Un diritto elementare e fondamentale dell’infanzia e dell’adolescenza, come ricordato lo scorso 20 novembre nella Giornata dell’infanzia, è quello all’istruzione. Ce lo ricorda il sito del Garante per l’infanzia, all’articolo 29:
“Gli Stati riconoscono che lo scopo dell’istruzione è di sviluppare al meglio la personalità di tutti i bambini, i loro talenti e le loro capacità mentali e fisiche. L’istruzione deve inoltre preparare i bambini a vivere in maniera responsabile e pacifica, in una società libera, nel rispetto dei diritti degli altri e nel rispetto dell’ambiente”.
Quali sono, in Italia, gli ostacoli alla piena realizzazione di questo diritto fondamentale ed elementare?
Personalmente non vedo forti differenze geografiche, nord verso sud, per intenderci. Ci sono eccellenze scolastiche un po’ dappertutto. Sono presenti, invece, problemi indotti da differenti condizioni sociali e dalla necessità di integrare i nuovi italiani, quelli che, anche quando non nati qui, è in Italia che stanno sviluppando la propria esistenza. In tutti i casi si tratta di problemi certamente complicati da risolvere.
Ma il problema più insidioso che vedo è rappresentato dai Genitori Informati.
I Genitori informati
È grazie a loro che vengono messi in discussione il lavoro degli insegnanti (“non stimola l’interesse di mio figlio!“), i piani di lavoro (“troppi compiti a casa!“), lo stesso sistema di valutazione (vedi i controversi esami di riparazione).
Ho l’impressione che si tratti di una sorta di rivalsa di ex-studenti mediocri.
Mio padre era insegnante, ma non ha mai interferito con la mia vita scolastica. Le sue regole erano semplici: ottenere buoni risultati scolastici dipendeva solo dal mio impegno. Gli insegnanti, chi più bravo chi meno, mi assicuravano comunque la possibilità di sviluppare conoscenze e competenze. I libri (non occorreva un mutuo, allora) erano assicurati; tempo ne avevo. L’ultimo ingrediente necessario era il mio impegno.
Questa stringente logica allora abbastanza diffusa, si è poi dispersa, credo per semplificare la vita ai propri figli e di conseguenza a se stessi.
Un processo inizialmente lento. In matematica si è cominciato abolendo argomenti in nome della modernità. Via l’algoritmo per il calcolo della radice quadrata, ad esempio.
Poi sono stati criminalizzati gli esercizi (a cosa servono?), complice la diffusione delle calcolatrici elettroniche, finite anche, come gadget, nel detersivo. Un po’ come se un allenatore di calcio eliminasse gli esercizi muscolari (stancano), per dedicare tutto il tempo allo studio di strategie e schemi.
E, quando i risultati non arrivano, allora si cerca il colpevole. Mai il proprio rampollo, la causa della disfatta si cerca a monte, nella Scuola.
Elementare, ma non alla mia età
Eppure, da parte di un genitore, basterebbero due cose: convincersi che il mondo del lavoro (che attende inevitabilmente i suoi figli) è sempre più globale e competitivo; e poi un piccolo atto di umiltà, confrontandosi in modo aperto e sereno con i compiti del figlio, prima di criticarne il metodo e l’utilità.
C’è la concreta probabilità di trovarsi di fronte a qualche sorpresa. Al fatto, ad esempio, che quegli esercizi vadano visti come l’equivalente della ginnastica muscolare e, quindi, eseguiti come fossero una sequenza di addominali o di pesi e con lo stesso atteggiamento. Senza cioè accompagnare per mano il figlio, altrimenti sarebbe come alleggerire i pesi, addio sviluppo muscolare.
Al genitore potrà anche capitare di trovarsi in difficoltà di fronte a problemi che all’età del figlio gli sarebbero risultati semplici. Il fatto è che con il progredire, meglio l’aggravarsi dell’età, diventa più difficile assimilare nozioni e si perde in elasticità e competitività mentale. Ragione in più perché il figlio alleni per bene la propria mente, acquisendo elasticità ed agilità ora. Più in là con gli anni sarà difficile recuperare.
Per farsi un’idea della dimensione del problema, basta frugare sul web, alla ricerca di test di matematica per la fascia di età di fine elementari (prima sono oggettivamente molto semplici) e inizio medie (dopo richiedono competenze specifiche di geometria e algebra che è probabile siano svanite).
Un esempio dalla Gran Bretagna
Qualche anno fa il britannico Telegraph si chiedeva Can you pass the maths test for 11-year-olds?
