvere anche il codice Vigenère, nel 1854. E lo farà ancora con un’analisi delle frequenze, anche se decisamente più complessa.


L’esempio di Maria Stuarda andrebbe impresso bene nella mente di chiunque si occupi di sicurezza informatica.
Un qualunque dettaglio trascurato (un mancato aggiornamento, una password condivisa, una rete con accessi non adeguatamente controllati, procedure deboli) può portare a un disastro.

Mai pensare che la sicurezza predisposta sia a prova di intrusione, da qui all’eternità. Le vittime del Cryptolocker possono testimoniarlo.

Scritto da:

Pasquale

Mi chiamo Pasquale Petrosino, radici campane, da alcuni anni sulle rive del lago di Lecco, dopo aver lungamente vissuto a Ivrea.
Ho attraversato 40 anni di tecnologia informatica, da quando progettavo hardware maneggiando i primi microprocessori, la memoria si misurava in kByte, e Ethernet era una novità fresca fresca, fino alla comparsa ed esplosione di Internet.
Tre passioni: la Tecnologia, la Matematica per diletto e le mie tre donne: la piccola Luna, Orsella e Valentina.
Potete contattarmi scrivendo a: p.petrosino@inchiostrovirtuale.it