A mettere alla prova i lettori erano gli esercizi del test nazionale di matematica del 2014, l’equivalente dell’INVALSI di casa nostra, somministrato ai ragazzi del Key Stage 2, l’analogo della scuola elementare.
Un bar vende succhi, soft drinks e acqua. Il ricavo della vendita per tipo di bibita è riportato nel grafico a torta.
Se i ricavi annuali per soft drinks ammontano a 8.264 sterline, e quelli per acqua e soft drinks sono uguali tra loro, qual è stato il ricavo per i succhi?
Elementare, Watson!
Ci vuole il colpo d’occhio e qualche calcolo con le frazioni. Peccato che, per venirne fuori ho dovuto prima sbirciare il risultato (12.396 sterline) e poi, « Ah sì, giusto, l’angolo dell’area rossa è retto, quindi i ricavi dei soft drinks sono 1/4 del totale e quindi…».
Prima niente, buio totale. Anzi, la prima reazione è stata: manca un dato. Certo, mancava quello che non vedevo, benché fosse sotto gli occhi.
E un esempio di casa nostra: INVALSI per la quinta elementare
Il nome, INVALSI, gioca con il verbo invalere, il cui senso è «crescere in forze» come ci ricorda il sito della Treccani. L’acronimo sta invece per Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione.
Lo scopo dei test INVALSI? Lo riassume un’intervista dell’anno scorso di Focus.it al direttore generale dell’Istituto:
Innanzitutto fornire alla cittadinanza e ai decisori politici i dati generali sul funzionamento della scuola, in particolare il grado di competenze raggiunto dagli studenti in due grandi aree: la comprensione di un testo e la padronanza della matematica in situazioni concrete. Il secondo obiettivo è quello di fornire alle scuole i dati elaborati, in modo che siano possibili valutazioni sul piano didattico, confronti e migliorie.
In un paese in cui a tutti piace emettere giudizi, ma accettarli è un altro paio di maniche, una cosa così non poteva che generare polemiche, tra pro e contro.
Ma, polemiche a parte, come è messo un adulto, in una situazione concreta, quando si tratta di comprensione di un testo e di padronanza della matematica?
Mettiamoci alla prova
Sul web ci sono vari archivi delle prove INVALSI, uno lo si trova, ad esempio, sul sito engheben.it. Scarichiamo il test INVALSI della quinta elementare dell’anno 2016/17, oppure utilizziamo la versione interattiva del test.
La domanda 13 chiede di confrontare il costo di vacanze di 1, 2 e 3 giorni presso i due centri sportivi “Skipass” e “Campo felice“, i cui costi sono riassunti dalla figura che segue:
Fin qui direi che l’adulto medio non ha, al pari del pargolo, problemi.
Ma se ci spostiamo alla domanda appena precedente, la 12, la cosa si fa complicata:
Marco va a comprare il pane e spende 3,35 euro.
Per pagare utilizza una moneta da 2 euro, una da 20 centesimi, una da 5 centesimi e altre monete tutte da 10 centesimi.
Quante sono le monete da 10 centesimi utilizzate da Marco?
Ecco, qui io mi inceppo. La giustificazione a cui mi aggrappo è la presbiopia, ma anche inforcando gli occhiali finisco spesso per pagare in monete da 1 e 2 euro e accumulare il resto di monetine di rame o decini, che finiscono per complicare il successivo pagamento.
Risultato, sono un accumulatore seriale di monetine di rame.
I compiti assegnati ai ragazzi, il lavoro a casa, non sono inutili, tutt’altro. Aiutano i nostri ragazzi ad imparare come si legge un grafico, a interpretare con spirito critico un dato fornito dal web o dalla tv, ad organizzare la propria analisi di casi reali, ad affrontarli in modo consapevole.
Negare questa utilità, in base a teorie strampalate di opportunità pedagogiche, è un atto di grande stupidità a danno dei propri figli.
Mi chiamo Pasquale Petrosino, radici campane, da alcuni anni sulle rive del lago di Lecco, dopo aver lungamente vissuto a Ivrea.
Ho attraversato 40 anni di tecnologia informatica, da quando progettavo hardware maneggiando i primi microprocessori, la memoria si misurava in kByte, e Ethernet era una novità fresca fresca, fino alla comparsa ed esplosione di Internet.
Tre passioni: la Tecnologia, la Matematica per diletto e le mie tre donne: la piccola Luna, Orsella e Valentina.
Potete contattarmi scrivendo a: p.petrosino@inchiostrovirtuale.it